contro putin e contro la nato

A Roma è un 25 aprile anni Settanta. Dell'Ucraina neppure una bandiera

Uno striscione recita “Con i fascisti non parliamo dal 1945”. E con Putin, allora?

Gianluca De Rosa, video di Giorgio Caruso

Si canta di “scacciar l’invasor con le bombe a mano” ma si predica la pace. Le armi all’Ucraina no, meglio darle ai palestinesi. Deliri con pochi sprazzi di lucidità. “È difficile cantare Bella ciao senza pensare alla resistenza ucraina”, dice Miguel Gotor. E la partigiana Iole Mancini, 102 anni: “Ricordo tutto, con grande dolore"

Sul palco è po’ è una seduta di psicanalisi collettiva, un po’ il sonno della logica (oltre che delle coscienze). Aldo Pavia, vicepresidente dell’associazione nazionale ex deportati, per difendere l’Anpi dopo le polemiche, usa un argomento soprendente. “Dicono che l’Anpi non può parlare perché i partigiani non ci sono più. Ma come? E allora i cristiani con Cristo che è morto duemila anni fa?”. Nella coda del corteo, invece, è una sfilata. Un carnevale di mostri della liberazione. Gli effetti collaterali sul 25 aprile della guerra in Ucraina. Alla manifestazione dell’Anpi – alla quale nonostante le polemiche hanno partecipato più di mille persone – oltre ai vessilli dell’associazione e la grande scritta “Partigiani”, ci sono le bandiere rosse della Cgil e quelle delle federazioni di categoria. E’ il sindacato ad aver portato più persone in piazza. Ma poi c’è un po’ di tutto. Divisi in blocchi, ognuno con il proprio striscione. Ecco Emergency, Libera, Potere al Popolo, i giuristi democratici, il partito comunista, Rifondazione, gli studenti medi… Questi ultimi hanno il merito di far irrompere il presente su questo corteo anni Settanta. Sul loro striscione la parole “partigianə” è scritta con la schwa. Poi arcobaleni della pace, tricolori e le immancabili bandiere palestinesi. Non ci sono invece quelle dell’Ucraina. La comunità al corteo non partecipa. E’ a largo Argentina con altre associazioni della Resistenza, Azione, +Europa e Radicali.

    

Tra largo Bompiani, per le strade di Garbatella e Ostiense, fino Porta San Paolo, luogo simbolo della Resistenza romana, sfila la carovana degli sciroccati. Dalle casse suonano note battagliere. Bella ciao, la brigata Garibaldi. Inviti “a scacciar l’invasor con le bombe a mano” e a ricordarsi “chè se libero un uomo muore che cosa importa di morir”. Eppure si predica la pace, la resa Ucraina. Non è dissonante tutto questo con quello che sta accadendo? “Assolutamente no”, ci dice il presidente dell’Anpi Roma Fabrizio De Sanctis. “I partigiani hanno combattuto per la pace, quello è il primo valore della Resistenza, il simbolo dei partigiani non è un’arma ma un fiore”. Un fiore per la vita data per la libertà, però. Ma questo De Sanctis non lo dice. D’altronde l’equidistanza è predicata negli striscioni e nei cartelli. In quello della Cgil, su sfondo tricolore, a lettere cubitali si legge “Solo la pace”, Sinistra Italiana segue pedissequamente “Se vuoi la pace prepara la pace”. Ci sono poi quelli che portano avanti il concetto. “Contro Putin e contro la Nato”, scrive Rifondazione. Mentre il partito comunista decide che non c’è neppure bisogno di citare Putin: “Il 25 aprile è dei partigiani non dei servi della Nato”.

