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La rivoluzione mondiale delle soft left

Claudio Cerasa

Biden in America, Scholz in Germania, Starmer nel Labour e tanti altri. Che cosa lega tutte queste sinistre? Il no all’estremismo sfascista e una visione moderna e moderata. Il Pd in Italia ha la stessa opportunità (anziché inseguire Rousseau)

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Gli Stati Uniti e poi la Gran Bretagna. La Francia e poi la Spagna. La Germania e forse un giorno anche l’Italia. Tema: e se fosse iniziata una nuova e promettente stagione per la sinistra liberale? E se la sinistra italiana, per ricostruire se stessa, dovesse concentrarsi un po’ meno sulla politica dell’algebra e sulla fuffa di Rousseau e un po’ più sulla ciccia dell’identità e sulla visione moderna e moderata del futuro? Proviamo a riordinare le idee, a mettere insieme i puntini e a proiettare il nostro ragionamento al futuro prossimo venturo, anche alla luce della scelta appena fatta da Joe Biden, candidato alla presidenza degli Stati Uniti per il Partito democratico, che contrariamente a ciò che in molti sospettavano non si sta buttando affatto a sinistra, per provare a sconfiggere Donald Trump.

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Gli Stati Uniti e poi la Gran Bretagna. La Francia e poi la Spagna. La Germania e forse un giorno anche l’Italia. Tema: e se fosse iniziata una nuova e promettente stagione per la sinistra liberale? E se la sinistra italiana, per ricostruire se stessa, dovesse concentrarsi un po’ meno sulla politica dell’algebra e sulla fuffa di Rousseau e un po’ più sulla ciccia dell’identità e sulla visione moderna e moderata del futuro? Proviamo a riordinare le idee, a mettere insieme i puntini e a proiettare il nostro ragionamento al futuro prossimo venturo, anche alla luce della scelta appena fatta da Joe Biden, candidato alla presidenza degli Stati Uniti per il Partito democratico, che contrariamente a ciò che in molti sospettavano non si sta buttando affatto a sinistra, per provare a sconfiggere Donald Trump.

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Il primo puntino da unire è quello che è emerso in Germania, dove l’Spd ha scelto Olaf Scholz come prossimo candidato cancelliere della Spd. Scholz è l’attuale ministro delle Finanze del governo Merkel, mesi fa è diventato famoso in tutta Europa per via di una proposta costruita per accelerare l’unione bancaria che ha fatto molto discutere, durante i mesi più caldi della pandemia è diventato ancora più popolare in Germania grazie alle poderose scelte di politica economica fatte dal governo per rispondere alla crisi generata dall’emergenza coronavirus e il suo partito lo ha appena incaricato come prossimo candidato cancelliere, individuandolo come volto giusto per provare a formare un futuro asse di governo con i Verdi di Robert Habeck, enfant prodige elettorale degli ecologisti, passati dal 9 per cento a oltre il 18 per cento dei consensi negli ultimi due anni. Scholz, pur guardando a sinistra, è uno dei leader più centristi del suo partito (l’Spd, dopo molti mesi, secondo alcuni sondaggi è tornata a superare i Verdi) e la sua moderazione, per così dire, è simile a quella che si sta registrando in altri partiti progressisti europei, che in forme più o meno lineari sembrano aver capito, dopo le scoppole prese dal corbynismo e dopo le scoppole prese dal sandersismo, che l’unica politica di sinistra che può avere un futuro è quella che punta a rappresentare l’elettorato più moderato, ed europeista, che quello estremista e a tratti sfascista. E’ andata così in Germania, in questi mesi.

 

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Ma sta andando così per esempio anche nel Regno Unito, dove il Labour ha scelto come suo leader un promettente esponente politico di nome Keir Starmer che, come ha scritto su queste colonne Paola Peduzzi, fa parte della così detta soft left, “che per intenderci è quel che c’è in mezzo tra la sinistra radicale di Jeremy Corbyn e il riformismo centrista di Tony Blair”. Va verso il centro l’Spd (nonostante una sbandata a sinistra registrata alla fine dello scorso anno quando gli iscritti dell’Spd scelsero come presidenti la coppia poco di centro e molto di sinistra costituita da Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans). Va verso il centro il Labour (e d’altronde dopo il disastro di Corbyn non poteva che essere così). Va verso il centro la sinistra portoghese grazie al premier António Costa (che durante i mesi della pandemia è riuscito a creare persino una sorta di patto trasversale con l’opposizione per provare a rimettere in sesto il paese). Va verso il centro anche Joe Biden (che come abbiamo detto, al contrario di molte aspettative, ha scelto di mettersi a fianco Kamala Harris, ovverosia non un candidato vicepresidente capace di coprirgli le spalle dai possibili agguati della sinistra sandersiana, ma un vicepresidente pragmatico e tutt’altro che anti sistema, come ha raccontato magnificamente giovedì su queste colonne Daniele Raineri).

