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cause perse

La storia della sinistra: il moralismo al posto della politica

Giuliano Ferrara

Il solo che non si è fatto mangiare in testa resta Renzi. Tra campi stretti e larghi di Enrico Letta e il carattere irritabile di Calenda, per alcuni non resterà che votare contro la destra, consapevoli di star perdendo, ma sperando che possa essere un'occasione

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Farsi mangiare la pappa in testa. Quelli già si dislocano verso il presidenzialismo, impadronitisi di una vecchia e buona bandiera di trasformazione della forma di stato, unica alternativa all’instabilità del pur pregevole trasformismo; quelli già si muovono come vincitori in effigie, e l’immagine conta parecchio come sappiamo, e lei, la superducia, aspetta di partire per un tour europeo, il suo consigliere politico copre superbamente il campo del dialogo da vincitori a vinti, gli staff producono documenti programmatici su tasse ed economia reale, lo spennacchiato Salvini discute di immigrazione e sicurezza e ministri, Berlusconi assapora con mite dentiera d’acciaio la vendetta; e sì, insomma, quelli si sentono e dispongono già oltre il traguardo; ma nel campo troppo largo di Letta, Calenda e Fratoianni ci si strappano i capelli e volano schiaffi in nome della dannata coerenza di principio (Cerasa docet) e del mito autourticante dell’unità generale contro il nemico, si celebrano religioni totemizzanti, col rigassificatore contro le basi Nato e il verdeggiante No Triv, e il cozzo delle identità induce a dar ragione perfino a Maurizio Gasparri: sono scene da fumetto.

 

È la guida malferma di Letta, che apparecchia e sparecchia campi larghi e stretti perché non ha capito con Pascal che la felicità consiste nel saper stare da soli nella propria stanza (eventualmente accogliendo ospiti secondo le regole della casa)? È il carattere bizzoso di Calenda, che sempre più liberal-romanesco si comporta come uno che abbia fatto uno scippo e si voglia tenere la borsetta? È quel duo di disutili che votano contro la politica estera ed energetica ma vogliono un seggio in coalizione dai draghiani? C’è tutto questo, ma c’è anche dell’altro, visto che la storia si ripete, dal castello di Gargonza in cui D’Alema sottrasse lo sgabello strategico all’Ulivo di Prodi vincitore su Berlusconi fino alla bellezza idolatrica delle tasse celebrata dal compianto Padoa-Schioppa, fino al pianto dei ricchi invocato da Bertinotti, “perché mi divevto”.

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Il centrosinistra italiano, con questa e con altre leggi elettorali, da trent’anni quasi si fa mangiare la pappa in testa, con la sola eccezione di Renzi originario che però ha incontrato la Fortuna e invece di batterla ne fu battuto, e poco importa che Berlusconi si impantani nella crisi finanziaria e nelle persecuzioni giudiziarie o il centrodestra si disunisca per anni o presidenti esterrefatti dal Quirinale ordinino la formazione di governi tecnici di emergenza responsabili verso di loro o riescano in Parlamento brillanti manovre di governo al riparo dalle elezioni: al momento topico, opportuno, in vista delle sfide elettorali, ecco la sindrome del conte Ugolino, destri improvvisamente adulti mangiano la pappa in testa a bambini disorientati che se non piangono fanno piangere.

 

C’è qualcosa di più dell’incompetenza e del caratteraccio nella ripetizione farsesca del vecchio vizio della battaglia dei capi nel centrosinistra, una specie di Papeete strisciante che batte in insipienza perfino quello a torso nudo del Truce alla ricerca dei pieni poteri. Dopo lo spartiacque del 1993, anno del Terrore giustizialista, e prodromo della nascita del berlusconismo, si è capito che il centrosinistra ha due sole anime: l’avversione a Craxi e al riformismo realista, che lo ha portato a parteggiare moraleggiando per la vittoria dei nemici dei partiti e della democrazia liberale, e l’avversione a Berlusconi, che lo ha ulteriormente unito nel nullismo moralistico.

 

Letta, Calenda e Fratoianni finiranno in quel capiente catino della storia in cui sono precipitati con le loro ambizioni di federatori l’elder statesman impotente e muto Prodi, il narcisista cinico D’Alema, il cineasta in fuga Veltroni, probabilmente. E la ragione sarà stata quella, unica, sempre verde, del moralismo al posto della politica, del bullismo al posto del decisionismo. Umiliante per noi, che non saremo mai liberali per Meloni o per Salvini, per noi che abbiamo già proficuamente dato con un’epoca di militante berlusconismo, umiliante ritrovarsi in una tragicommedia minore.

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Pazienza, qualcuno di noi voterà a sinistra, per appartenenza e sfiducia nella destra, e aspetterà che dalla sconfitta, anticipata dai fatti di questi giorni e da una vena profonda di masochismo ideologico al posto del godimento politico eterosessuale, la libido dell’unione riconosciuta anche dalla chiesa bacchettona, nasca una occasione nuova e seria. Speriamo non ci vogliano vent’anni, durata media ipotetica dei regimi di democrazia illiberale.

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