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Giuseppi e gli equilibri con Biden

"E' ora che Conte s'interroghi sulla delega ai servizi segreti", dice Orlando

Parla il vicesegretario del Pd. E in sintonia con lui, si esprime anche Rosato: "Non ci si occupa di servizi nei ritagli di tempo", dice il renziano. E intanto, all'indomani della liberazione, emergono tutti i dubbi di Guerini sull'operazione diplomatica

Valerio Valentini

Il vicesegretario del Pd invoca "un assetto nuovo per una fase nuova". E aggiunge: "Il premier individui un suo uomo di fiducia". Anche i grillini sono critici: "Il presidente ha già tanti impegni. Ma deve darla a uno del M5s", dice la Dieni

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Che non sia un capriccio estemporaneo, Andrea Orlando ci tiene a spiegarlo subito. “La questione dell’autorità delegata ai servizi segreti si pose già durante la formazione del governo”, ricorda al Foglio il vicesegretario del Pd, che alle trattative per la nascita del BisConte partecipò del resto con un ruolo non proprio marginale, stando accanto a Dario Franceschini per imbastire la trama rossogialla. “E allora si decise di lasciarla in capo al premier per evitare che l’attribuzione di un incarico così delicato fosse oggetto di spartizione politica”. Poi si sa com’è andata: a Giuseppe Conte nessuno gliel’ha più tolta, quella delega. “E il punto sta qui – dice Orlando – perché la fase impone di cercare un assetto nuovo”. Una fase che è diversa a livello internazionale, dopo il cambio della guardia alla Casa Bianca, e anche dentro il perimetro incerto della maggioranza di governo. “E insomma credo sia necessario domandarsi – ci dice ancora  Orlando – se sia opportuno che tutto resti nelle mani del premier”.

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Che non sia un capriccio estemporaneo, Andrea Orlando ci tiene a spiegarlo subito. “La questione dell’autorità delegata ai servizi segreti si pose già durante la formazione del governo”, ricorda al Foglio il vicesegretario del Pd, che alle trattative per la nascita del BisConte partecipò del resto con un ruolo non proprio marginale, stando accanto a Dario Franceschini per imbastire la trama rossogialla. “E allora si decise di lasciarla in capo al premier per evitare che l’attribuzione di un incarico così delicato fosse oggetto di spartizione politica”. Poi si sa com’è andata: a Giuseppe Conte nessuno gliel’ha più tolta, quella delega. “E il punto sta qui – dice Orlando – perché la fase impone di cercare un assetto nuovo”. Una fase che è diversa a livello internazionale, dopo il cambio della guardia alla Casa Bianca, e anche dentro il perimetro incerto della maggioranza di governo. “E insomma credo sia necessario domandarsi – ci dice ancora  Orlando – se sia opportuno che tutto resti nelle mani del premier”.

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A sentire quelli di Italia viva, la risposta pare scontata. “Non si può certo pensare di continuare a gestire una delega ai servizi segreti svolta nei ritagli di tempo. E’ già durata troppo questa fase”, taglia corto Ettore Rosato, che del resto nelle mani del premier ha consegnato giovedì sera, insieme a Matteo Renzi, una lettera che nel passaggio di merito è alquanto eloquente: “L’insistenza con cui non ti apri a un confronto di maggioranza sul ruolo dell’autorità delegata è inspiegabile. L’intelligence appartiene a tutti, non è la struttura privata di qualcuno”. Ma in fondo anche nel Pd, l’umore della truppa non si fa fatica a intercettarlo. E se il deputato Enrico Borghi, rappresentante dem nel Copasir, ieri mattina l’ha messa giù assai netta (“Conte ceda quella delega, spetta a noi del Pd”), è anche perché il livello di sopportazione è arrivato al limite, dato che è da inizio marzo che la richiesta è stata fatta arrivare a Palazzo Chigi per le vie informali.


E certo non è un caso che il clima si sia intossicato proprio nelle scorse ore, al termine di quella missione in Libia che per il premier doveva essere una piccola fuga per la vittoria, per uscire indenne dalle sabbie mobili della verifica tornando da Bengasi illuminato da una luce nuova, quella del liberatore dei diciotto pescatori tenuti in ostaggio, e s’è  invece risolta in un mezzo pastrocchio diplomatico. E non solo per la geolocalizzazione inviata (per errore) dal portavoce del premier Rocco Casalino, che ha rivelato alla stampa italiana la posizione esatta della base di Haftar. Il fatto è che tutta l’operazione è stata vissuta con insofferenza dallo stato maggiore del Pd.

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Sin dalla vigilia: quando, di fronte alla risolutezza con cui Conte annunciava il suo viaggio in Libia, Lorenzo Guerini lasciava il vertice di Palazzo Chigi a metà tra l’interdetto e lo sconfortato. Costretto peraltro, di lì a qualche ora, a tenere a bada anche i suoi senatori più vicini, che per tutta la mattinata di giovedì gli hanno chiesto insistentemente un atto politico, un intervento nell’Aula di Palazzo Madama per rimarcare i suoi meriti e il suo stile istituzionale, così lontano dall’ansia propagandistica con cui Conte e Di Maio hanno vissuto la giornata della liberazione. Lui s’è negato, alla fine. Questione di stile, appunto, di democristiana ritrosia osservata con scrupolo quasi eccessivo. Ma quando ieri mattina Borghi, che di Guerini è uno dei fedelissimi, ha tuonato contro il premier, in tanti c’hanno visto come il chiudersi di un cerchio, nelle sue dichiarazioni.

 

Ce l’hanno visto pure i grillini, se è vero che più d’un parlamentare è entrato subito in fibrillazione e ha contattato Palazzo  Chigi per chiedere se fosse opportuno immolarsi a difesa del fu avvocato del popolo. Che però, in questo incaponirsi nel tenere tutto sotto il suo controllo, rischia di perdere il sostegno anche del suo partito di riferimento. E infatti Federica Dieni, che rappresenta il M5s dentro il Copasir, non nega che sarebbe opportuno cedere la delega: “Dopo due anni – ci dice la deputata calabrese – credo che ci si possa interrogare seriamente sul tema, visto che sulla testa del presidente Conte grava anche l’enorme sforzo legato alla pandemia e alle trattative sul Recovery plan”. Semmai, a irritare la Dieni è l’ipotesi che sia il Pd ad accaparrarsi l’autorità delegata: “Se Conte la cede, deve assegnarla al M5s, che da partito di maggioranza relativa non controlla né la Difesa né l’Interno”.

 

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E forse allora è anche per scongiurare la baruffa spartitoria, se Orlando scarta di lato: “Il premier può benissimo delegare a una persona di sua fiducia. Cosa che era più difficile alla nascita del governo rossogiallo, quando una vera ‘area Conte’ non c’era, e avrebbe dunque dovuto scegliere tra Pd e M5s”. Insomma, il pensiero di Orlando corre sempre lì: a una figura come quella di Gianni Letta nell’èra del Cav., o a un Gianni De Gennaro. E non è detto che Conte non ce l’abbia già, un suo fedelissimo sul campo. Solo che Gennaro Vecchione, stimatissimo dal premier, è appena stato riconfermato a capo del Dis, e portarselo a Palazzo Chigi, rimettendo di nuovo in discussione gli assetti di vertice di Piazza Dante,  significherebbe creare un altro bizzarro precedente. Ma del resto anche i vicedirettori di Aisi e Aise vanno nominati in tempi rapidi. E chissà che Conte, per evitare il rimpasto del suo governo, non offra a Renzi e Zingaretti quello dei servizi. 

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