trame sovraniste

Così Orbán chiede a Salvini una mano per promuovere in Europa i vaccini cinesi

Valerio Valentini

Gli europarlamentari di Fidesz provano a coinvolgere i colleghi leghisti nella loro battaglia sul pass europeo: vogliono equiparare Sinopharm e Sputnik ai vaccini autorizzati dall'Ema. L'amicizia tra Budapest e Pechino rischia di diventare un problema per il leader del Carroccio

Che sia l’inizio delle grandi manovre per il nuovo eurogruppo sovranista, è probabile. Quel che è certo, intanto, è che si tratta di una richiesta d’aiuto. Quella, cioè, che Viktor Orbán rivolge a Matteo Salvini per condurre a Bruxelles una battaglia che molto gli sta a cuore: riconoscere piena dignità a Sputnik e Sinopharm, i vaccini russo e cinese, sul territorio europeo. Che, non a caso, sono i più utilizzati nella sua Ungheria. Per questo ora il premier magiaro vorrebbe rendere automatico quel che, a giudizio della Commissione, resta una facoltà rimessa alla descrizione dei singoli governi nazionali: e cioè l’inserimento dei vaccini di Mosca e Pechino tra quelli riconosciuti nel “Green pass” europeo. Solo che, da quando non fa più parte del Ppe, Fidesz è sprofondato nel girone dei dannati, ovvero nel gruppo dei non iscritti, e dunque non può presentare emendamenti al Parlamento europeo. A meno che, ed ecco il senso dell’operazione, le proposte di modifica dei provvedimenti non vengano sottoscritte da almeno un ventesimo degli eletti. Servono trentasei firme, dunque. E di qui la richiesta che gli europarlamentari del partito di Orbán hanno inoltrato ai colleghi della Lega, inviando loro un dossier di sette pagine che Il Foglio ha potuto visionare. Perché, se ai 12 esponenti di Fidesz si aggiungessero i 27 del Carroccio, la soglia minima sarebbe agevolmente raggiunta.

 

Il che, evidentemente, costituirebbe anche un primo passo verso la formazione di quella nuova famiglia sovranista che Salvini ha più volte annunciato, e in nome della quale s’è recato a Budapest a inizio aprile, per rendere omaggio a Orbán e a Mateusz Morawiecki, il premier polacco che attualmente guida, insieme a Giorgia Meloni, il gruppo dei Conservatori, e che però s’è mostrato interessato al nuovo progetto.

 

Il problema, semmai, sta nel merito degli emendamenti presentati da Fidesz. Sono quattro, e riguardano tutti il nuovo regolamento europeo per il Digital Green Certificate, ovvero il passaporto vaccinale, su cui la plenaria di Bruxelles voterà la prossima settimana. Il primo è di chiaro sapore sovranista. Perché gli ungheresi vorrebbero che il potere dei governi nazionali di imporre limitazioni alla libertà di movimento sul proprio territorio non venisse in alcun modo limitato dal pass comunitario. Puoi disporre del certificato che attesta la tua vaccinazione, insomma, ma io posso comunque proibirti di oltrepassare le mie frontiere per ragioni di pubblica sicurezza: questo, in sintesi, il senso del primo emendamento.

 

Ma sono soprattutto gli altri tre che rischiano di creare qualche imbarazzo diplomatico a Salvini. Perché Orbán chiede di rivedere la lista di vaccini che garantiscono l’accesso al Green Pass: non solo quelli autorizzati dall’Ema, ma anche quelli che sono stati inseriti nella lista d’emergenza dell’Organizzazione mondiale sella sanità e hanno ottenuto una autorizzazione temporanea dai singoli stati membri. Insomma, se passasse la proposta di Fidesz, non sarebbero più i soli AstraZeneca, Pfizer, Moderna e J&J a garantire la libertà di circolazione, ma anche Sputnik e Sinopharm. Mozione per nulla disinteressata, quella di Fidesz: perché sono circa 200 mila i cittadini ungheresi a cui è stato inoculato il vaccino russo, e più di un milione quelli che hanno ricevuto una dose del vaccino cinese. “Se restasse in vigore l’obbligo di accettare i soli vaccini autorizzati dall’Ema”, si legge nella nota esplicativa inclusa nel dossier di Fidesz, “alcuni cittadini europei che hanno ricevuto altri vaccini potrebbero essere discriminati”.

 

E se nei confronti dello Sputnik già da tempo Salvini invoca uno sdoganamento a livello europeo, col vaccino cinese la questione è più delicata. Non solo perché il Sinopharm è ancora più indietro nell’iter di autorizzazione dalle istituzioni comunitarie, ma anche perché la diplomazia del Carroccio fa dell’ostilità verso Pechino un caposaldo, laddove Orbán s'è più volte dichiarato e dimostrato alleato affidabile del regime cinese. E la divergenza si riflette anche, e soprattutto, sulle questioni legate alla pandemia. Se Budapest è stata la prima a riconoscere validità a Sinopharm e ad utilizzarlo in maniera massiccia, Salvini ha seguito un copione del tutto diverso. “Le responsabilità cinesi nella nascita e nella diffusione del virus sono evidenti”, ha più volte sentenziato il segretario leghista, che nei mesi passati arrivò anche a rilanciare la tesi secondo cui il Covid-19 sarebbe stato scientemente creato nei laboratori cinesi. Ora, essere lo sdoganatore del Sinopharm, forse è troppo. Una richiesta irricevibile, anche se a rivolgergliela è il suo nuovo fidatissimo amico Orbán. O no?

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.