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lo scontro nella maggioranza

Pinotti e Fassino ci spiegano perché Conte deve cedere sui servizi segreti

"Un premier ha mille impegni, non può occuparsi come dovrebbe dell'intelligence", dice la ex ministra della Difesa. "Quando parliamo di apparati di sicurezza, pensiamo anche alle vicende dei pescatori libici e di Giulio Regeni", commenta l'ex sindaco di Torino

Valerio Valentini

Il precedente di Gentiloni che non regge, l'operatività quotidiana dell'intelligence da garantire, il ricordo degli anni bui del Piano Solo e del Sifar. I due dirigenti del Pd ribadiscono che al premier non conviene tenere per sé la delega della discordia

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Lui dice di non capire il perché di tanta insistenza. “Forse non si fidano di me?”. Gli altri provano a spiegarglielo in tutti i modi, e non capiscono la sua inamovibilità. “Ma il premier non deve  vivere questa richiesta che viene dalle forze della sua maggioranza come un atto di sfiducia nei suoi confronti”, dice allora Piero Fassino, provando a sgomberare il capo da malintesi e ipocrisie. “Così come chi lo sprona a cedere la delega non deve farlo sulla base di rivendicazioni politicistiche”. Il problema resta sempre quello: la delega ai servizi segreti. Problema sollevato dal Pd mesi fa; poi squadernato da Matteo Renzi coi toni contundenti che gli sono propri. Eppure Giuseppe Conte resta lì, tetragono alle critiche di Pd e Italia viva.

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Lui dice di non capire il perché di tanta insistenza. “Forse non si fidano di me?”. Gli altri provano a spiegarglielo in tutti i modi, e non capiscono la sua inamovibilità. “Ma il premier non deve  vivere questa richiesta che viene dalle forze della sua maggioranza come un atto di sfiducia nei suoi confronti”, dice allora Piero Fassino, provando a sgomberare il capo da malintesi e ipocrisie. “Così come chi lo sprona a cedere la delega non deve farlo sulla base di rivendicazioni politicistiche”. Il problema resta sempre quello: la delega ai servizi segreti. Problema sollevato dal Pd mesi fa; poi squadernato da Matteo Renzi coi toni contundenti che gli sono propri. Eppure Giuseppe Conte resta lì, tetragono alle critiche di Pd e Italia viva.

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E se, come si dice, quelle dei renziani sono attacchi strumentali, appare chiaro che l’insistenza con cui dal Nazareno incalzano il fu “avvocato del popolo” su questo tema, sta a testimoniare di come ci sia un problema reale, sotto il polverone delle polemiche. “Mi pare evidente  che un presidente del Consiglio si occupa ogni giorno di decine di faccende diverse, e dunque una delega su questo tema va anche a sua tutela", ci dice Fassino. "La creazione dell’autorità delegata non nasce certo senza ragione: questo paese ha vissuto anni bui in cui la deviazione degli apparati di sicurezza ha portato a situazioni molto pericolose per la sicurezza delle istituzioni, dal Piano Solo al Sifar”

 

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Preoccupazioni analoghe a quelle che esprime anche la senatrice dem Roberta Pinotti, presidente della commissione Difesa. “L’assegnazione della delega non modifica le responsabilità in capo  al presidente del Consiglio, che ne resta il titolare ultimo”, ci dice la Pinotti. “Ma individuare una persona di fiducia del premier per quell'incarico - prosegue  -  è un’azione che può essere utile per l’operatività dei servizi nella loro ‘quotidianità’. Un presidente del Consiglio, tanto più in un periodo di pandemia  e con le scadenze gravose del Recovery, ha moltissime cose di cui occuparsi”. Certo, c’è il precedente di Paolo Gentiloni. Che infatti Conte puntualmente usa per dire che non è lui, il primo a tenere per sé la delega. “Ed è pur vero, ma si trattava di un esecutivo  che nasceva nell’ultima parte della legislatura, con una data di scadenza definita da quella durata”, obietta la Pinotti, che il trapasso dal governo Renzi a quello Gentiloni lo visse restando ministra  della Difesa, e dunque lo ricorda bene. “Questo è invece un governo che ambisce a durare fino al 2023”. Come a dire che, in questo caso, l’eccezione diventerebbe anomalia. 
  

 “Quel che è certo - prosegue ancora Fassino parlando con Il Foglio - è che la gestione della nostra intelligence è una funzione talmente delicata che serve affidabilità e lealtà. Nei confronti del premier, evidentemente, che quella delega è giusto che la ceda a una persona di cui si fida. Ma, cosa più decisiva, nei confronti delle istituzioni e dei cittadini, i quali devono essere certi che alla guida di macchine così complesse si scelgano persone sulla base della loro competenza e della loro dedizione.  E d’altronde la piena efficienza dei nostri apparati d’intelligence serve a tutelare anche i nostri cittadini all’estero”.

 

E qui il pensiero di Fassino, sollevandosi dalle baruffe di giornata, va inevitabilmente a Giulio Regeni e agli ultimi sviluppi della sua vicenda. “Le dichiarazioni del procuratore generale egiziano sulla presunta infondatezza dell’indagine della procura di Roma sono inaccettabili e offensive”, dice Fassino. “Gli inquirenti romani hanno individuato precise responsabilità in capo agli apparati di sicurezza del Cairo. E un’indagine così seria non può certo essere liquidata con obiezioni strumentali”. Di qui, la proposta di Fassino. “Una operativa. Credo sia arrivato il momento di aumentare, anziché ridurre, il nostro impegno per avere verità per Regeni, inviando un magistrato di collegamento all’ambasciata del Cairo, così che possa seguire quotidianamente sul posto gli sviluppi dell’indagine, in continuo contatto con i magistrati romani che hanno la titolarità dell’inchiesta”. La seconda proposta è invece più ideale. “Siamo nel mondo globalizzato - dice Fassino - in cui i mercati e la finanza non conoscono barriere. Credo sia arrivato il momento che anche i diritti umani vengano globalizzati: l’Italia - che è stata la sede della istituzione del Tribunale Penale Internazionale - prenda in mano la bandiera dei diritti umani. E infine il Parlamento approvi rapidamente l’Istituzione dell’Autorita Nazionale contro la Tortura, che quasi tutti i Paesi democratici hanno già istituito”

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