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"Il Pd vuole la mia testa"

Ecco perché Fraccaro si sente la vittima sacrificale del rimpasto

Valerio Valentini

Gli attacchi di Orlando sulle faccende dell'aerospazio. Il fuoco amico nel M5s. E la sifda impossibile sul "suo" Superbonus. Ecco perché il sottosegretario grillino alla Presidenza del Consiglio si sente messo nel mirino del Pd. Che reclama un posto a Palazzo Chigi per ottenere la delega ai Servizi

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Ormai recita la parte della vittima predestinata, forse per esorcizzare la paura. A margine dei Consigli dei ministri, nei colloqui riservati, Riccardo Fraccaro accosta i colleghi di governo del Pd e di Italia viva e sospira: “Dai, ditemelo che è me che volete far fuori”. Pare che la puzza di bruciato l’abbia avvertita per la prima volta quando dal Nazareno, una decina di giorni fa, hanno iniziato a rivolgere a Giuseppe Conte l’invito a trovare “nuovi assetti nello staff”, “figure di raccordo politico dentro Palazzo Chigi”. Insomma, per dirla  con Andrea Orlando, “servirebbe un Gianni Letta” per l’avvocato del popolo. E forse Fraccaro, che i compagni di Movimento che vogliono fargli le scarpe chiamano “il pizzaiolo” in ricordo della sua occupazione prima del grande salto in politica, dev’essersi specchiato nell’ombra del factotum del Cav., suo omologo nei governi Berlusconi, e deve aver sentito la terra tremargli sotto i piedi.

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Ormai recita la parte della vittima predestinata, forse per esorcizzare la paura. A margine dei Consigli dei ministri, nei colloqui riservati, Riccardo Fraccaro accosta i colleghi di governo del Pd e di Italia viva e sospira: “Dai, ditemelo che è me che volete far fuori”. Pare che la puzza di bruciato l’abbia avvertita per la prima volta quando dal Nazareno, una decina di giorni fa, hanno iniziato a rivolgere a Giuseppe Conte l’invito a trovare “nuovi assetti nello staff”, “figure di raccordo politico dentro Palazzo Chigi”. Insomma, per dirla  con Andrea Orlando, “servirebbe un Gianni Letta” per l’avvocato del popolo. E forse Fraccaro, che i compagni di Movimento che vogliono fargli le scarpe chiamano “il pizzaiolo” in ricordo della sua occupazione prima del grande salto in politica, dev’essersi specchiato nell’ombra del factotum del Cav., suo omologo nei governi Berlusconi, e deve aver sentito la terra tremargli sotto i piedi.

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Una scossa sentita ancor più forte mercoledì pomeriggio. Quando proprio Orlando, sempre lui, partecipando a un seminario sull’aerospazio organizzato dal responsabile del Pd in materia, Daniele Marantelli, ha garbatamente ma seccamente impallinato il sottosegretario. “La gestione della vicenda dell’Esa non è stata esattamente felice, per usare parole misurate”, ha detto il vicesegretario dem. Confortato, nella sua analisi critica, dalle osservazioni dello stesso Marantelli e dell’ex ministro della Difesa, la franceschiniana Roberta Pinotti. Un riferimento alla figuraccia diplomatica rimediata dal governo Conte il mese scorso, intorno all’elezione del nuovo presidente dell’Agenzia spaziale europea, con l’Italia che s’è incaponita a portare avanti parallelamente due candidature diverse finendo con l’essere tagliata fuori dalla rosa dei nomi decisiva, da cui è stato poi scelto il portacolori austriaco. E siccome la delega sull’aerospazio, a Palazzo Chigi, ce l’ha proprio Fraccaro, ecco che il messaggio in codice  è stato fin troppo facile da decifrare. 

 

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E come se non bastasse il Pd, a Fraccaro tocca guardarsi pure dalle trappole degli amici. Sempre in ambito aerospaziale, infatti, si trova stretto tra l’esaltazione manettara degli oltranzisti come Dibba e Nicola Morra, che vorrebbero la testa dell’ad di Leonardo Alessandro Profumo, e la posizione ben più cauta di Luigi Di Maio. Il quale invece, anche in virtù del suo legame col presidente dell’ex Finmeccanica, Luciano Carta, preferirebbe non toccarli affatto, gli equilibri al vertice dell’azienda. Per non dire, poi, di una recente risoluzione depositata alla Camera dalla responsabile Esteri del M5s, quella Iolanda Di Stasio che di Di Maio è una fedelissima, e che chiede un’attribuzione più chiara della “space diplomacy” in capo alla Farnesina. “Non proprio una carineria nei confronti di Riccardo”, malignano nel Movimento.  

 

E poi c’è la faccenda del Superbonus 110 per cento. E qui, a mettere nei guai Fraccaro potrebbe essere l’eccessivo zelo dei suoi compagni di partito. I quali, dopo aver plaudito alla prima stesura della legge di Bilancio che prevedeva l’estensione della misura al solo 2021, ora si sono incaponiti fino ad arrivare ai ricatti verso il Pd: “Se non la prolunghiamo fino al 2023, rallentiamo i lavori sul decreto Sicurezza al Senato”. Puntiglio propagandistico, magari, ma comunque pericoloso. Specie per Fraccaro, che del Superbonus è stato il principale fautore, e che sa bene che non si andrà oltre il 2022, con quel provvedimento. Sia perché non è pensabile trovare nove miliardi sull’unghia, sia perché - come gli ha spiegato anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri - se si arrivasse al 2023 la cessione dei crediti arriverebbe a scadenza, a quel punto, nel 2028: e quindi non si potrebbe coprire il Superbonus neppure coi fondi del Recovery plan, che vanno spesi entro il 2026.

 

Una strettoia, insomma, dove Fraccaro teme di restare incastrato quando le grandi aspettative del M5s si risolveranno in una mezza delusione, con l’approvazione della manovra.  Quando insomma s’apriranno le danze macabre intorno a Conte, in vista di un rimpasto magari solo ipotetico, ma in cui il notabile grillino risulterebbe una delle vittime ideali: perché il suo sacrificio permetterebbe al Pd di mettere finalmente un piede dentro Palazzo Chigi. E ottenere un posto da sottosegretario alla Presidenza, per il Nazareno, servirebbe a reclamare con più forza quella delega ai Servizi che Conte non cede. Proprio quella che, ai suoi tempi, gestiva Gianni Letta.

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