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L'appello per la pace che vuole solo piegare l'intransigenza di Kyiv

Adriano Sofri

I firmatari – 11 personalità intellettuali e politiche di vario orientamento – si autorizzano a un’invadenza sorprendente nei confronti di uno dei contendenti, esattamente quello che è stato vittima dell’aggressione. Nei confronti della Russia, le condizioni dell’appello sono molto più indulgenti e lusinghiere

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Leggo l’appello “Un negoziato credibile per fermare la guerra”, firmato da 11 personalità intellettuali e politiche di vario orientamento, come si dice. La sua premessa è nella minaccia dell’apocalisse nucleare, sotto le cui macerie resterebbe sepolta l’umanità tutta. “Ma a una volontà razionale di pace bisogna offrire uno scenario credibile per chiudere questo conflitto, divampato con l’aggressione russa al di là delle gravissime tensioni nel Donbass”. Sbrigata la doppia incombenza di nominare l’aggressore e di citare il precedente scottante – “le gravissime tensioni” – i firmatari avvertono che il “conflitto non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall’altra”. E’ da questo punto che l’appello si discosta dalla fioritura recente di iniziative analoghe (compreso il manifesto di ex diplomatici che pure si richiama agli accordi di Minsk e fa sua la tesi della “neutralità” ucraina) elencando una serie di condizioni del negoziato. Sei, per l’esattezza.

“1) neutralità di un’Ucraina che entri nell’Ue, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Stati Uniti alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del Muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia; 2) concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Krusciov alla Repubblica Sovietica Ucraina; 3) autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione Onu; 4) definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse; 5) simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione; 6) piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina”.

I firmatari – dico senza pregiudizio a loro sfavore, e per alcuni piuttosto il contrario – si autorizzano a un’invadenza sorprendente nei confronti di uno dei contendenti, esattamente quello che è stato vittima dell’aggressione, e che le sta resistendo a ogni costo. L’Ucraina ha detto di non essere disposta ad alcun negoziato che abbia queste premesse. Nei confronti della Russia, le condizioni dell’appello sono molto più indulgenti e lusinghiere. Al primo punto, si dà un valore di impegno vincolante alla rassicurazione verbale sul non ingresso dell’Ucraina nella Nato. Sul quale non ingresso nella Nato le rassicurazioni si sono moltiplicate ben più nettamente alla vigilia e durante l’invasione russa. Con un vincolo ben più solenne la Russia si era impegnata a non violare l’indipendenza ucraina al momento della sottoscrizione del Memorandum di Budapest del 1994, quando l’Ucraina accettò di privarsi del suo enorme arsenale nucleare. Al secondo punto, i firmatari danno per risolta una volta per tutte la questione della Crimea, chiamando “illegale” la donazione di Krusciov e sancendo la “tradizione della Crimea russa”: ignorando oltretutto il vigente misconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea nel 2014. Al punto 3 l’appello cita come “russofone” le regioni di Lugansk e Donetsk, senza accorgersi (spero) di fare della “russofonia” una ragione di appartenenza politica, che se così fosse travolgerebbe la maggioranza del territorio ucraino, in cui prevale nell’uso la lingua russa. Al punto 4 si parla de “gli altri territori contesi del Donbass”: qui forse è la mia ignoranza a tradirmi: si intende il “grande Donbass”, i territori di Dnipropetrovsk e Kharkiv, o gli oblast’ di Zaporizhia e Kherson? Tutto da amministrare a mezzadria fra Ucraina e Russia? I punti 5 e 6 sono pletorici. 

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L’appello sembra mirare soprattutto a piegare l’intransigenza del governo ucraino, che ora ha votato di non negoziare finché a capo del Cremlino ci sia Putin, con ciò implicando che la guerra non possa finire se non col cambio di regime in Russia, dunque con la vittoria dell’Ucraina e la sconfitta della Russia. Si può dissentire da questa proclamazione, con la quale la dirigenza ucraina ha voluto legarsi le mani contro ogni sospetto interno di volerle tenere libere per accettare compromessi. Ma bisogna ricordare che prima era stato Putin a indire i referendum truffa sulle annessioni, a dichiarare territori occupati e contesi parte “per sempre” del territorio russo, e dunque a escluderne un cambiamento da qualunque negoziato. 

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Nella sua parte conclusiva, l’appello richiama la propria consonanza con le posizioni di Elon Musk e di Henry Kissinger. E soprattutto con “l’unica Agenzia mondiale all’opera davvero per la pace, la Chiesa di Roma”. Cui del resto alcuni firmatari sono significativamente legati, e l’Avvenire, dopo il Fatto, si è prontamente affiancato alle ragioni dell’appello. Con una forzatura vistosa: se il Papa Francesco esplicitasse in una simile agenda il proprio vibrante e instancabile richiamo al disarmo e alla pace, taglierebbe ogni rapporto con l’Ucraina e con la stessa Chiesa cattolica ucraina.

Infine, l’appello invoca la convenienza: “Questa soluzione conviene a tutti, anche all’occidente e in particolare ai paesi dell’Ue, i più minacciati dall’ipotesi di un disperato attacco nucleare russo. E all’Ucraina stessa, se non vorrà essere la nuova Corea nel cuore dell’Europa per i prossimi 50 anni”. E’ facile immaginare che “l’Ucraina” – ce ne sono tante, del resto: ma per il momento ce n’è una ad avere il sostegno certo della gran parte del suo popolo – risponderebbe di voler riconoscere lei le proprie convenienze. Io ho un’ultima domanda ai firmatari: pensano che l’ispirazione cui si attengono sarà, debba essere, d’ora in poi, quella cui attenersi ogni volta che una prepotenza dotata dell’atomica vorrà invadere un paese e violentare un popolo e la sua libertà?

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