l'internazionale sovranista

Salvini a Budapest, e il primo strappo rispetto all'agenda Draghi

Calenda: "Ma cosa ci fa Forza Italia con chi corre a farsi benedire da leader di regimi autocratici?". Insorge anche il M5s: "Salvini sta con chi ostacola il Recovery", dice Battelli

Valerio Valentini

Il leader della Lega sogna "un rinascimento europeo" con Orbán, ma apre un conflitto col resto della maggioranza. "L'europeismo diventerà terreno di scontro politico", dice Letta. La concorrenza con la Meloni e l'ambiugità sul "trilaterale di governo"

Parlando coi suoi deputati, la scorsa settimana, Enrico Letta aveva tracciato lo scenario: “Vedrete che nel dispiegarsi dell’azione di governo, il discrimine europeista che oggi pare un po’ vago diventerà un vero motivo di scontro politico”. E sono bastati pochi giorni, perché il primo passo in quella direzione, verso l’incrinatura della pace forzosa all’ombra di Mario Draghi, venisse compiuto.

 

C’ha pensato Matteo Salvini, che col suo viaggio a Budapest scantona evidentemente rispetto al solco tracciato dal presidente del Consiglio. E così, mentre sui social scorrono le immagini di un capo della Lega tutto azzimato al cospetto di Viktor Orbán, Mateusz e Morawiecki (partito in maglione per un volo di sette ore,  il vestito delle grandi occasioni nel porta abiti, così che non fosse sgualcito al momento del rendez-vous nel palazzo del governo ungherese), Enrico Borghi, membro della segreteria del Pd, scuote il capo: “Mentre il nostro premier è impegnato a rinsaldare l’asse con Francia e Germania per dettare l’agenda in Europa, c’è chi vagheggia di portare Roma nel blocco di Visegrad, cioè tra coloro che quell’agenda tendono per lo più a sabotarla”. Qualche metro più in là, il grillino Sergio Battelli fa capire che lo sbigottimento non attraverso solo il Pd. “Come può la Lega, che ora si proclama europeista e che è pronta a sanzionare chi viola lo Stato di diritto, stringere un patto con chi in questi mesi non ha fatto che lavorare contro l’unità dell’Europa bloccando ripetutamente anche il Recovery plan?”

 

E del resto è anche la forma, a stupire. Perché Salvini, che nel suo discorso al termine del colloquio rivendica la sua partecipazione all’evento “come primo partito italiano e membro del del governo italiano”, rilancia sui social la sua foto in mezzo ai premier ungheresi e polacchi parlando di un “trilaterale”. Al che la deputata dem Lia Quartapelle, responsabile Esteri del Nazareno, trasalisce: “Sembra quasi voler ingenerare il sospetto che lui sia lì, insieme a due capi di governo, a rappresentare il nostro esecutivo. E invece l’unico effetto che questa rincorsa a Orbán e Morawiecki sta producendo, nella politica italiana, è la competizione tra la Lega e un partito che, forse più coerentemente, sta all’opposizione del governo Draghi”.

 

Riferimento evidentemente a questa sorta di sfida a destra per raccogliere la benedizione del premier magiaro. Con tanto di coincidenze che danno il senso della sfida: tipo Giorgia Meloni che mercoledì ci ha tenuto a far sapere della sua telefonata con la ministra della Famiglia di Budapest (una che si dice convinta che in Europa “le lobby gay abbiano già ottenuto fin troppo” e crede fermamente nella teoria della sostituzione etnica applicata all’immigrazione), Katalin Novák. La stessa con cui, ventiquattro ore dopo, Lorenzo Fontana e Marco Zanni, i due scudieri di Salvini in terra ungherese, si fanno i selfie e si scambiano sorrisi. “Il problema è che la destra italiana, che tanto ci tiene ad accreditarsi come moderna ed europea, è questa qui”, osserva Carlo Calenda, aggiungendo che “solo una Forza Italia che ha smarrito la propria identità può davvero pensare di ricostruire la casa dei liberali europei insieme a chi sgomita per andare a rendere omaggio ai leader di regimi autocratici che, per inciso, sono anche i peggiori avversari degli interessi nazionali italiani”. Come a dire, insomma, “che non ci sono neanche più i sovranisti di una volta”.

 

Salvini, dal canto suo, indica altre prospettive. Quelle di un Ppe, ragiona insieme coi suoi fedelissimi, “sempre più imprigionato nel periodo di una sorta di Grosse Koalition con Socialisti e Verdi”, e che dunque lascia spazio a una sorta di “conservatorismo da rifondare”. Per questo crede in un polo unico, alla destra dei Popolari. In questo anche le previsioni di Lorenzo Fontana, da poco nominato responsabile degli Esteri dopo settimane di zuffe interne a Via Bellerio per la definizione dell’incarico, lo confortano. Perché se la Cdu tedesca proseguirà sulla via centrista, altri dal Ppe potrebbero essere attratti dal progetto di Orbán. Se invece, magari dopo una sconfitta alle prossime elezioni, a il partito che fu della Merkel dovesse tornare al rigore di qualche anno fa, a quel punto si potrebbe pensare a una nuova riunificazione. Chissà.

 

Per ora, il senso dell’incontro di Budapest sta tutto una dichiarazione d’intenti. “Siamo qui per favorire un rinascimento europeo”, dice Salvini, delineando un’Europa tutta dio, patria e famiglia. Le radici giudaico cristiane rinnegate, la riaffermazione della distinzione tra uomo e donna, difesa dei confini, e ferma contrarietà alle “armi di ricatto” usate da Bruxelles, stando alla retorica in voga ad est, sullo stato di diritto. Nulla, ovviamente, sul capitolo economico. E del resto quando l’Italia soffriva come nessun altro per la pandemia del Covid, nel maggio scorso, quando l’Unione europea inaugurò il cantiere del Recovery plan,  Orbán liquidò il tutto come “una proposta assurda e perversa” perché, a suo dire, Bruxelles voleva “finanziare i ricchi con i soldi dei poveri, per cui tu, cittadino ungherese devi assumerti la responsabilità del rimborso del debito greco, italiano o francese”. Chissà se ieri, dal cittadino italiano che è andato a trovarlo, s’è sentito chiedere dei chiarimenti, nel merito.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.