 

Ma va così anche in altri paesi, come la Francia di Emmanuel Macron, vero inconfessabile faro dei progressisti europei, come va verso il centro anche il Partito socialista francese, che ha nel sindaco di Parigi Anne Hidalgo un suo nuovo punto di riferimento. E va così anche in Spagna che, con Pedro Sánchez, nel processo di rieducazione dal populismo sembra essere qualche passo avanti anche rispetto all’Italia. E’ una sinistra più protettiva, più europea, più verde, molto urbana, poco angloamericana, eccezion fatta per la tosta Jacinda Ardern, premier della Nuova Zelanda, considerata da tutte le sinistre moderne come un modello di leadership da seguire, scrive sempre Peduzzi, non tanto per la sua ideologia, ma per il suo approccio pragmatico, rapido, deciso, compassionevole e sorridente (il fascino del mélenchonismo sembra essere evaporato). Ma è una sinistra che in una certa misura sconta un problema non da poco: è una sinistra che ha intuito la giusta direzione da prendere, ma che vivacchia, senza grande carisma, senza leader visionari, capaci di emozionare, di creare empatia, di fare notizia, di fare squadra.

 

E in Italia? Proiettati nel contesto politico del nostro paese, i puntini che abbiamo provato a unire suggeriscono alla sinistra italiana una direzione precisa che va al di là del generico invito a emanciparsi dal populismo grillino. E la direzione, in fondo, più chiara di così non si può: smetterla di giocare con la politica del rinvio, assumere pienamente il controllo del governo, trasformare la gestione della pandemia in un’occasione per modernizzare il paese ed evitare che l’alleanza con il grillismo venga percepita non come un’alleanza cinica e provvisoria ma come una svolta strutturale e definitiva.

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E per farlo occorrerebbe rendersi conto che all’interno del governo gli equilibri sono cambiati – il grillismo che ogni giorno fa un passo verso la demolizione del grillismo, vedi il voto di ieri su Rousseau che ha reso possibile ciò che anni fa sembrava impossibile, ovvero le alleanze alle amministrative con il Pd e la possibilità di un terzo mandato per tutti – e che il partito che ha un maggior potere contrattuale all’interno dell’esecutivo non è quello che ha vinto le elezioni due anni fa ma è quello che ha guidato la transizione da un governo populista a uno meno populista. Vale quando si parla di nord (e per il Pd, in una stagione in cui la Lega salviniana sceglie di allontanarsi sempre di più dal nord, sarebbe un delitto politico non farsi rappresentanza della parte più moderna ed europea del paese). Vale quando si parla di lavoro (e più passa il tempo e più la scelta del Pd di delegare alla Cgil l’agenda del lavoro non sarà più percepita come scelta dettata dalla necessità, ma sarà sempre di più percepita come una scelta dettata dalla volontà). Vale quando si parla di giustizia (l’agenda giustizialista del governo è chiara e lineare, vedi il capitolo sulla fine della prescrizione, quella non giustizialista non è chiara e non si vede all’orizzonte). Vale anche quando si parla di riforme istituzionali (e il vero cedimento al populismo non ha a che fare con la scelta di appoggiare il sì al referendum costituzionale ma con l’incapacità di avvicinarsi all’appuntamento del referendum con un disegno complessivo finalizzato a trasformare il taglio del numero dei parlamentari in un mezzo utile a rendere più efficiente il sistema istituzionale italiano). L’evoluzione delle sinistre mondiali – carisma a parte – ci offre una lezione interessante: per costruire un’identità forte della sinistra occorre andare oltre la sterile algebra delle alleanze. Il Pd dovrebbe capire che una svolta oggi non è solo questione di buon senso. Può essere persino una questione di consenso.

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