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le urne grilline

Conte cerca il plebiscito per la guida del M5s, ma l'affluenza resta un'incognita

Valerio Valentini

"Se avessi una maggioranza risicata, farei un passo indietro", annuncia il leader. Ma non fissa, cautamente, l'asticella sul numero dei votanti. L'ultima volta ci si è fermati al 30 per cento tra gli aventi diritto: non un buon segnale

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Si gioca tutto perché teme di restare a giocare con niente. Ma siccome sente che l’azzardo è grosso, la puntata la lascia cadere vaga, fumosa. Eccolo, Giuseppe Conte alla vigilia della consultazione che dovrebbe riconfermarlo alla guida del M5s. Eccolo chiedere il plebiscito digitale. “Non mi accontenterei di un 50,1 per cento dei voti. Se il risultato fosse risicato, sarei il primo a fare un passo indietro. Il M5s ha bisogno di una leadership forte”. Dunque, apparentemente, all in. “Vi chiedo nuovamente la vostra fiducia”, dice, in un video a metà tra il motivazionale e il propagandistico diffuso sui suoi canali social nella giornata di sabato, in vista della votazione online che si svolgerà oggi e domani.
 

 

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Vuole l’investitura indiscutibile, il fu avvocato del popolo, per sentirsi forte di una legittimità di capo che al momento è messa in discussione anzitutto dal ricorso pendente al tribunale di Napoli. Ma la vuole anche per poter regolare i conti in casa sua. “In caso di decisa riconferma, le cose inevitabilmente cambieranno”, annuncia. Perché “anche al nostro interno il cambiamento che abbiamo promosso ha prodotto resistenze, malumori, distinguo”. Al che lui, davanti a un M5s che è parso “diviso, litigioso, contraddittorio», ha finora usato una «dose aggiuntive di pazienza”. Ma ora basta, ora non è più tollerabile. Messaggio chiaro a Luigi Di Maio. L’ostilità tra l’ex premier e il ministro degli Esteri non è certo risolta. Quel conflitto esploso durante la baruffa quirinalizia è stato poi congelato dallo scoppio della guerra vera, quella di Putin contro l’Ucraina: ma ora bisogna una volta per tutte arrivare al redde rationem.

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Dunque, la ricerca del plebiscito. E però, nel momento stesso in cui lancia la sua rincorsa a una maggioranza bulgara, Conte si riserva una certa dose di cautela. Perché è assai prevedibile che la percentuale dei Sì in suo favore sarà altissima, com’è sempre stato. L’incognita vera, però, sta nell’affluenza online. Nel numero, cioè, degli iscritti al M5s che esprimerà il suo click. E in questo senso, la sfida appare più incerta. Lo di mostra, d’altronde, la recente consultazione dell’11 marzo scorso, quando la comunità grillina è stata chiamata ad approvare le modifiche al nuovo statuto. I sì sono stati tantissimi: il 91,6 per cento. Ma a votare sono stati appena 38.735 persone: non più del 30 per cento dei 125.200 aventi diritto. Un dato che segnala la stessa tendenza, ma con un allarmante disaffezione crescente, anche rispetto al voto che aveva inaugurato “il nuovo corso”, eleggendo Conte alla presidenza del M5s. Era il 6 agosto 2021, quando l’ex premier si vide votato da 62.242 attivisti. Rappresentavano il 92,8 per cento dei votanti. E però anche in quel caso a votare erano stati 67.064 persone: il 58 per cento degli aventi diritto, che in quel momento erano 115.130.

 

Ecco allora che, vista sotto questa luce, la ricerca del plebiscito da parte di Conte appare più incerta, più insidiosa. E forse è anche per questo che ieri, a un certo punto, dall’entourage del leader grillino è filtrata una velina velenosa: “Guarderemo chi condivide il video di Giuseppe e chi no, perché siamo stufi di chi rema contro, dei sabotatori”. Un avvertimento che aveva mandato in subbuglio i gruppi parlamentari, coi deputati che si chiedevano: “E cosa siamo, nella Russia di Putin?”. Forse anche per questo, poi, l’imbeccata è stata rettificata, fino insomma a essere contraddetta, smentita. Ora la parola passa agli iscritti. Oggi e domani si vota. Conte vuole il piatto pieno. O tutto, o niente.

 

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