Il cantiere delle riforme

Così la riunione sul Recovery a Palazzo Chigi s'è trasformata in un processo a Franceschini

Valerio Valentini

Il vertice organizzato da Garofoli per sciogliere i nodi sul decreto "Semplificazioni" si risolve in zuffa tra i ministri. E il titolare della Cultura finisce alla sbarra: "Così metti a rischio i fondi europei". Il battibecco con Brunetta, la svolta di Cingolani. E il M5s protesta: "Noi neppure coinvolti"

Per quelli di loro, specie i neofiti del genere, che non avevano mai assistito a un vertice simile, pare sia stato uno spettacolo notevole. “Più che una riunione, una lotta  di sumo”, commentavano tra loro i ministri tecnici, nel buio dei vicoli romani, al termine dell’incontro. E sì che Roberto Garofoli, insofferente al montare della polemica e ai pettegolezzi che  si stava portando dietro, il suo ufficio di Palazzo Chigi, martedì sera, lo aveva apparecchiato proprio per risolvere i dissidi intorno al decreto “Semplificazioni”. E invece è finita come in parecchi temevano sin dall’inizio: e cioè con un processo politico a Dario Franceschini.

 

E certo il ministro della Cultura sapeva che a lui sarebbe toccato il ruolo più scomodo: difendere quello che difficilmente difendere si può, e cioè la mentalità ostruzionistica dei suoi apparati, quando l’obiettivo diventa accelerare e snellire le procedure, semplificare appunto. Semmai, sperava almeno di non essere l’unico messo alla sbarra. E invece abbastanza presto Roberto Cingolani lo ha lasciato solo, convenendo che sì, “molte delle prassi consolidate finora sono, più che sbagliate, semplicemente incompatibili con la logica del Recovery plan”. Che, ridotta all’osso, suona così: se non spendi in tempo i soldi, se non completi le opere previste entro le scadenze concordate con Bruxelles, le risorse smettono di arrivare. “E noi ovviamente questo non possiamo permettercelo”, ha ribadito il responsabile della Transizione ambientale, che ha avuto anche lui il suo bel daffare nell’imporre un cambio d’approccio ai consulenti del suo ministero.

 

E così, sul tavolo della negoziazione intorno a cui si muovevano i ministri più coinvolti nella stesura del decreto “Semplificazioni” coi loro capi di gabinetto, sono finiti quattro problemi da risolvere. E per ciascuno, come che si muovesse e che si voltasse, Franceschini si ritrovava con gli indici degli altri puntati contro. Quando si è parlato degli scavi necessari per installare i cavi della banda ultra larga, Vittorio Colao ha spiegato che non è pensabile dover attendere fino a 90 giorni per le autorizzazioni di rito. “A questo punto, propongo che anche a fronte di un parere contrario da parte delle Soprintendenze - ha detto il ministro della Transizione digitale - si possa comunque procedere in caso di un mancato pronunciamento da parte della conferenza dei servizi coinvolta”. Una logica da silenzio assenso che è parsa subito allettante anche a Cingolani e a Enrico Giovannini, che da giorni, nello scambio di dispacci tra Mef, Palazzo Chigi e ministeri vari, chiedono di estenderla anche alla valutazioni di impatto ambientale sulle opere del Pnrr e all’installazione di impianti per le energie rinnovabili. Franceschini s’è subito irrigidito. “Non posso essere io, da ministro della Cultura, a mettermi contro le Soprintendenze”, ha ribadito. “E poi il silenzio assenso è un meccanismo perverso che, specie nei piccoli comuni, può incentivare processi corruttivi”.

 

A quel punto s’è scosso anche Renato Brunetta, ricordando che lui, col suo piano, prevede appunto di rinforzare le amministrazioni locali dotandole di task force e nuove professionalità, “ma se non cambiano le direttive dall’alto, neppure un esercito di funzionari pubblici servirà a velocizzare le pratiche”. Giovannini ha annuito. E Franceschini allora s’è rifugiato nel campo dei valori: “Guardate che la tutela del paesaggio non è un capriccio di quattro burocrati, ma un principio riconosciuto dalla Costituzione”. Solo che gli altri, inflessibili, lo hanno riportato nella palude. “Che si fa col Superbonus?”. Franceschini, di nuovo, ha esposto le sue ragioni: dicendo che sì, capisce che bisogna garantire a quella misura il massimo tiraggio, e dunque evitare troppi impedimenti nei casi di irregolarità edilizie, “ma non può passare come un condono”.

 

Al che è toccato a Garofoli, alla fine, proporre delle mediazioni. Sul Superbonus, prospettando dei permessi pro tempore nei casi di piccoli abusi (io ti garantisco l’accesso immediato alle detrazioni al 110 per cento, ma tu ti impegni a sanare entro una certa scadenza), e sulle altre controversie. Il tutto, peraltro, in tempi rapidi. Perché Mario Draghi vuole mandare a Bruxelles una bozza del decreto “Semplificazioni” entro domenica, insieme al provvedimento sulla governance del Pnrr. E dunque bisognerà convocare un altro vertice, nei prossimi giorni, magari alla presenza del premier. E ricordandosi di invitare, stavolta, anche qualche esponente del M5s. Perché altrimenti, a giudicare dai mugugni con cui i ministri grillini hanno accolto a cose fatte la notizia della riunione svoltasi in loro assenza, Garofoli si ritroverà con una grana in più da dover gestire.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.