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l'intervista

"Se Conte vuole rilanciare il governo, il Mes è irrinunciabile", ci dice Scalfarotto

Il Recovery da cambiare, il segnale da dare all'Europa. "Da Bruxelles ci guardano. Chi fine ha fatto il piano Colao?". Il Mes e il rimpasto, la strada tortuosa verso il Conte ter. L'intervista al sottosegretari agli Esteri

Valerio Valentini

Parla il sottosegretario di Italia viva agli Esteri. "Basta tatticismi: sul Recovery ci giochiamo tutto. Seguiamo la linea di Draghi, o le nostre dimissioni dall'esecutivo sono ovvie. E sui fondi alla sanità il premier non usi la debolezza del M5s come alibi per rimandare"

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A vederla coi suoi occhi, la questione sta tutta qui: “Nello stabilire cos’è ammissibile e cosa non lo è, in questa situazione”. E dunque? “E dunque - ci dice Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri di Itali viva - non è ammissibile galleggiare, traccheggiare, votarsi al piccolo cabotaggio. L’Europa, che ci ha concesso la quota più consistente del Recovery fund, ci osserva, ci giudica. Ce lo ha ricordato anche il commissario Paolo Gentiloni”.

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A vederla coi suoi occhi, la questione sta tutta qui: “Nello stabilire cos’è ammissibile e cosa non lo è, in questa situazione”. E dunque? “E dunque - ci dice Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri di Itali viva - non è ammissibile galleggiare, traccheggiare, votarsi al piccolo cabotaggio. L’Europa, che ci ha concesso la quota più consistente del Recovery fund, ci osserva, ci giudica. Ce lo ha ricordato anche il commissario Paolo Gentiloni”.

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Ma proprio perché l’Europa ci guarda, ci osserva, sarebbe lecita una crisi di governo ora? “Un proverbio africano - risponde Scalfarotto - dice che il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo miglior momento per farlo, è ora”. Nel senso che è già tardi, per un rimpasto o un cambio di esecutivo? Non finiremmo per confermare i pregiudizi sugli italiani litigiosi e inconcludenti? “Io dico che quell’impressione la stiamo dando già da mesi. Perché se allestiamo un’operazione come gli Stati generali a Villa Pamphili, invitando anche le massime cariche europee, immagino che a Bruxelles si attendano tutto tranne che il piano Colao finisca disperso in un labirinto di rinvii. Dunque dico che è meglio cambiare ora, subito, e poi metterci a lavorare come si deve”. 

 

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Un rimpasto, quindi, è quello che serve? O bisogna cambiare anche il premier? “Non vogliamo un cambio di organigramma: vogliamo la svolta nell’agenda di governo. Ci serve un piano vaccinale che ci faccia non dico stare al passo di Israele, ma che almeno non si rassegni ai ritmi vergognosamente lenti della Lombardia. Ci serve chiarezza sulla riapertura delle scuole, su cui ormai siamo al rinvio continuo, con date per il rientro in classe date alla stampa e poi puntualmente rimandate. Al premier non chiediamo di farsi da parte, chiediamo anzi di essere all’altezza della sfida tremenda che la storia ci assegna. Sul Recovery non sono ammesse titubanze, né colpi di mano: è il piano con cui ridisegneremo l’Italia dei prossimi decenni. Mario Draghi c’ha esortato a non avere paura del debito buono, in questa fase: noi chiediamo che i fondi del Recovery vengano spesi tutti, e non in sussidi e incentivi, ma in investimenti virtuosi. Se il Recovery diventa un modo per distribuire soldi ai ministeri, come ha denunciato anche Romano Prodi, le nostre dimissioni dal governo diventano ovvie”. 

 

Ora, a fidarsi degli umori che filtrano da Palazzo Chigi, parrebbe che il premier abbia deposto la fermezza per passare, nel giro di qualche ora, a un approccio più dialogante, più remissivo. “Dalla presidenza del Consiglio non abbiamo ancora ricevuto alcun messaggio ufficiale, in tal senso. Ma siamo ben pronti a valutare delle svolte: purché siano reali e definitive, perché di tatticismi non se ne può più. Sul Mes, ad esempio, è ora di dire parole di verità. Dato che i soldi del Recovery arriveranno nel secondo semestre del 2021, quei 36 miliardi per la sanità sono irrinunciabili. E d’altronde lo stesso Pnrr, varato dal Mef e da Palazzo Chigi, prevede di utilizzare i fondi europei in sostituzione di quelli italiani per finanziare progetti già in programma. Per un motivo semplice: conviene fare così. Ma è proprio quella la ragione che dovrebbe spingerci ad accedere ai prestiti del Mes. Come si può spiegare una così lampante contraddizione, se non sula base di un veto ideologico e antieuropeo del M5s?”. 

 

Conte su questo continua a dire che si rimetterà al Parlamento. “E sia pure, ma evitiamo ipocrisie. Il Parlamento può e deve dare un mandato al governo. Ma è dal governo che deve partire l’input su una questione così importante. Anche perché su altre questioni la centralità del Parlamento pare essere stata meno fondamentale: penso a una bozza di Recovery scritta senza neppure consultare le Camere, o alla Fondazione per la cybersicurezza proposta nonostante il Copasir, all’unanimità, l’avesse rigettata. Magari il problema è tutto interno al M5s, che sul Mes non vuole sentire ragioni. Ma le ragioni del paese vengono prima di quelle di un partito. E del resto Iv e Pd ne hanno già votate di cose su cui non erano d’accordo, dalla fiducia a Bonafede fino al taglio dei parlamentari. Non vorrei che la debolezza del M5s finisse con l’essere l’alibi dietro cui il premier si nasconde per giustificare i suoi tentennamenti. Perché questo, appunto, non è ammissibile”. 

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