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E ora il M5s s'inventa il "mandato meno uno", in vista degli Stati generali

Dopo il "mandato zero", il "mandato meno uno". Bocciate le altre proposte di deroga, compresa il comitato giudicante. Un weekend di riunioni interminabili, prima dell'assemblea nazionale del 15 novembre

Valerio Valentini

Le assemblee regionali bloccano il tentativo dei big di varare una deroga al limite delle due legislature. "Ma poi ci si potrà candidare per le comunali". Emergenza liquidità sui territori: così si scoprono le virtù del 2 per mille. "Ma non è finanziamento pubblico?"

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In fondo era inevitabile che dando voce alla base si scombinassero i piani dei vertici. Tanto più che lì, nel basso inferno della militanza, l’ortodossia  si mescola alle velleità personali, e insomma per tanti attivisti locali i parlamentari è bene che tolgano presto il disturbo e facciano spazio. E dunque in tutt’Italia, le varie assemblee regionali organizzate dal M5s nello scorso weekend – lunghe e sfiancanti maratone via Zoom protrattesi in certi casi fino a orario da coprifuoco – hanno emesso la stessa sentenza, in vista degli Stati generali di domenica prossima: il limite dei due mandati non si tocca. E siccome davanti all’assertività intimidatoria degli iscritti, i pezzi grossi del grillismo nazionale hanno preferito tacere, la regola è stata ribadita: dopo due legislature da deputato e senatore, ma anche da consigliere regionale, si torna a casa. Nel senso che, se proprio non si vuole tornare all’occupazione di prima (if any), quantomeno si torni a fare politica nella propria città. Eccolo, il “mandato discendente”.

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In fondo era inevitabile che dando voce alla base si scombinassero i piani dei vertici. Tanto più che lì, nel basso inferno della militanza, l’ortodossia  si mescola alle velleità personali, e insomma per tanti attivisti locali i parlamentari è bene che tolgano presto il disturbo e facciano spazio. E dunque in tutt’Italia, le varie assemblee regionali organizzate dal M5s nello scorso weekend – lunghe e sfiancanti maratone via Zoom protrattesi in certi casi fino a orario da coprifuoco – hanno emesso la stessa sentenza, in vista degli Stati generali di domenica prossima: il limite dei due mandati non si tocca. E siccome davanti all’assertività intimidatoria degli iscritti, i pezzi grossi del grillismo nazionale hanno preferito tacere, la regola è stata ribadita: dopo due legislature da deputato e senatore, ma anche da consigliere regionale, si torna a casa. Nel senso che, se proprio non si vuole tornare all’occupazione di prima (if any), quantomeno si torni a fare politica nella propria città. Eccolo, il “mandato discendente”.

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Che, manco a dirlo, ha trovato particolare consenso tra i videoconferenzieri a cinque stelle della Campania. Dove ministri e sottosegretari sono intervenuti in prima persona a confermare l’intenzione di non derogare al principio, e poi però hanno mandato avanti i peones a vagheggiare qualche furbizia e a prendersi i pernacchi dei militanti. L’idea partorita alla fine è quella di prevedere un terzo mandato su scala territoriale. Il mandato “meno uno”, che giustamente segue alla trovata del mandato zero: si tratterebbe, in sostanza, di permettere a chi è stato due volte parlamentare di poter poi concorrere nelle competizioni comunali.

 

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Una proposta simile è stata vagliata anche dall’assemblea laziale. In Sicilia qualcuno ha tentato compromessi più barocchi: e cioè l’istituzione di un comitato di valutazione che distingua i perdigiorno da quelli produttivi in termini di disegni di legge e interrogazioni scritte, e conceda solo ai secondi il diritto di ricandidarsi. “Ma chi scegli i giudici? E chi giudica su di loro?”, si sono chiesti. Per cui anche questa dovrebbe essere stata accantonata. (Ma in Sicilia sulla meritocrazia c’hanno dato dentro davvero: hanno perfino pensato a un “albo delle competenze”, a cui i futuri onorevoli saranno obbligati ad attingere per trovarsi i loro collaboratori.) Più schematici, come si conviene, gli umbri: che hanno invece proposto di istituzionalizzare la gavetta in forma rigidissima, per cui non fai il parlamentare se prima non sei stato consigliere regionale, e prima ancora comunale (“Basta che non s’arriva ai rappresentanti di classe”, commento fuori campo di un deputato a microfono chiuso). In sintonia con la Campania, invece, ci s’è ritrovata la Liguria: anche lì, s’è detto che arrivati nell’empireo del Parlamento, poi si può solo ridiscendere e rivestire ruoli organizzativi non elettivi o correre a livello locale. Ma subito qualcuno ha posto il tema: “Chiariamo subito però che in questo caso ci si può candidare solo a consigliere comunale, e non a sindaco”.  

 

Ché forse l’idea di un ex vicepremier primo cittadino a Pomigliano, qualcuno deve averla accarezzata, e magari paventata. Anche perché Luigi Di Maio, che pure è intervenuto subito, nella videoconferenza riservata ai soli attivisti napoletani il 25 ottobre scorso, a certificare la sua “assoluta contrarietà a qualsiasi deroga sui due mandati”, poi ha molto insistito sulla necessità di rafforzare il M5s con strutture provinciali e sedi riconosciute e finanziamenti adeguati svincolati dal controllo di Rousseau, da garantire con versamenti di mille euro al mese da parte di ciascun parlamentare. Perfino il due per mille, è stato proposto: e non sono in Campania, ma anche in Lazio, in Lombardia, in Emilia e in Liguria. “Ma non è una forma surrettizia di finanziamento pubblico, contro cui ci siamo sempre battuti?”, s’è scandalizzato qualche militante, un po’ dovunque. Ma non su tutto si può essere così intransigenti. 
 

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