la corsa al colle

Un presidente della Repubblica per tornare alla politica

Goffredo Bettini

Mai come in quest’ultimo anno i partiti hanno annaspato. Il nuovo corso passa dall’elezione del capo dello stato. Due le ipotesi per il Quirinale: Draghi o un’alternativa forte che ancora non c’è. Bettini ha un identikit

L’Italia esce dall’ultimo anno di governo più forte e credibile, nonostante l’emergenza continui e gli imprevisti siano all’ordine del giorno. Alcune correnti sotterranee, tuttavia, preoccupano e, seppure meno visibili, rendono il terreno su cui poggiamo ancora incerto e friabile. Il merito della nostra ripresa è riferibile in buona parte all’autorevolezza e alla capacità operativa di Mario Draghi. Anche se, nonostante la campagna demolitrice dei grandi giornali italiani, molto di buono era già stato impostato e realizzato dal governo Conte II.

Eppure, non riesco a togliermi dalla testa che l’edificio positivo che mattone su mattone abbiamo costruito nasconda un inquietante vuoto politico e democratico. Mai come in questo ultimo anno la politica e i partiti hanno annaspato. Si è persino spezzata l’unità di un comune universo simbolico. I riferimenti e le parole sembrano aggiustati a caso e dicono poco della realtà. Dove un tempo ci fu aspra lotta politica nell’ambito di un medesimo linguaggio, oggi c’è lo sfarinamento dei significati e una moltitudine di enunciazioni dettate dal caso o dalla convenienza momentanea. Tanti frammenti che non fanno un discorso.

Certamente la contraddittorietà dei processi che abbiamo vissuto non aiuta a superare la povertà dell’azione politica. Raramente, il contrappunto dei giudizi ha indotto a un tale spaesamento. Si dice: l’Italia è un esempio per tutta l’Europa. E poi: è grande l’astensionismo e la quantità delle rivolte anti istituzionali, a partire dai No vax. C’è una portentosa ripresa. E poi: sono aumentati spaventosamente i poveri e la solitudine sociale. Il pil è balzato in avanti. E poi: le imprese chiudono e i lavoratori sono gettati per strada. Il Covid ha fatto emergere un’Italia solidale. E poi: si moltiplicano i casi di violenza e di razzismo. Il vaccino salva la vita e la terza dose ci protegge. E poi: forse no, nonostante i vaccini ci si può infettare. Anche la terza dose non risolve il problema.

A tutto questo si accompagna la sensazione netta che l’emergenza e la sua necessaria gestione, abbiano ridotto i partiti italiani, già stremati, a un ruolo sempre meno sostanziale. Talvolta fanno la voce grossa, ma sembra più per darsi coraggio che non per incidere veramente. Non è un caso che quelli che resistono maggiormente, come Fratelli d’Italia, si siano tirati fuori dalle responsabilità di governo o, come il Pd, abbiano scelto di immedesimarsi in un ruolo di responsabilità nazionale, seppure grazie a Letta e ai propri ministri, con dignità, con la schiena dritta, con alcuni importanti contenuti. La sostanza ci dice, però, che lo scacchiere entro il quale i partiti si muovono è preordinato. Obbligato. Anche perché perimetrato da un leader della statura di Mario Draghi.

 

Ogni forza politica sa che al di là di qualche sortita propagandistica non può pretendere di più. Ogni deroga è sanzionata dalla grande stampa, dalle élite che contano, dai circoli internazionali che proteggono la rinnovata e saldissima intesa tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa. Si poteva sperare che questo ruolo più defilato dei soggetti politici tradizionali venisse utilizzato per un loro rinnovamento, un arricchimento delle loro idee e dei progetti per il paese, un miglioramento del loro rapporto con i cittadini. Non sembra che ciò sia accaduto a sufficienza. Piuttosto si è allargato il terreno trasversale di manovre tra i partiti e dentro i partiti; nei quali si accentua lo sfilacciamento delle coerenze, delle solidarietà, delle lealtà, della sincerità delle posizioni.

Se questa è la situazione, come credo fermamente, l’elezione del presidente della Repubblica dovrebbe essere assunta come l’occasione per invertire tale tendenza e per aprire una fase nuova della politica italiana. Lo stesso Draghi, in qualche modo, ha dichiarato che il suo compito emergenziale è finito. Ciò significa che se non subito, comunque tra qualche mese, il sistema politico dovrà ritrovare la via di alternative civili e democratiche tra progressisti e conservatori. Tra destra e sinistra. Mi auguro, per il bene dell’Italia, che tali alternative vivranno in un clima di civile confronto, di reciproca legittimazione, di rispetto tra i contendenti in campo, di fedeltà da parte di tutti alla costituzione italiana.

Non sono tra coloro che sperano in un deserto di rappresentanza nel campo avverso. Combatto affinché la mia parte abbia la maggioranza dei consensi; eppure il rompete le righe da parte di chi rappresenta una parte consistente del nostro popolo nella destra italiana, non porterebbe altro che l’aumento della sfiducia, del rifiuto del sistema democratico, delle manifestazioni morbose di ribellismo inconcludente.

