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Renzi allunga la crisi, ammicando al Cav. e sperando in Ursula

Valerio Valentini

Il leader di Iv tenta Berlusconi con Draghi, e prova a portare Conte nel pantano delle trattative per spingere una parte di Forza Italia a sparigliare. La Carfagna ci pensa, Toti scalpita, ma per ora tutti stanno a guardare. E lo schema Letta non esclude un soccorso a Giuseppi

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Più che un’ipotesi è un azzardo della speranza. E però è l’unica variabile che, agli occhi di Matteo Renzi e di un pezzo del Pd, può evitare che la sceneggiatura di questa crisi si risolva nel finale più scontato: quello di un Conte ter. E però ha bisogno di tempo per poter lievitare, questa suggestione che ha il nome di Ursula, questa eventualità eternamente incombente e sempre rimasta a mezz’aria sulle chiacchiere di Palazzo. Ma è proprio perché un po’ Renzi ci crede, che ieri ha tirato la palla più in là, ha tentato di spingere Giuseppe Conte in un pantano che potrebbe infine invogliare il Cav. a prendere parte alla giostra, e a sparigliare tutto.

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Più che un’ipotesi è un azzardo della speranza. E però è l’unica variabile che, agli occhi di Matteo Renzi e di un pezzo del Pd, può evitare che la sceneggiatura di questa crisi si risolva nel finale più scontato: quello di un Conte ter. E però ha bisogno di tempo per poter lievitare, questa suggestione che ha il nome di Ursula, questa eventualità eternamente incombente e sempre rimasta a mezz’aria sulle chiacchiere di Palazzo. Ma è proprio perché un po’ Renzi ci crede, che ieri ha tirato la palla più in là, ha tentato di spingere Giuseppe Conte in un pantano che potrebbe infine invogliare il Cav. a prendere parte alla giostra, e a sparigliare tutto.

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E’ per questo che il senatore di Scandicci ha continuato a tenere un filo diretto con Berlusconi, nelle ore che hanno preceduto la sua salita al Quirinale. E ha provato a convincerlo che non è detto che ci si debba rassegnare a un nuovo governo, con maggioranza immutata, guidato dallo stesso avvocato di Volturara. “Io vado fino in fondo”, ha assicurato il leader di Iv, per il quale la fantasia di Mario Draghi (non a Palazzo Chigi, ma al ministero dell’Economia, magari con Marta Cartabia come primo premier donna, così da agevolare il suo ulteriore trasferimento al Quirinale all’inizio del 2021) resta qualcosa che può prendere corpo e sostanza (“Se solo venisse invocato dallo stesso presidente della Repubblica”) e che potrebbe, lui sì, tentare davvero il capo di Forza Italia. “Per questo, pur non preferendola all’ipotesi di un governo politico, non possiamo scartare una soluzione istituzionale, un ‘governo del Presidente’”, diceva ieri Renzi. Per tenere aperto un canale di negoziazione con la parte moderata del centrodestra, e per mettere in difficoltà lo stesso Matteo Salvini, che a quel punto sarebbe in grossa difficoltà a tirarsi indietro. Lo spariglio ideale, insomma.

 

