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Vivere con la pandemia

Nonni a casa, bambini a scuola

E’ davvero possibile separare i giovani dagli anziani per convivere con il virus ed evitare nel futuro altri lockdown? Oltre alla confusione di Asor Rosa e Toti c’è di più. I nuovi dati su cui ragionare, le obiezioni di Merkel e le proposte possibili

Claudio Cerasa

In vista delle prossime ondate, varrebbe la pena capire se oltre a creare, come ha detto ieri Conte, regole diverse per le aree del paese, in base al rischio, sia possibile o no creare regole diverse, per le fasce d’età, in base al rischio. I dati dell'Istituto superiore di sanità e qualche spunto per il domani

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Nell’ennesimo bellissimo, appassionato e drammatico discorso dedicato da Angela Merkel al tema delle restrizioni delle libertà imposto dall’ondata di ritorno della pandemia, la cancelliera tedesca ha scelto di riservare una parte del suo intervento a un altro tema interessante che da qualche settimana a questa parte inizia con una certa continuità a occupare una fetta significativa del dibattito pubblico. Il tema è quello che avete già trovato esposto sulle nostre pagine la scorsa settimana e riguarda la possibilità o meno di evitare nel futuro nuovi lockdown prendendo atto del fatto che il coronavirus è più letale per una certa fascia della popolazione e meno per un’altra – “Separiamo i giovani dagli anziani per evitare un nuovo lockdown”, hanno scritto la scorsa settimana Andrea Ichino, Carlo Favero e Aldo Rustichini.

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Nell’ennesimo bellissimo, appassionato e drammatico discorso dedicato da Angela Merkel al tema delle restrizioni delle libertà imposto dall’ondata di ritorno della pandemia, la cancelliera tedesca ha scelto di riservare una parte del suo intervento a un altro tema interessante che da qualche settimana a questa parte inizia con una certa continuità a occupare una fetta significativa del dibattito pubblico. Il tema è quello che avete già trovato esposto sulle nostre pagine la scorsa settimana e riguarda la possibilità o meno di evitare nel futuro nuovi lockdown prendendo atto del fatto che il coronavirus è più letale per una certa fascia della popolazione e meno per un’altra – “Separiamo i giovani dagli anziani per evitare un nuovo lockdown”, hanno scritto la scorsa settimana Andrea Ichino, Carlo Favero e Aldo Rustichini.

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Angela Merkel, ieri, ha affrontato questa materia offrendo due riflessioni interessanti anche se di senso contrario. La prima: non si può essere superficiali con questo virus, perché in Germania in condizioni gravi in ospedale ci sono anche trentenni. La seconda: quando a rischio vi è il 30-40 per cento della popolazione ragionare sulla separazione in gruppi è sbagliato e non mi trovo nell’idea di chi suggerisce che una parte della popolazione debba essere tutelata mentre l’altra può fare festa. L’obiezione della cancelliera è saggia (e sono sagge anche molte delle obiezioni offerte oggi dal nostro Enrico Bucci sul Foglio) ma se si vuole provare a fare un passo in avanti sul tema della convivenza con il virus occorre prendere in mano qualche numero e affrontare il tema senza buttarla in vacca come hanno fatto nelle ultime ore prima il governatore Giovanni Toti (che con un tweet maldestro ha definito gli anziani come “non indispensabili allo sforzo produttivo”) e poi Alberto Asor Rosa (“la proposta di tenere in lockdown gli over 70 nasconde un retropensiero, quello di anticipare la nostra uscita di scena”, ha detto ieri su Rep., commentando ovviamente una proposta che non esiste: nessuno vuole segregare, semmai separare).

 