  

Affascinante lo striscione della Fillea Cgil, che recita: “Con i fascisti non parliamo dal 1945”. E con Putin, invece, bisogna parlare? “Bisogna provare a dialogare”, dice Diego Piccoli della federazione. Quindi Putin non è un fascista? “E’ un dittatore, siamo in difficoltà”, ammette. “Non vogliamo il riarmo globale, ma gli ucraini vanno aiutati”. Quelli con più spirito sono quelli del partito comunista italiano. “Draghi, Draghi, in Siberia”, intonano. Ma almeno conservano un po’ di goliardia. Se per il premier augurano soluzioni staliniane, per il segretario del Pd Enrico Letta scelgono di non utilizzare il torpiloquio. E diventa “Letta, Letta, birichino”. Poi ricordano i buoni e vecchi tempi andati. “Non c’è vittoria non c’è conquista senza un grande partito comunista”. Due signore con le bandiere di Sinistra italiana quasi si commuovono. “Ti ricordi quand’eravamo giovani?”.

   

Le scritte più violente però non sono appannaggio dei gruppuscoli comunisti. Le portano quelli della delegazione palestinese. “Letta-Zelensly e il battaglione Azov non sono i nuovi partigiani”. E ancora: “I partigiani a quelli del battaglione Azov gli sparavano altro che regalargli armi”, oppure: “Stop armi all’Ucraina Nato e neonazisti non fanno la resistenza ma la guerra di conquista”. Deliri scritti che anticipano quelli a parole. Armi all’Ucraina? “E perché non ai palestinesi che stanno resistendo da 70 anni?”. E ancora: “Perché la Palestina deve cedere davanti a Israele e invece l’Ucraina no davanti a Putin?”. Ma soprattutto: “La guerra l’ha voluta la Nato che ha fatto irruzione in Ucraina”. E ancora logica e storia che saltano: “La Resistenza italiana non l’ha armata nessuno, perché dovremmo armare gli ucraini?”. Per finire. “In Ucraina non c’è la Resistenza ci sono gli eserciti che si fanno la guerra mossi da interessi economici”. Si capisce facilmente perché il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha preferito non essere qui.

 

Per fortuna però non c’è solo questa fabbrica degli orrori. La Provvidenza della Resistenza è intervenuta per salvare con sprazzi di lucidità e persino di poesia il corteo che celebra una delle giornate più importanti della storia d’Italia. Sul palco, senza ricevere applausi, è l’assessore alla Cultura Miguel Gotor il primo a pronunciare il grande rimosso. La parola Ucraina. “È difficile oggi cantare bella ciao senza pensare alla resistenza del popolo ucraino”, dice. Dopo di lui, a sfidare i contestatori, ci pensa Silvia Costa, presidente dell’Associazione partigiani cristiani. “Questo 25 aprile ci interpella in modo più profondo degli altri anni. Siamo contenti che il presidente Pagliarulo abbia voluto chiarire le sue parole: non possiamo pensare di non rivolgere la nostra solidarietà al popolo ucraino. Avrei avuto piacere che una persona che rappresenta l’Ucraina fosse qui”.

 

Poi, dopo tanto rumore, per alcuni minuti c’è un momento quasi onirico. Sul palco c’è la partigiana Iole Mancini, 102 anni. Ha la voce piegata dall’età. Parla alternando a ogni parola una lunga pausa. Lenta, ma decisa. Alle grida strarnazzanti e insensatamente robanti di tanti pacifisti e ipocriti che hanno parlato prima di lei, contrappone un suono sottile: “Ricordo tutto, con grande dolore, per i nostri compagni che ci hanno lasciato per la libertà”, dice.

  

Poi, saluta soddisfatta con le mani al cielo. La folla allora intona Bella ciao. E lei, al microfono, segue volentieri. Con la voce sincopata e flebile. E per un attimo sembra che questa giornata tradita dall’Anpi sia stata riscattata da una delle ultime combattenti. Poi gli organizzatori – che a quanto pare capiscono logica ed estetica allo stesso modo – decidono che così non funziona, e fanno partire a tutto volume una base orrenda che copre le note fragili e bellissime della partigiana. Una metafora perfetta.

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