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la crisi di governo

Così Renzi ammicca al Cav. e confida nel Pd: "Conte non è insostituibile"

Valerio Valentini

I dispacci tra il senatore di Scandicci e Berlusconi: "Ditegli che faccio sul serio". Le trame coi fedelissimi di Di Maio. "Andiamo al Quirinale senza pregiudizi", dice il leader di Italia viva. Convinto che Giuseppi possa scivolare

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I cellulari dei parlamentari di Italia viva iniziano a squillare mentre ancora Giuseppe Conte è a colloquio con Sergio Mattarella. “Ma se ci fosse un governo guidato da Luigi Di Maio, voi ci stareste?”. Dall’altro capo del telefono, gli ambasciatori del M5s. Gli stessi che nei giorni scorsi si sforzavano d’indurre i dubbiosi del renzismo all’abiura, per dare un sostegno al presidente del Consiglio, e che ora ragionano invece come se quella stagione fosse già archiviata. Per Matteo Renzi, è il segnale che nel corpaccione grillino qualcosa s’è mosso, che insomma si può osare. Anche perché da Palazzo Chigi non arriva alcun segnale di riconciliazione. E anzi, i ministri del Pd che si spendono per una mediazione, si sentono dire che “è più probabile che Giuseppe si chiami fuori e semmai punti alle elezioni, piuttosto che ricucire”

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I cellulari dei parlamentari di Italia viva iniziano a squillare mentre ancora Giuseppe Conte è a colloquio con Sergio Mattarella. “Ma se ci fosse un governo guidato da Luigi Di Maio, voi ci stareste?”. Dall’altro capo del telefono, gli ambasciatori del M5s. Gli stessi che nei giorni scorsi si sforzavano d’indurre i dubbiosi del renzismo all’abiura, per dare un sostegno al presidente del Consiglio, e che ora ragionano invece come se quella stagione fosse già archiviata. Per Matteo Renzi, è il segnale che nel corpaccione grillino qualcosa s’è mosso, che insomma si può osare. Anche perché da Palazzo Chigi non arriva alcun segnale di riconciliazione. E anzi, i ministri del Pd che si spendono per una mediazione, si sentono dire che “è più probabile che Giuseppe si chiami fuori e semmai punti alle elezioni, piuttosto che ricucire”

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Solo che anche questo, nella logica dei tatticismi, finisce con l’agevolare il gioco di Renzi. Perché lo spirito di sopravvivenza dei parlamentari è sempre granitico, e così finisce che anche nei gruppi di Camera e Senato si organizzi la sommossa, in vista della riunione congiunta della sera, per ribadire che sulla bandiera del “Conte o morte” nessuno vuole finire cadavere. E d’altronde i contatti tra il senatore di Scandicci e gli ufficiali di collegamento di Luigi Di Maio sono in corso: e i nomi dei papabili grillini per rimpiazzare il premier (su tutti, Roberto Fico) vengono fatti circolare, secondo i ragionamenti che si fanno nel quartier generale di Italia viva, proprio per dimostrare che un’alternativa a Cinque stelle al fu “avvocato del popolo” esiste. Il sabba è incominciato e Renzi sta a guardare: invita i suoi parlamentari alla cautela, di buon mattino, ribadisce che “andremo al Quirinale senza pregiudizi”, con l’aria di chi sa che, per come vanno precipitando gli eventi, non sarà forse neppure necessario che lui si sporchi troppo le mani. “Hanno capito che avevamo ragione”, dice, evidenziando la comunione d’intenti con larghe fette del Pd. “Ora neppure loro s’impiccano a Conte”, rivendica, alludendo ai dubbi che, a proposito dell’insostituibilità del giurista di Volturara, Andrea Marcucci esprime pubblicamente, e  altri dirigenti dell’ala riformista sibilano in privato. “Perfino Bettini voleva mandarlo a schiantarsi in Aula sulla relazione di Bonafede”, confida l’ex premier ai suoi fedelissimi.  

 

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“Ma se hanno deciso che Conte è arrivato al capolinea, non possono aspettarsi che siamo noi a risolvergli il problema di tagliargli la testa”, se la ride Giovanni Toti, che coi suoi tre senatori di Cambiamo! sta alla finestra, a capire sul da farsi. E anche con loro Renzi, iperattivo, centralissimo nelle triangolazioni di Palazzo da cui doveva essere tagliato fuori, si confronta, parla. “Ma perché non vi muovete?”, gli chiede in privato, convinto - come buona parte del Pd - che un allargamento della maggioranza sarebbe utile per uscire dal pantano. Sa che Mara Carfagna sarebbe tentata. Perfino il Cav. scalpita: “Ma Renzi va fino in fondo o si accontenta di un ministero in più?”, è il dubbio condiviso da Berlusconi coi suoi collaboratori. Che ovviamente fanno pervenire la perplessità del capo al leader di Iv, che di rimando fa sapere all’amico del tempo felice del patto del Nazareno che sì, andrà fino in fondo.

 

E nel frattempo continuerà a monitorare l’andamento della campagna di reclutamento dei responsabili centristi del Senato, sui cui umori Renzi comunque vigila attraverso le sue sentinelle. Sa che è di là che passa l’unica strada che potrebbe di nuovo ribaltare l’inerzia della trattativa: perché Conte può sperare solo nel soccorso di una pattuglia mista di ex grillini manettari come Giarrusso ed ex forzisti garantisti come Causin, tutti riuniti sotto il simbolo del Maie, quello degli italiani eletti all’estero, d’intesa con quel Bruno Tabacci che del leader del Maie, Ricardo Merlo, in privato dice ogni male possibile. Perfino a un paio di attuali M5s e un renziano in odore di tradimento hanno chiesto il sacrificio: “Andate lì nel nuovo gruppo, per un po’, così si potrà formare con più tranquillità”. Sempre che al Quirinale un’operazione così spregiudicata possa andare bene. Giovedi pomeriggio, quando Renzi si recherà da Mattarella coi suoi due capigruppo per le consultazioni, avrà modo di capirlo.  

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