Conte indica la strada per il Mattarella bis, e complica i piani di Letta

Valerio Valentini

Le trame dell'ex premier: "I collaboratori del capo dello stato hanno lasciato spiragli per il rinnovo". I dubbi di Letta, che teme la strategia del caos a cinque stelle. Di Maio diserta l'assemblea dei parlamentari grillini e incontra Brugnaro. L'alleanza rossogialla si sfarina all'ombra del Colle: il fattaccio in Lombardia. E Renzi pensa al governo del dopo-Draghi: "I segretari di partito dovrebbero entrare nell'esecutivo". 

Altro che contrarietà. Se la reazione alla fuga in avanti dei senatori sul Mattarella bis è stata piccata, è proprio perché quel metodo, “quel marcare un nome che deve invece restare super partes”, rischia semmai di complicare la riconferma del capo dello stato. E complicare pure, per inciso, la strategia già incerta di Giuseppe Conte. Che per questo catechizza i suoi coordinatori, i suoi vice e i suoi parlamentari più fidati: “Se vogliamo puntare a un Mattarella bis dobbiamo giocarla in modo diverso, la partita sul Quirinale”. 

Parlarne il meno possibile, dunque, e lasciare che maturino gli eventi. Perché Conte, e insieme a lui un paio di ex ministri grillini che hanno tenuto buoni contatti con l’alta burocrazia quirinalizia, garantisce che sì, i collaboratori di Mattarella hanno lasciato aperto “più di uno spiraglio” per il rinnovo del mandato. E di questo ne è convinto anche il capogruppo alla Camera Davide Crippa, che ieri sera ha riunito su Zoom i suoi deputati e che però già giorni fa spiegava ai  colleghi come, al di là della necessaria dissimulazione, Mattarella non si sia affatto precluso la via del bis. “Sempre che noi, però, non lo trasciniamo nella polemica”, aveva concluso Crippa. Attendere, dunque. Scommettendo sull’inconcludenza preventivabile delle prime votazioni. Le prime tre, anche a causa delle  defezioni da Covid, da tutti sono considerate inutili. Dalla quarta si inizia con le candidature di bandiera destinate – a dispetto della sicurezza del Cav. – a trovare ben poca fortuna. Ed è a quel punto che la partita  potrebbe risolversi a favore di un nome condiviso. E qui sta il bivio di fronte al quale quasi tutte le speculazioni si ritrovano: Draghi o Mattarella?

Al Nazareno preferirebbero il primo, anche a costo di dover annaspare per trovare un’intesa sul governo che verrà. E forse anche Luigi Di Maio, che infatti per domani sera, quando è prevista l’assemblea congiunta del M5s alla presenza di Conte, ha messo in agenda un incontro con Luigi Brugnaro, leader di Coraggio Italia e fervente draghiano. “Mattarella ha tutta la nostra stima, ma difficilmente la destra convergerebbe”, sibilano i consiglieri di Enrico Letta. E un’eventuale passaggio a vuoto sul presidente uscente, inviso a  Salvini e  Meloni, renderebbe l’impasse qualcosa di molto simile a un pantano. “E siccome non siamo nella Prima Repubblica, non possiamo permetterci di arrivare al quindicesimo scrutinio”, sospira il senatore dem Alessandro Alfieri. Dando voce a un timore che è lo stesso che Letta condivide di buon mattino coi membri della sua segreteria, in un incontro travagliato dal lutto di David Sassoli, che induce il segretario a rinviare a sabato la direzione prevista per giovedì. “Stiamo attenti – avverte Letta –  perché il prolungarsi delle votazioni, insieme alle prevedibili recriminazioni dei parlamentari no vax che non andrebbero ammessi alla Camera, potrebbe scatenare un’ondata di proteste fuori dal Palazzo da non sottovalutare”.

Servirebbe insomma un’intesa preventiva. Ma col centrodestra arroccato di malavoglia intorno al Cav., e col M5s allo sbando che non disdegna l’ipotesi del caos per giungere a Mattarella, il Pd si ritrova in una strettoia in cui anche i rapporti di buon vicinato rossogiallo si sfarinano. Lo si è visto al Pirellone ieri pomeriggio, quando il M5s, in spregio agli accordi di coalizione presi, ha bruciato il consigliere dem Fabio Pizzul ottenendo invece, grazie a un accordo con la Lega, che il designato di opposizione nella terna dei grandi elettori lombardi fosse il suo Dario Violi. Eccola, ridotta in scala, l’affidabilità del M5s nel segreto dell’urna.  

Ed è proprio tra le contraddizioni irrisolte del demogrillismo che prova a insinuarsi Matteo Renzi. Per il quale  Letta e Conte cercano una via di fuga, purché sia, e non è detto che alla fine  i due alfieri del campo largo individuino lo stesso sentiero. “Mattarella non concederà il bis, checché ne dicano i suoi collaboratori”, assicura il leader di Iv. Che, anzi, nel suo gioco su più tavoli, ora sostiene la bontà dell’apoteosi quirinalizia di Draghi. “E per garantire la saldezza del governo che succederà al premier attuale, sarebbe bene che ci entrassero tutti i segretari dei partiti di maggioranza”, dice Renzi. Ipotesi che ieri veniva benedetta da Giorgio La Malfa, nei corridoi del Senato, proprio davanti a un Pier Ferdinando Casini, pure lui quirinabile, che di lì a poco avrebbe scoperto la sua (seconda) positività al Covid. Una manciata di esponenti del Pd, passando di lì e intercettando la conversazione, si lasciavano andare a un’ironia che forse non era solo dettata dalla celia: “Tranquillo, Pier, noi ti voteremmo anche se fossi convalescente”. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.