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l'inciampo diplomatico

Così la smentita del Cremlino su Navalny ha fatto vivere un pomeriggio di panico a Palazzo Chigi

Peskov interviene dopo l'intervista di Conte al Foglio: nessuna commissione d'inchiesta su Navalny. Quella telefonata del 26 agosto

L'affanno dello staff del premier per ricostruire la telefonata tra Conte e Putin del 26 agosto. La mediazione di Benassi, le ironie di Di Maio

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Che l’italica maestria di conciliare l’inconciliabile, di annullare le distanze fisiche e politiche, fosse esercizio assai pericoloso, nella prassi diplomatica, Giuseppe Conte lo aveva forse già capito a gennaio scorso, quando nello stesso pomeriggio volle provare a incontrare, a Palazzo Chigi, prima Haftar e poi al-Serraj, come se fossero due comari litigiose da dover riamicare, e non due nemici che si contendono la Libia a colpi di mortaio. Finì come si sa, infatti, con l’indignazione del premier di Tripoli e le risate di gusto che risuonarono alla Farnesina di Luigi Di Maio, dove rimbalzavano battute velenose su quel Giuseppi che voleva sentirsi come il Cav. di Pratica di Mare, mettere una sull’altra la mano di due rivali. Che è un po’ quello che forse è successo anche due giorni fa, quando il premier ha voluto annunciare al Foglio che sul caso Navalny lui sta con Angela Merkel, nel pretendere chiarezza e verità, ma al tempo stesso, con agile mossa, precisava che s’era comunque fatto assicurare da Vladimir Putin che, sì, la Russia aveva intenzione di istituire una commissione d’inchiesta per fare luce sull’avvelenamento dell’oppositore del Cremlino. Un po’ come quando Berlusconi si faceva concavo con Ankara e convesso con Bruxelles, piantava la cancelliera tedesca sulle rive del Reno perché nel frattempo, diceva, gli toccava ammorbidire Erdogan.

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Che l’italica maestria di conciliare l’inconciliabile, di annullare le distanze fisiche e politiche, fosse esercizio assai pericoloso, nella prassi diplomatica, Giuseppe Conte lo aveva forse già capito a gennaio scorso, quando nello stesso pomeriggio volle provare a incontrare, a Palazzo Chigi, prima Haftar e poi al-Serraj, come se fossero due comari litigiose da dover riamicare, e non due nemici che si contendono la Libia a colpi di mortaio. Finì come si sa, infatti, con l’indignazione del premier di Tripoli e le risate di gusto che risuonarono alla Farnesina di Luigi Di Maio, dove rimbalzavano battute velenose su quel Giuseppi che voleva sentirsi come il Cav. di Pratica di Mare, mettere una sull’altra la mano di due rivali. Che è un po’ quello che forse è successo anche due giorni fa, quando il premier ha voluto annunciare al Foglio che sul caso Navalny lui sta con Angela Merkel, nel pretendere chiarezza e verità, ma al tempo stesso, con agile mossa, precisava che s’era comunque fatto assicurare da Vladimir Putin che, sì, la Russia aveva intenzione di istituire una commissione d’inchiesta per fare luce sull’avvelenamento dell’oppositore del Cremlino. Un po’ come quando Berlusconi si faceva concavo con Ankara e convesso con Bruxelles, piantava la cancelliera tedesca sulle rive del Reno perché nel frattempo, diceva, gli toccava ammorbidire Erdogan.

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Sennonché in questo slalom stavolta Conte s’è trovato a misurarsi con chi sull’ambiguità ha costruito la sua carriera politica, e dunque ben poca difficoltà ha trovato a smentire, senza neppure grande clamore, la clamorosa notizia rivelata da Conte. “Si sarà trattato di un malinteso”, ha detto ieri Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino e amico fraterno di Putin, con lo zelo di chi, certo, ci tiene a evitare che questa rogna di Navalny sfugga di mano più di quanto non sia già sfuggita, ma evitando che l’ansia trapeli più dell’inevitabile. E certo stabilire chi abbia ragione, tra Conte e Putin, diventa ora questione per filologi e linguisti, gente che sappia padroneggiare con dimestichezza il russo e l’italiano, e che dunque possa farci comprendere se davvero, come dice il fu avvocato del popolo, l’amico Vladimir s’è spinto a parlare di una “commissione d’inchiesta”, o se invece, come precisa Peskov, l’ex funzionario del Kgb s’è limitato a descrivere “azioni pre-investigative già in corso”.

Ieri a Palazzo Chigi c’hanno provato: ma il tentativo di fare chiarezza (“risulta confermata la decisione russa di dare luogo ad una fase investigativa – o al limite pre-investigativa”) s’è tradotto in una ricerca affannosa della registrazione di quella telefonata del pomeriggio del 26 agosto, quando l’ufficio del consigliere diplomatico del premier, l’ambasciatore Pietro Benassi, ha chiamato il suo omologo del Cremlino e ha poi passato la telefonata al premier, che con Putin parlava per il tramite della traduttrice russa, e dunque ci sta che sulle fumosità lessicali che la diplomazia spesso impone, la chiacchierata sia inciampata sulla corretta interpretazione dei dettagli dell’indagine che a Mosca dicono di voler condurre, d’altronde ribadendo che però, per il caso Navalny, di avvelenamento non s’è certo trattato.

E del resto, mentre ieri lo staff del premier predicava cautela e diceva di voler consultare gli appunti che lo stesso Benassi, fedelissimo consigliere di Conte, come lui gran tifoso romanista, aveva preso quel 26 agosto, al primo vero colloquio delicato dopo le vacanze trascorse con la moglie Monica a San Felice Circeo, dall’ambasciata russa recuperavano in breve tempo il comunicato che da Mosca avevano diramato quel pomeriggio, e si rimettevano all’evidenza letterale del passaggio in cui il Cremlino ribadiva “l’inammissibilità di accuse frettolose e infondate al riguardo e l’interesse per un’indagine approfondita e obiettiva di tutte le circostanze dell’incidente” di Navalny. Non esattamente una predisposizione a una commissione d’inchiesta. Di cui comunque, spiegavano ieri da  Chigi,  Conte ha fatto menzione “in linea con la sostanza emersa dal colloquio”. Solo che la sostanza delle confidenze di Putin (che negli incontri internazionali s’esprime sempre e soltanto nella sua lingua) è qualcosa di così impalpabile, etereo, che a volerla acciuffare, si rischia di scivolare. Dovrà tenerne conto anche Di Maio, che il 14 ottobre volerà a Mosca per un vertice economico col suo omologo Sergei Lavrov. Non mancherà il traduttore.

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