il retroscena

Così Di Maio prepara l'assalto a Cdp e Rai: "Le nomine per noi sono decisive"

Valerio Valentini

Il ministro degli Esteri raduna i suoi fedelissimi. "Dobbiamo tutelare Conte perché è la nostra unica arma. Siamo in balìa degli eventi, e il Pd si vendicherà". Poi, la battaglia principale: "Dobbiamo batterci per la riconferma di Palermo in Cdp". Il doppio gioco sui servizi segreti

Dopo quelle perse, quelle da non perdere. E pazienza se l’affezione alla roba, l’ossessione per le manovre di Palazzo, appare poco in sintonia con la retorica del grillismo. “Ora per noi la battaglia sulle nomine diventa decisiva”. Luigi Di Maio, coi suoi fedelissimi, è stato chiaro. Le mani che si pretendevano pulite, ora vanno messe sulla cassa. Intesa anche, e soprattutto, come quella dei depositi e prestiti. “La riconferma di Fabrizio Palermo alla guida di Cdp per noi è doverosa”. E poi c’è la Rai. E il ritornello contro la lottizzazione del servizio pubblico ormai suona quasi patetico, alle orecchie di deputati e senatori che riconoscono in lui il vero leader, quel ministro degli Esteri che li esorta a stare all’erta, perché sul rinnovo dei vertici di Viale Mazzini, pure quello imminente, “dovremo farci sentire”.

 

Eccolo, Di Maio. Di nuovo ad affannarsi dietro le quinte, Giggino ’a marachella, dopo mesi di ostentato disinteresse alle beghe interne del suo partito. Eccolo che manda messaggi e telefona ai suoi colonnelli. Eccolo che riunisce i parlamentari a lui più vicini su Zoom, a sera tarda, dismessi ormai i panni del diplomatico e indossati quelli di capocorrente. Raduna le truppe, le prepara. “Per complottare contro Conte?”, si chiedono i suoi. No. Non per ora, almeno. “Giuseppe dobbiamo sostenerlo - ha detto Di Maio alla sua pattuglia, giovedì sera - perché è la nostra unica arma”.

 

Perché al di là delle tentazioni personali, la gravità del momento non sfugge a Di Maio. “Siamo in balìa degli eventi”, conferma l’ex capo ai suoi seguaci, col tono di chi sa che eventuali azzardi farebbero precipitare gli eventi. “Anche perché, dopo il mancato accordo sulle amministrative, dobbiamo aspettarci dal Pd delle ritorsioni”. Il tutto mentre, nel M5s, incombe l’ombra del tribunale di Cagliari, nel bel mezzo di una baruffa infinita a colpi di carte bollate con Davide Casaleggio. “Vito Crimi dovrebbe ottenere la lista degli iscritti da Rousseau entro domenica”, ha spiegato Di Maio, confermando però che lo spettro di una consultazione precipitosa per l’elezione di un nuovo direttorio, “non è affatto da escludere, al momento”. Il che significherebbe un nuovo inciampo sul percorso accidentato di Conte verso la guida del M5s, e nuove incognite sul destino di tutti.

 

E forse anche per questo, di fronte alla precarietà delle prospettive che s’intravedono, tra terzi mandati evanescenti e sondaggi in picchiata, Di Maio s’attacca a quanto di più concreto si ritrova sotto mano. Le nomine, appunto: cinquecento incarichi dirigenziali nelle varie partecipate di stato, dall’Anas a Fs, dalla Consob all’Antitrust. Una nuova geografia del potere da ridefinire, a partire dal 20 maggio, quando l’uscente Palermo, notoriamente gradito al M5s, si gioca la riconferma in Cdp dovendo affrontare la concorrenza di Dario Scannapieco. “Queste nomine sono decisive”, ripete Di Maio. Come a confermare che sì, lo sprezzo che i grillini provavano verso le faccende di Palazzo era un po’ come l’odio che il giovane Julien Sorel nutriva verso l’alta società parigina fintantoché, nei pranzi di gala, veniva relegato in fondo alla tavola.

 

Ora Di Maio si sente al centro dei conciliaboli che contano. Sa che da lui, Conte o non Conte, i leader degli altri partiti devono passare. E così, mentre l’ex premier si diceva indignato per il siluramento del fidato Gennaro Vecchione alla guida del Dis, tre giorni fa Di Maio quasi s’inebriava nel sapersi sul punto più avanzato della trattativa. “Sui servizi segreti non posso dire nulla, se non che di Elisabetta Belloni ho enorme stima”, ha spiegato ai suoi parlamentari. E a qualcuno, la freddezza con cui ha provato a rivendicare quella scelta, è parso quasi un anticipo di quello che verrà. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.