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209 miliardi orfani

Il Recovery plan del governo è diventato il figlio di nessuno

Le gazzarra rossogialla intorno a un piano che nessuno sente come proprio. Non solo le critiche di Renzi, ma anche quelle del M5s. Guerini avverte Conte sulla fondazione di cybersicurezza. E Marattin sbotta: "Ma si può sapere chi lo ha scritto, questo Pnrr?"

Valerio Valentini

Conte lo disconosce: "I 52 progetti? I progetti sono troppi". Il M5s lo piccona, con un documento di netta bocciatura firmato dai suoi ministri. Il Pd abbozza, e sui servizi segreti rinnova il suo scontento. Lo scaricabarile tra Palazzo Chigi e il Mef. E Franceschini: "Qui viene giù tutto"

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Forse ha ragione Dario Franceschini, che ai colleghi di governo che gli parlavano  dei prossimi provvedimenti da portare in Cdm a gennaio, nei giorni scorsi andava ripetendo che "a gennaio non ci sarà alcun Cdm da fare, per questo governo”. Così allora si spiegherebbe il mistero buffo di questo accapigliarsi convulso e inconcludente su un Recovery plan che pare figlio di nessuno.

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Forse ha ragione Dario Franceschini, che ai colleghi di governo che gli parlavano  dei prossimi provvedimenti da portare in Cdm a gennaio, nei giorni scorsi andava ripetendo che "a gennaio non ci sarà alcun Cdm da fare, per questo governo”. Così allora si spiegherebbe il mistero buffo di questo accapigliarsi convulso e inconcludente su un Recovery plan che pare figlio di nessuno.

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Perfino Giuseppe Conte, con l’aria del passante, ormai lo disconosce: “Ci sono cinquantadue progetti? Mi sembrano un po’ troppi”, dice. E allora subito, da Palazzo Chigi, s’affrettano a precisare che no, non è sangue del sangue del premier, questa creatura nata orfana: “L’hanno scritta al Mef”, dicono dallo staff di Giuseppi.  “Il che, se fosse vero, sarebbe  ancora più grave”, scuote il capo Luigi Marattin, responsabile economico di Italia viva. “Perché allora Palazzo Chigi ci ha proposto un documento che non aveva neppure guardato. E  il premier voleva approvare con un emendamento in legge di Bilancio un piano che, a quanto pare, neppure lui condivide”. In verità, a sentire Via XX Settembre, pare vero l’esatto opposto: e cioè che solo nell’ultima settimana la regia dei lavori è passata nelle mani di Roberto Gualtieri.   “E’ iniziato lo scaricabarile? Ma chi lo ha scritto ’sto  Pnrr?”, sbuffa Marrattin.

 

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E si dirà che vabbè, i renziani sono così: gli piace criticare, col loro “Ciao” e le loro 61 richieste di modifica. E però poi si sfogliano le quattordici pagine consegnate martedì dalla delegazione del M5s a Gualtieri e Amendola, e si colgono delle stroncature al Recovery quasi più nette di quelle pronunciate dal guastatore di Scandicci. Almeno a voler guardare alle voci relative ai ministeri occupati dai grillini: perché di quel che riguarda gli altri, dai Trasporti all’Univeristà alla Difesa, nel documento non c’è traccia. “In relazione alle progettualità legate al lavoro  è necessario implementare notevolmente le risorse previste nella bozza”, scrive Nunzia Catalfo. “Si ritiene necessario implementare le risorse per i cluster Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione”, aggiunge Stefano Patuanelli. “Vanno esclusi tra gli interventi eleggibili del piano i progetti dal discutibile impatto o di livello locale”, nota Sergio Costa. E ancora: “Si ritiene  prioritaria l’estensione del superbonus  al 31 dicembre 2023” (e sì che invece, nel documento presentato da Iv, si legge l’opposto: “La quantità di denari per il superbonus  è eccessiva e immotivata”). E così, cogliendo fior da fiore, si arriva alle critiche più dure, che al piano del governo arrivano da colui che nel governo guida la delegazione del M5s, Alfonso Bonafede. Che parla di progetti “sostanzialmente irrealizzabili”, di “risorse insufficienti”, di una bozza da cui “è totalmente assente qualsiasi riferimento alla digitalizzazione della giustizia”.

 

E poi c’è il Pd. Che certo, assume una volta di più l’onere di tenere in piedi la baracca, e che però, nel suo documento, di modifiche ne chiede parecchie. E almeno su un punto, quello della fondazione sulla cybersicurezza, chiama in causa direttamente il premier. Il quale il 30 novembre scorso ha scritto al Copasir una lettera per avere un parere preventivo sull’idea di istituire la nuova famigerata fondazione. E mentre il Comitato parlamentare  era ancora lì a fare la sua istruttoria, Conte prima ha tentato di d’inserire quella stessa fondazione in manovra con un mezzo blitz; poi, dopo l’altolà di Renzi, l’ha messa nel Recovery. E  il Pd ha dovuto rinnovare, mettendola nero su bianco, la sua contrarietà. Il ministro Guerini ha fatto arrivare al premier un messaggio chiaro: se quella proposta resta lì com’è, i voti in Aula  non ci sono.

 

Sì, perché quando questa tenzone sarà risolta a livello ministeriale, si rinnoverà in Parlamento. E che non sarà una passeggiata di salute lo ha capito anche Nicola Zingaretti: che martedì ha chiamato i suoi due capigruppo, Andrea Marcucci e Graziano Delrio, per coinvolgerli nell’ambasciata diretta al Mef per la consegna del documento emendativo del Pnrr scritto al Nazareno. E s’è visto respingere l’offerta. “Non siamo stati coinvolti, preferiamo non partecipare”, gli hanno detto. Anche per tenersi le mani libere in vista della contesa che verrà. Se il Recovery è figlio di nessuno, perché qualcuno dovrebbe metterselo a carico?

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