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Piccola posta

Il nucleare civile non esiste più. Le centrali possono diventare armi

Adriano Sofri

L'occupazione della centrale di Enorhodar, nell’oblast’ di Zaporizhia, porta un ammonimento: dare il giusto peso al rischio che l'energia nucleare possa trasformarsi in risorsa militare dalle conseguenze paragonabili a quelle della bomba atomica

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Odessa, dal nostro inviato. Come ci sono aziende troppo grosse per fallire, ci sono notizie troppo grosse per essere registrate. Una è questa: che il “nucleare di pace”, il “nucleare civile”, non esiste più. Che la distinzione fra gli armamenti atomici e l’energia nucleare a scopi pacifici esiste ancora, ma si è fatta molto sottile, e potrà diventare impercettibile. 
Io, che non ho pretese di competenza, diffido da tempo delle accuse di “ideologia” a chi è contrario al nucleare. Per un paio di ragioni, direi. La prima è che trovo almeno altrettanto fondato imputare di “ideologia” i fautori del nucleare. (Più ancora quando ne vivano, professionalmente). La seconda è che non trovo in me, per esempio, un dogmatismo “ideologico”, bensì una disposizione ad ascoltare le argomentazioni di ciascuno e le loro evoluzioni nel tempo. 

Il tempo appunto sembra aver lavorato a vantaggio dei nuclearisti, in due modi: la persuasione che si sia arrivati, o ci si avvicini, alla famosa generazione di nucleare pulito e sicuro. E la constatazione, che si presenta come realisticamente necessaria, della crisi energetica che impone di ripensare alle scelte di abbandono del nucleare. E’ avvenuto in Belgio, sta probabilmente per avvenire in Germania sotto forma del prolungamento in vita, magari depotenziata, delle centrali destinate allo spegnimento entro l’anno. 
La ripresa della promozione del nucleare, che era già vivace prima dell’invasione russa dell’Ucraina e della crisi incontrollata del gas – arrivando all’intenzione di includere il nucleare fra le fonti rinnovabili – sta rivendicando una propria ineluttabilità di fronte agli sviluppi, che ormai paiono duraturi e destinati ad aggravarsi, della crisi energetica legata alla guerra in Europa. Ma la guerra in Ucraina, dopo l’occupazione russa iniziale della centrale spenta, ma minacciosa, di Chernobyl e della centrale nucleare di Enerhodar, nell’oblast’ di Zaporizhia, la più grande delle quattro ucraine in funzione e la più grande d’Europa, ha trasformato il nucleare civile in un’arma e un campo di battaglia apertamente e follemente militare. D’ora in poi, quando da ogni posizione si misureranno i pro e i contro del ricorso al nucleare, bisognerà attribuire il peso che merita al rischio, in passato largamente ignorato, che le centrali nucleari si mutino in micidiali risorse militari, paragonabili per le conseguenze a quelle del ricorso al nucleare militare della Bomba, più o meno ingrandita o rimpicciolita, tornato anch’esso in auge nell’oratoria del Cremlino. Ho scritto “d’ora in poi”, ma bisognava farlo molto prima. L’aveva ostacolato il mancato raccordo effettivo, al di là degli slogan, fra questione della pace e questione dell’ecologia. 

Non ho competenza, ripeto, ma quando ho potuto sono andato in giro per il mondo, con una preferenza per i luoghi surriscaldati, e ho fatto esperienze che tornano attuali. Nella prima guerra cecena, cui fui presente due volte per qualche mese nel 1995-96, i temerari capi della ribellione indipendentista cecena, coi quali fui in rapporto stretto, avevano messo a punto un piano per l’occupazione armata della base missilistica nucleare di Bamut, nell’occidente del paese, al confine con l’Inguscezia. La battaglia per questo piccolo paese fra migliaia di truppe russe e i combattenti locali, poche centinaia, durò a più riprese oltre un anno, e segnò un costo enorme di vite, mezzi materiali e reputazione per i russi. Nel suo corso fu studiata l’invasione della base nucleare, e non si trattò di una rodomontata: chi conosca le imprese condotte da quei combattenti, nel bene e nel male, non ha ragione di dubitarne. Semplicemente, prima che sembrasse loro necessario compierla, si aggiudicarono una vittoria politica che per un periodo li fece sussistere come una repubblica indipendente. In quella circostanza dovetti immaginare per la prima volta che gli impianti nucleari, militari come alla base di Bamut o pacifici come nelle centrali russe, potessero diventare armi in mano ai contendenti più diversi. Terroristi compresi: l’unica ipotesi, pur teorica, che si faceva discutendo tecnicamente della sicurezza delle centrali. Allarmante, certo. Non lo era né lo è meno in mano a Kim Jong-un. E oggi non lo è meno in mano all’esercito russo e al Fsb a Enerhodar, Zaporizhia. L’accusa di “terrorismo nucleare” che Kyiv e Mosca si rinfacciano, e il gioco a nascondino russo nei confronti dell’Aiea mostrano a che punto siamo.

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Dunque: la notizia è grossa, così grossa che si preferisce non starla a sentire. Il nucleare civile non esiste più. La sua distinzione dal nucleare militare è sempre più sottile. Da un momento all’altro, da un lato o dall’altro, si cancellerà: il problema resterà quello di sempre. Le scorie. 

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