L'intervista

"I tatticismi di Conte sulla guerra sono un problema", ci dice Quartapelle

Valerio Valentini

La responsabile Esteri del Pd critica l'uso strumentale del pacifismo da parte di Salvini. E poi avverte gli alleati: "L'invasione dell'Ucraina mette in ballo valori esistenziali del fronte progressista. Non sono ammesse ambiguità"

La guerra nel Donbas e quella in casa. “Non sarei così drastica”. Eppure, nel vostro campo largo, è indubbio che il conflitto in Ucraina abbia prodotto una lacerazione nei rapporti col M5s. “Registro che, al netto di certe dichiarazioni e di un certo tatticismo mediatico, il Movimento ha sempre lealmente sostenuto tutte le decisioni del governo Draghi sul sostegno a Kyiv e sulla condanna a Putin. E fintantoché che le cose resteranno così, non ci saranno problemi. Quanto a noi, quanto al Pd, la nostra convinzione rimane quella di sempre: e cioè che prima del valore delle alleanze va tutelato l’interesse del paese, e non si può che farlo nella prospettiva di un rafforzamento dell’Europa. Semmai, c’è il dispiacere per il perdurare di certe ambiguità, per questo voler tenere il piede in due staffe”. 


Se ci sia più furbizia o più incapacità di comprendere la portata degli eventi, Lia Quartapelle fa fatica a dirlo. “Mi spiace piuttosto che, nel tentativo di logoramento del governo Draghi in un momento e su un tema così delicato, si faccia un uso strumentale e un po’ meschino del pacifismo”, dice la deputata dem, responsabile Esteri della segreteria di Enrico Letta. “E ci tengo a chiarire che quella della pace è una richiesta più che legittima, sacrosanta, che sale da molte parti della società e che riflette sensibilità radicate, e che del resto riflette una sincera apprensione per quel che sta succedendo in Ucraina. Poi però c’è anche chi, come Matteo Salvini, usa il pacifismo come un alibi. Lui che ha sempre predicato la necessità di armare chiunque, che per anni ha fatto comizi sulla difesa che è sempre legittima, quando il gioco internazionale si fa drammatico ricorre alla furbizia, all’umanitarismo di maniera”. 


Non fa molto di diverso, però, Conte. Che pure è vostro alleato. “Il M5s esprime al governo, soprattutto col ministro Di Maio, una posizione atlantista ed europeista totalmente condivisibile. Se c’è da fuori chi, non avendo queste responsabilità nell’esecutivo, esprime convinzioni diverse, credo che indebolisca anzitutto il Movimento. Specie se si tratta di chi, dopo tre anni trascorsi a Palazzo Chigi, non può non sapere di quanto fondamentale sia, per la credibilità di un paese, il collocamento strategico sullo scacchiere internazionale”.


Ce l’ha con Conte, dunque. “E’ il contrario, in effetti. Io a Conte riconosco di essersi intestato la svolta europeista del M5s, e di averlo fatto addirittura prima di allearsi col Pd. Il voto a Ursula von der Leyen, il ribadire la vicinanza di Roma a Francia e Germania, perfino nella vicinanza a Trump c’era la consapevolezza che solo nel rispetto delle alleanze strategiche si possono perseguire gli interessi fondamentali dell’Italia”. E ora? “E ora mi pare prevalga, in una parte del M5s così come nella Lega, l’ansia di assumere pose estetiche, per fini elettorali. E in questo, però, c’è come uno svilimento del tema della guerra, dei valori e delle prospettiva che un evento del genere mette in discussione. La delega fiscale o il salario minimo sono temi importanti, certo. Ma la guerra è un’altra cosa. Usare questa e quelli indifferentemente per guadagnare un titolo sul giornale, per accaparrarsi qualche punto nei sondaggi, non è saggio”.


Rientra in questa logica anche l’insistenza con cui Conte chiede a Draghi di riferire in Aula sulla crisi ucraina? “Ecco, anche questa è un’insistenza un poco strumentale. Il governo informa settimanalmente l’Aula sui vari aspetti della guerra: giorni fa Guerini è stato audito al Copasir, nelle prossime ore Cingolani verrà a illustrarci gli sviluppi sulla questione energetica. Dunque, di quale mancanza di chiarezza ci si lamenta? Nel dl Ucraina siamo stati proprio noi del Pd a voler inserire un passaggio che impegna il governo a riferire almeno una volta ogni tre mesi. Che senso ha, ora, alimentare la polemica?”.


Glielo avete chiesto, a Conte? “La posta in gioco è enorme, qui. Ci troviamo in una di quelle svolte delle storia in cui si definiscono scelte strategiche, direi perfino esistenziali. Chiarirsi su questi aspetti serve a ritrovare le ragioni dello stare insieme, del condividere un certo percorso. Le elezioni in Francia e Germania, sia pure in modo diverso, ci dicono che c’è una richiesta di competenza e affidabilità in momenti di crisi, e che c’è una questione sociale, che è anche ecologica, che non può essere ignorata ma che va trattata con serietà. La stagione del sovranismo caciarone mi pare alle spalle. E non a caso Giorgia Meloni inaugura un linguaggio nuovo. La retorica della paura e della rottura non funziona più: sono convinta che lo capiranno tutti”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.