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caos al pirellone

La pandemia a Milano scompiglia i piani di Salvini

Sospeso tra Enrico Montesano e Marcello Pera, tra i no-mask e il “chiudi tutto”, il segretario della Lega non ha ancora capito qual è la sua strategia politica sul Covid

Valerio Valentini

Il Truce nella bolla, Fontana in trincea. Il leader della Lega resta in mezzo al guado, incapace di trovare una linea sul Covid, mentre il presidente della Lombardia conferma la stretta. Le tensioni del Capitano con Zaia, e il veto sugli assessori al Bilancio

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L’operazione era già stata programmata. “Almeno lui”, aveva sentenziato Matteo Salvini all’indomani della mezza batosta rimediata dalla Lega nei ballottaggi alle amministrative lombarde. Si riferiva a Giulio Gallera. Se proprio un rimpasto in grande stile Attilio Fontana non si sentiva di farlo, che almeno sostituisse quell’assessore al Welfare che durante la prima ondata di pandemia ne aveva combinate di tutti i colori. Solo che poi il Covid è tornato a imporre la sua legge, a scandire le giornate del Pirellone con ben altre campane. E insomma a vederlo adesso, mentre il polverone della polemica inizia a sedimentarsi, lo scontro tra il segretario della Lega e il presidente della Lombardia sta anche qui: in un tempismo sciagurato. 

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L’operazione era già stata programmata. “Almeno lui”, aveva sentenziato Matteo Salvini all’indomani della mezza batosta rimediata dalla Lega nei ballottaggi alle amministrative lombarde. Si riferiva a Giulio Gallera. Se proprio un rimpasto in grande stile Attilio Fontana non si sentiva di farlo, che almeno sostituisse quell’assessore al Welfare che durante la prima ondata di pandemia ne aveva combinate di tutti i colori. Solo che poi il Covid è tornato a imporre la sua legge, a scandire le giornate del Pirellone con ben altre campane. E insomma a vederlo adesso, mentre il polverone della polemica inizia a sedimentarsi, lo scontro tra il segretario della Lega e il presidente della Lombardia sta anche qui: in un tempismo sciagurato. 

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E non solo per quel che riguarda la sorte dello sventurato Gallera. Perché le vite parallele di Fontana e Salvini, negli ultimi giorni, si sono incrociate quasi inconsapevolmente, in una serie di strambe coincidenze in cui l’uno ha finito col pestare i piedi dell’altro. Il capo della Lega, dopo l’emanazione dell’ultimo dpcm, era già pronto ad attaccare frontalmente, nell’Aula del Senato, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese durante le comunicazioni del premier Conte: bacchettando colei che lo ha rimpiazzato al Viminale di non aver dato disposizioni chiare ai prefetti per aiutare i sindaci nel controllo delle piazze e delle strade sottoposte a restrizioni. E poi, contemporaneamente, “si sarebbe dovuto denunciare a gran voce lo scandalo dei trasporti, locali e nazionali”, dice l’ex ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio. “Sia Sala, a Milano, sia la De Micheli a Roma, avrebbero dovuto dare delle risposte”, insegue il senatore del Carroccio. E non a caso l’assessore lombarda alla Mobilità, quella Claudia Terzi che è una delle più apprezzate in giunta da parte di Salvini, era già stata sollecitata a incalzare il sindaco di Milano, sul tema. 

 

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E insomma, quando l’arrembaggio mediatico contro il governo era pronto, ecco che ti arriva il mite Fontana a scombinarti i piani. “Com’è possibile che la regione annuncia la stretta dopo una riunione coi sindaci dei capoluoghi lombardi, che sono quasi tutti del Pd? Assecondiamo l’agenda della sinistra?”, è sbottato Salvini martedì pomeriggio, nella videoconferenza avuta col governatore e i suoi assessori. E Fontana c’ha pure provato a dire che la serrata gliel’ha suggerita, semmai, il Cts regionale, che aveva anzi sollecitato misure assai più severe di quelle adottate, specie su Milano. “Ma io comunque non posso venire a sapere dai giornali quel che succede in regione”, gli ha ribattuto il segretario. Che però, a quel punto, ha mostrato il fianco a chi – e sono parecchi, tra i lumbàrd – da mesi gli va chiedendo di essere più presente in casa sua, di prendere seriamente in mano la questione del Pirellone, “perché così non regge mica questa giunta”. Insomma, nella sua protesta scomposta Salvini è rimasto a metà del guado.

 

Tanto più che, alla fine, i dati hanno dato ragione a Fontana. Con quattromila contagi e trecento ricoveri, col focolaio dentro all’ospedale Sacco che ha coinvolto venti infermieri positivi, Fontana ha avuto buon gioco a confermare la sua linea della fermezza, ribadendo il coprifuoco dalle 23 alle 5 e non indietreggiando neppure sulla chiusura delle attività commerciali e anzi aggiungendo anche la didattica a distanze per le scuole superiori. Che è un po’ mettere le dita negli occhi di Salvini, farsi beffa dei richiami del Capitano, che resta lì, a menare pugni in aria, sospeso tra Enrico Montesano e Marcello Pera, tra i no-mask e il “chiudi tutto”, in un impeto perenne e perennemente irrisolto tra la richiesta di collaborazione col governo nella gestione della crisi e l’utilizzo della crisi stessa per fare battaglia politica contro il governo. Senza contare, poi, che mentre la sua Lombardia annaspa, il Veneto di Luca Zaia pare, pur nella gravità dei 1.500 contagi di ieri, un’isola relativamente felice. E solo chi non conosce la rivalità tra i lumbàrd e i cugini della Liga, solo chi non vede la guerra di logoramento tra il Truce e il Doge, può ignorare quanto possa pesare, a un segretario lombardo, vedere i dirimpettai della Serenissima mostrare (per ora, almeno) la loro efficienza. E forse anche così si spiega il puntiglio di Salvini nel porre il suo veto sui vari nomi che Zaia proponeva come assessori al Bilancio: un tiro al piattello estenuante, che alla fine ha convinto il governadòr a chiuderla lì, con una squadra di governo di otto membri anziché i dieci preventivati. “Hai vinto col 75 per cento, Luca, perché non tiri dritto?”, lo esortavano i suoi. E Zaia, chissà se più per pavidità o per prudenza, s’è stretto nelle spalle: “Ma chi me lo fa fare?”. 

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