 

Nello scenario descritto, il percorso per l’elezione del presidente della Repubblica appare ancora incerto e la discussione sui nomi si è aperta troppo in anticipo. Si capisce, innanzitutto, che in campo c’è Berlusconi. Non entro nel merito di questa candidatura che naturalmente la sinistra non può accettare e, anzi, combatterà. Ma la cosa certa è che quella di Berlusconi è una candidatura politica. Al di là degli appelli a grandi convergenze e alla ricerca di figure esclusivamente di garanzia, Forza Italia mette in campo un leader a tutto tondo; che ha segnato gli ultimi trent’anni della storia italiana, i quali verrebbero rivisitati in modo radicale a seconda che il Cavaliere riesca nella sua impresa o, al contrario, fallisca. Per una serie di ragioni che qui non elenco, credo difficile che vada a buon fine tale tentativo. A quel punto si aprirebbe uno spazio politico per una iniziativa dei partiti.

La figura in campo più forte e naturale resterebbe quella di Mario Draghi. Ma il tema è se tale figura emergerà come la continuità della fase emergenziale, che lo stesso Draghi ritiene conclusa, con un sovraccarico di compiti e di aspettative che anche nei prossimi anni oggettivamente toglierebbero sovranità al conflitto politico, oppure se essa rappresenterà una fase nuova e un supporto e stimolo per una inedita democrazia dei partiti. Mantenendo positivamente per l’Italia il suo indiscutibile prestigio internazionale e la sua influenza positiva nei mercati finanziari del mondo. L’esito della scelta che compirà, non sta nelle mani solo delle forze politiche, ma dovrebbe emergere da espliciti intendimenti dello stesso presidente candidato. E’ questione di accenti, di comportamenti, di un clima, anche tra i suoi collaboratori più stretti, che superi l’idea che la politica sia comunque un peso e che anche quando dimostra di essere efficiente e meritevole (per esempio a capo di alcune aziende) vada sostituita con profili tecnici.

Vedremo come si risolverà il dilemma; che al di là di qualche ipocrisia di troppo sulla necessità che Draghi guidi il governo fino al 2023, mi pare essere il vero dilemma.

 

L’altra via possibile sarebbe uno scatto di volontà dei più importanti leader politici italiani per indicare una soluzione diversa da quella di Draghi, in grado di ottenere la maggioranza in Parlamento. Se si dovesse arrivare a questo punto, mi pare essere la scelta meno indicata la ricerca di una figura dai contorni incerti, scolorita, nella speranza che si riveli sostanzialmente debole e ininfluente sul sistema politico e proprio per questo votabile da tutti.

Che significa una soluzione di garanzia? Garanzia rispetto a cosa? Certamente di garanzia perché strettamente legata alle prerogative che la Costituzione italiana concede al presidente della Repubblica. Ma oltre questa premessa generale e indispensabile, l’attuale democrazia italiana necessita di un’altra garanzia. Sostanziale e impegnativa: tornare a una rappresentanza estesa dei cittadini, delle loro speranze e delle loro difficoltà, con un’articolazione delle forze politiche che competono nel quadro di una reciproca legittimazione. Che dal caos, insomma, sorga un nuovo ordine, dentro il quale riprendano coerenza le parole, i programmi, i principi e i valori del confronto democratico, e anche del conflitto sociale.

Tale garanzia ha bisogno di un presidente che sia legato alla sua funzione costituzionale, ma che abbia spiccata esperienza e lungimiranza politica e intimo rispetto del sistema dei partiti. I quali, per altro, esistono e agiscono in tutti i paesi liberi dell’Europa. In questo senso, ha ragione Renzi: la maggioranza per un presidente non deve per forza coincidere con la maggioranza dell’attuale governo. Parliamo di due livelli diversi. Uno legato all’emergenza, l’altro alla forma futura della Repubblica.

Naturalmente, l’esito di questo percorso è legato alla generosità, alla velocità e alla reattività dei leader in campo. Dovrà essere, cioè, una battaglia di movimento. Se nessuno sarà in grado di cogliere lo spazio disponibile, egualmente nessuno potrà in seguito rammaricarsi per la franchezza e lo stile diretto del presidente Draghi. A quel punto non solo legittimo, ma indispensabile per l’Italia.

 

Quando parlo di caratura politica, mi riferisco alla duplice capacità di intervenire nei processi con la “tecnica” appropriata e la “forza” necessaria. L’iniziativa in questa direzione dovrebbero caricarsela sulle spalle i leader dei maggiori partiti; soprattutto quelli che più hanno sofferto e soffrono nella situazione compressa dall’emergenza. Curandosi nell’avanzare una proposta più delle doti necessarie a cui ho accennato precedentemente, piuttosto che dello schieramento politico dal quale la medesima proposta proviene. Un disinteressato colpo d’ala potrebbe sembrare avventuroso agli elettorati di ciascuno, tranne non si trasformi per chi lo realizza nella conquista di una centralità politica in grado di assicurargli una nuova legittimità e una nuova funzione nella futura contesa per il governo nazionale.

Penso, francamente, che lo stesso Salvini che per una lunga fase è stato il dominus nel suo campo, non possa rimandare troppo una riflessione autocritica circa le posizioni sull’Europa (quando da lì giungevano agli italiani enormi sostegni che ci hanno salvato) o sul virus, sottovalutando, proprio lui abitualmente geniale nel cogliere e ingigantire le paure del popolo, quanto la paura per la salute propria e della famiglia sia stata grande e penetrante nell’animo di tutti e, dunque, penso quanto sia importante anche per lui mettersi in movimento.

Non so cimentarmi con la girandola di nomi, ma, sembra a me, che seguire una traccia politica di ragionamenti diversi e aperti, sia la condizione migliore per volgere al positivo le settimane che abbiamo dinnanzi.