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Per farlo, prima di pensare al  come si può fare, è necessario pensare al perché si debba fare. E per capire il perché è necessario leggere con attenzione alcuni dati interessanti pubblicati dall’Istituto superiore di sanità relativamente a un dossier, aggiornato al 28 ottobre, sulle “caratteristiche dei pazienti deceduto positivi a Sars-Cov-2 in Italia”. Da questo dossier si capisce bene come la teoria di partenza di Rustichini, Ichino e Favero sia corretta. Al 28 ottobre 2020, scrive l’Iss, dei 37.468 pazienti deceduti positivi al Covid-19 sono 420 i morti con un’età inferiore ai 50 anni (1,1 per cento). E di questi 420, sono 64 quelli che presentavano gravi patologie preesistenti. I morti con un’età a cavallo tra i 50 e i 59 anni e quelli con un’età a cavallo tra i 60 e i 69 anni sono invece stati rispettivamente 1.316 (il 3 per cento) e 3.747 (il 10 per cento del totale). Sintesi totale: dall’inizio della pandemia, l’86 per cento delle morti relative al Covid-19 ha riguardato una fascia della popolazione con un’età superiore ai 69 anni (dato significativo riportato dall’Iss: il 46,1 per cento dei morti finora è stato registrato in Lombardia, il 12,2 per cento in Emilia-Romagna, l’11 per cento in Piemonte, il 6 per cento in Veneto, il 4,6 per cento in Liguria, il 3,3 per cento in Toscana, il 3,2 per cento nel Lazio). E’ sufficiente questo dato per dire che il Covid-19 non è pericoloso per i più giovani? Ovviamente no. E anche qui ci tornano utili i dati cumulativi raccolti sempre dall’Istituto superiore di sanità, aggiornati a ieri, che ci dicono quanto segue: tra i positivi nella fascia 80-89 anni, il 25 per cento si trova almeno in condizioni severe; tra i positivi nella fascia 70-79 anni, il 20 per cento si trova almeno in condizioni severe; tra i positivi nella fascia tra 60-69 anni, il 12 per cento si trova almeno in condizioni severe; tra i positivi nella fascia 50-59, il 6 per cento si trova almeno in condizioni severe.

 

Questo è il quadro, questi sono i numeri e questi sono i fatti. Fatti che poi – specie in una giornata come quella di ieri caratterizzata non solo dalla notizia delle nuove misure restrittive anticipate  dal presidente del Consiglio alla Camera ma anche dalla notizia che alla fine del primo trimestre del prossimo anno i vaccini, ha detto ieri il direttore dell’area Ricerca e sviluppo dell’oncologia di AstraZeneca, se tutto  andrà bene saranno “in una fase avanzata di distribuzione” – vanno poi inseriti anche all’interno di un’altra cornice, che è questa. Se è vero, come si dice e come ha ripetuto anche il premier Giuseppe Conte sulle colonne di questo giornale, che l’emergenza finirà quando le persone a rischio saranno messe al sicuro attraverso la somministrazione di un vaccino, non è del tutto razionale provare a ragionare su come mettere al sicuro le persone più a rischio già oggi per provare a rendere l’emergenza un po’ più sostenibile rispetto a oggi? E oltre a provare a mettere in sicurezza le Rsa, oltre a suggerire alle famiglie che se lo possono permettere di tenere distanziati i nonni dai nipoti, oltre a incrementare il sostegno ai genitori che hanno bisogno di una tata che faccia oggi quello che fino a ieri facevano i nonni, oltre a ricordare ai nonni che si trovano in casa con i nipoti di tenere anche in casa la mascherina, oltre a tutto questo (ricordiamo che il 77 per cento dei contagi, secondo il Cts, si sviluppa nelle case) ci sarebbero molte altre cose da fare che andrebbero prese in considerazione. 


Per esempio, consentire ai docenti anziani di insegnare in modo telematico da casa. Per esempio, stabilire ingressi nei supermercati a seconda delle fasce d’età. Per esempio, separare in modo rigido i mezzi di trasporto dedicati agli anziani da quelli dedicati ai più giovani. Per esempio, mettere a disposizione delle persone più anziane un personale dedicato all’interno degli studi dei medici. Per esempio, rendere obbligatorio il lavoro da casa per tutti coloro che appartengono a una fascia a rischio. Per esempio, creare aree separate anche all’interno dei luoghi di ristorazione. Sperimentare oggi, nuovamente, una qualche forma di lockdown, come sta capitando in Francia, in Irlanda, in Austria e tra qualche giorno in Germania, sarà forse inevitabile, se le regioni più a rischio non avranno il coraggio di prendere in modo autonomo e con tempismo decisioni che meriterebbero di essere assunte senza dover aspettare la tagliola dello stato centrale (ieri il governo ha annunciato che l’inserimento di una regione nell’area di rischio “avverrà con un’ordinanza del ministro della Salute” e in buona sostanza le regioni che dovrebbero chiudere e che non hanno il coraggio di farlo accettano che sia il governo a farlo automaticamente sulla base di alcuni parametri oggettivi valutati caso per caso). Ma forse, in vista delle prossime ondate, varrebbe la pena capire se oltre a creare, come ha detto ieri Conte, regole diverse per le aree, in base al rischio, sia possibile o no creare regole diverse, per le fasce d’età, in base al rischio. “Fino a che non si esce dall’emergenza – ha detto ieri con saggezza la sociologa Chiara Saraceno, 79 anni, a Repubblica – così dovrebbe essere: nonni a casa e bambini a scuola”. E’ difficile, ma perché non provarci?

 

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