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Perché senza Draghi l'Italia è più debole in Europa

Luciano Capone

Scudo della Bce, Patto di stabilità e price cap sul gas. In Ue si deciderà su tre questioni fondamentali. L'ex presidente della Bce aveva la capacità di spostare gli equilibri a favore della posizione italiana, ora la sua caduta favorisce lo status quo

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Si è parlato molto dell’autorevolezza di Mario Draghi in Europa come di un valore aggiunto per l’Italia. La quantificazione della considerazione di cui gode il presidente del Consiglio è ovviamente labile, ma generalmente condivisa da tutti. Posto che ogni forza politica, in questo caso il M5s di Giuseppe Conte, ha la piena legittimità di portare avanti le proprie battaglie e anche di far cadere un governo che non ritiene più soddisfacente, deve però assumersi la responsabilità delle conseguenze prodotte dalle proprie scelte. In questo caso la possibile uscita di scena di Draghi comporta un oggettivo peggioramento della forza negoziale dell’Italia in Europa su almeno tre questioni fondamentali di prossima definizione, su cui peraltro quasi tutte le forze politiche sono concordi.

 

La prima è il cosiddetto “scudo anti-spread”, che la Bce dovrebbe svelare il prossimo 21 luglio. L’Eurotower si trova in una situazione complicata, sottoposta a pressioni e obiettivi contrastanti: da un lato, l’aumento dell’inflazione e le scelte più drastiche della Federal Reserve spingono verso un rialzo dei tassi e una politica monetaria più restrittiva; dall’altro la crisi politica di un paese fortemente indebitato e vulnerabile come l’Italia aumenta l’importanza della definizione del nuovo strumento “anti-frammentazione” (cioè che eviti l’aumento dello spread). La crisi politica di questi giorni alimenta, ovviamente, in Europa la percezione e il pregiudizio sulla strutturale inaffidabilità dell’Italia, rafforzando automaticamente le argomentazioni della Germania che pretende maggiori “condizionalità” per attivare il nuovo strumento affinché si eviti che serva a finanziare i governi (irresponsabili).

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L’altro punto è la riforma delle regole fiscali. A settembre-ottobre la Commissione europea dovrebbe presentare la sua proposta di riforma del Patto di stabilità, che anche in questo caso si baserà sull’affidabilità del paese e sulle condizionalità. Quanto siano larghe o strette queste maglie è tema della trattativa, da cui, senza Draghi e con un governo semi-balneare o in campagna elettorale, un accordo sulle posizioni italiane è molto più improbabile. Diventa invece quasi impossibile che si realizzi la proposta di un nuovo debito comune, sul modello Next Generation, che riguardi l’energia. L’Italia era entrata nel dibattito sulle regole fiscali dalla porta principale, con una proposta congiunta insieme alla Francia sebbene ormai superata, e ora può tornare nelle retrovie.

 

Il terzo tema, che rischia di tramontare definitivamente, è il price cap sul gas russo. La proposta, che incontra i timori e lo scetticismo di paesi come l’Olanda e la Germania, è sul tavolo delle discussioni europee solo perché avanzata da Draghi. Senza di lui non trova gambe forti e credibili su cui camminare.

 

Che Draghi abbia la capacità di persuadere gli altri leader europei è un dato di fatto, evidente non solo dai suoi anni alla Bce, ma anche da come è mutata la posizione di importanti leader europei rispetto alla concessione dello status di candidato Ue all’Ucraina. Tra l’altro, in questo momento l’Europa vive una singolare condizione di relativa debolezza politica sia della Francia sia della Germania, che favorisce un cambiamento auspicato dall’Italia. La crisi politica italiana innescata dal M5s e la fine del governo Draghi ( definitiva?) anziché favorire il cambiamento spostano gli equilibri verso il mantenimento dello status quo in Europa. E non è una buona notizia per l’Italia.

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