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Il caso

Conte cerca Letta e pontieri dem. Il segretario: "È finita". Ma in Sicilia corrono insieme

Simone Canettieri

Panico nel M5s in vista delle elezioni: la prospettiva di non prendere nemmeno un collegio uninominale tormenta i vertici pentastellati. ​​​​​​Il leader del Nazareno considera chiusa l'alleanza con i grillini, alle prese intanto con il terzo mandato

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“Vediamo se si può salvare qualcosa”. Giuseppe Conte è abbastanza preoccupato. Passa il venerdì al telefono a cercare pontieri nel Pd. La chiusura di Enrico Letta, almeno a parole, lo tormenta: niente alleanza con i grillini alle politiche. La prospettiva di non prendere nemmeno un collegio uninominale con una quota proporzionale ben sotto il 10 per cento: è l’incubo ricorrente in queste ore dei vertici pentastellati. Tanto che il capo del M5s vuole parlare con il segretario del Pd, il compagno tradito. Per spiegargli il motivo della sua scelta, per ribadirgli, tipo Mario Brega in “Un sacco bello”, che io “mica so’ progressista così, so’ progressista cosììììì”. E a seguire due pugni alzati. Letta continua a dire mai più. E sui social network  pubblica una card con Mario Draghi che esce dal Senato. Titolo: “L’Italia è stata tradita, il Pd la difende. E tu da che parte stai?”. Tuttavia anche su questo dal Nazareno provano a spiegarsi meglio. 

Il Pd difende l’esperienza di Draghi, ma rifiuta di appiattirsi sulla sua agenda. Sia perché ha un richiamo sinistro (l’esperienza Monti) sia perché è stata comunque frutto di un compromesso di un governo di unità nazionale con dentro anche la Lega, Forza Italia e il M5s. Ma anche perché Draghi non è del Pd. Il problema sono i grillini, per Letta. Siamo sicuri che alla fine non ci sarà una piroetta? “Giammai”, è la linea del segretario. Che trova anche il carico da dieci di Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e leader di Base riformista, l’ala più contraria da sempre all’abbraccio con i pentastellati. Anche Dario Franceschini ne è convinto. E però nel partito si addensano le ombre sulla sinistra, sui presunti contiani-dem. Andrea Orlando, per esempio, dice “no alle alleanze con il M5s” e suggerisce che il Pd “si caratterizzi per la sua proposta”. E nel frattempo si azzuffa su Twitter con Carlo Calenda che gli ricorda di essersi complimentato, con una pacca sulla spalla, con il grillino Ettore Licheri appena terminato il suo intervento che annunciava il no alla fiducia a Draghi.  Il leader di Azione in questa fase destabilizza il più possibile il quadro del Pd, agitando la possibilità che alla fine i rossogialli tornino insieme.

Il caso delle primarie in Sicilia, d’altronde è abbastanza clamoroso: oggi in Sicilia il campo largo sceglierà, fra web e gazebo, chi candidare governatore (in corsa: la dem Caterina Chinnici, la grillina Barbara Floridia   e Claudio Fava di Leu-Articolo Uno). Se il Pd fosse stato consequenziale le avrebbe fatte saltare. Invece non è accaduto, ma intanto attacca il M5s. Un atteggiamento che permette a Conte, seppur in una posizione di forte debolezza in questo momento, di “prendersela contro la politica dei due forni: quel che vale a Roma vale a Palermo”. Sembrano mosse dettate dallo spaesamento che vive il M5s in queste ore. Ma anche il Pd sulle alleanze regionali cincischia: è possibile un sì all’accordo con i grillini alle regionali del Lazio, che andrà al voto in autunno causa le dimissioni di Nicola Zingaretti in campo per le politiche. Conte ha meno di un mese per decidere le candidature. Ma prima dovrà capire come chiudere la vicenda del terzo mandato. Beppe Grillo è contrario. Il capo M5s nel frattempo si aggrappa a Roberto Speranza: “Dai grillini grave errore, ma l’avversario è la destra”.

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