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Se non fosse che di Ursula si parla da mesi: e invece finora l’appello all’unità del fronte europeista come argine al sovranismo e come camicia di forza dell’ideologismo a cinque stelle è rimasto lettera morta. Piacerebbe anche a Nicola Zingaretti, che non a caso già nel luglio scorso tentò, con la garanzia di un’intesa siglata da Goffredo Bettini e Gianni Letta, di innescare un avvicinamento tra gli azzurri e i rossogialli. Solo che all’epoca c’erano le regionali d’autunno in vista: “Per cui no, non ci possiamo muovere”, sentenziò alla fine il Cav. E da allora è sempre andata così: c’era sempre un buon motivo a scoraggiare a FI di affrancarsi dal giogo trucista. Col risultato che la componente riformista dei gruppi parlamentari berlusconiani è finita col diventare terreno di caccia dello stesso Conte: che ha sperato di reclutare proprio da lì la pattuglia di responsabili per sostituire Iv. Invano, però. Un po’ perché i paradossi dell’operazione appaiono evidenti a tutti: nel gruppo “Europeisti” di Bruno Tabacci alla Camera, ad esempio, hanno trovato asilo per primi gli ex grillini usciti dal M5s in opposizione al Mes. E un po’ perché l’operazione condotta da Palazzo Chigi è stata tanto convulsa quanto confusionaria: ieri al leader del Maie Ricardo Merlo, e ai suoi compagni d’avventura, le telefonate dei ministri grillini ansiosi di conoscere se c’erano sviluppi nell’assoldamento di nuovi responsabili sono arrivate perfino mentre la delegazione stava entrando al Quirinale (“Ormai è un’ossessione!”). E al contempo c’è l’incognita elettorale, a rendere quasi schizofrenici i già disorientati parlamentari azzurri: che da un lato diffidano dell’azzardo di Renzi (“E se finisce che andiamo a votare?”), dall’altro sospettano che ad auspicarle, le elezioni, sia proprio Palazzo Chigi: e non a caso ieri, quando la delegazione del gruppo Misto è stata ricevuta al Colle, l’unico ad aver evocato il voto anticipato come sola alternativa a Conte è stato Tabacci, il pretoriano del premier, mentre gli altri facevano i vaghi.

 

E allora si capisce che Renzi voglia provare a propiziare un allargamento della maggioranza in nome di un governo di alto profilo: e così, pur non esprimendo alcun anatema definitivo su Conte davanti al capo dello stato, lo ha criticato con asprezza, e ha chiesto che si passi per un mandato esplorativo, magari assegnato a Roberto Fico, che permetta agli eventi di compiersi (e magari al premier uscente di scivolare). Sa, Renzi, che l’immobilismo non a tutti, nel centrodestra, è gradito. Sa che Maria Stella Gelmini, quando i deputati del Pd la interpellano, risponde allargando le braccia (“Noi restiamo spettatori”) col tono di chi vorrebbe muoversi e non può. Sa che Giovanni Toti ha già detto a Salvini e Meloni che “in caso di un secondo giro di consultazioni noi di Cambiamo! al Colle andremo da soli”: come a dire che si tratta in proprio. E la stessa Mara Carfagna scalpita, e fa sapere che di fronte a una soluzione di alto profilo, magari benedetta da Mattarella, lei e la sua dozzina di deputati saprebbe cosa fare. “Ovviamente non parliamo del Conte ter”, precisa Andrea Cangini, senatore azzurro vivina alla ex ministra, “che sarebbe ancora più precario. Ma tutto quello che può garantire all’Italia maggiore autorevolezza in Europa merita almeno una riflessione”. Prima, però, del reincarico a Conte. Perché una volta che il terzo governo dell’avvocato del popolo dovesse partire, a quel punto i sostegni azzurri potrebbero arrivare, magari alla spicciolata, magari solo sui singoli tavoli delle riforme, e insomma garantire (non senza il benestare dello stesso Letta) una sorta di maggioranza parallela.

 

Ecco perché servirebbe del tempo per trattare, nell’ottica di Renzi: perché magari, di fronte alle fibrillazioni crescenti del gioco al rialzo tra il leader di Iv e Conte, e col Pd preso nel mezzo, potrebbe avverarsi quel che il totiano Paolo Romani sussurrava giorni fa a Palazzo Madama: e cioè che potrebbe venire proprio da un pezzo del centrodestra il veto su Conte come premessa fondamentale per allargare la maggioranza a un pezzo di FI. Tutto complicato, certo, anche perché il Cav., coi deputati che ancora ieri lo chiamavano per lamentarsi dell’immobilismo di Antonio Tajani, sbuffava una certa disillusione: ché insomma sarebbe bella, sì, l’ipotesi Ursula, ma per ora resta nient’altro che quello: una bella ipotesi. In cui comunque Renzi deve sperare, per non arrendersi al Conte ter. E in cui forse può sperare anche un pezzo di Pd che non vuole rassegnarsi a una maggioranza zoppicante. 

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