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Lettere

La linea perdente della Santoro-Tarquinio Associati e un’altra donna vincente in Europa

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - Quattro dei nove libri delle celebri “Storie” di Erodoto sono dedicati, secondo la divisione dei grammatici alessandrini, a quelle “guerre persiane” che per circa un ventennio (499-479 a. C.) videro impegnate le polis greche contro l’impero fondato da Ciro il Grande. Così come sono state interpretate e tramandate dallo storico di Alicarnasso, furono guerre di libertà condotte da un piccolo popolo contro un potente avversario; e che proprio perché si batteva per una grande causa, che era la causa della libertà, è alla fine vittorioso. Non a caso Erodoto stabilisce un rapporto diretto tra la fine della tirannide ad Atene e l’aiuto prestato agli Ioni che stavano per ribellarsi, aiuto che determina l’aggressione degli sterminati eserciti di Dario e di suo figlio Serse. Ora, non si tratta tanto di giudicare la verità storica di questo racconto, quanto di riflettere sulla forza di un’idea che è indipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alla realtà dei fatti. Forse chi ha la mia non più verde età ricorda come gli intellettuali di sinistra, sia della sinistra parlamentare che di quella radicale, celebravano l’eroica lotta dei viet-cong che difendevano la libertà del proprio paese contro un nemico considerato invincibile. Oggi alcuni di loro, e quanti si reputano loro eredi, sono diventati campioni di realpolitik, fino a suggerire agli ucraini massacrati dalle bombe russe di deporre le armi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Non saranno putiniani, ma di sicuro sono “tafazziani”.
Michele Magno

Rivedo, nell’immagine offerta alla fine della sua lettera, il ragionamento furbo ma pericoloso veicolato ieri dalla Santoro-Tarquinio Associati. Un’idea molto semplice: scaricare la responsabilità della guerra lunga sull’occidente (basta armi). Con una conseguenza evidente: deresponsabilizzare (certamente involontariamente) i carnefici e trasformare (certamente volontariamente) Biden nel vero problema della guerra. Mossi dall’idea che, dato che Zelensky combatte una guerra per procura (che è esattamente la stessa cosa che pensa Putin), per far finire la guerra occorre che Biden ordini a Zelensky di fermarsi. Ragionamento suggestivo, che non tiene conto però di un semplice dato di realtà: l’opzione negoziale oggi ha più senso di prima perché Putin sta perdendo la guerra. E la guerra Putin la sta perdendo perché l’occidente ha seguito la linea opposta a quella della Santoro-Tarquinio Associati. E ha scelto cioè meritoriamente di armare la democrazia per poter arrivare alla pace. 

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Al direttore - Caro Cerasa, ha scritto un editoriale che gran parte di noi ha letto con grande interesse e ancora più forte partecipazione. Le sette donne che si trovano alla guida, intelligente e pragmatica, dei grandi processi che, ci auguriamo, ridisegneranno un mondo più equo e libero, sono un simbolo del cambiamento per cui ciascuna di noi lavora e lotta da tempo. Lei constata con ironia come il femminismo abbia “misteriosamente” sottovalutato questo fenomeno che è più grande di noi e che speriamo travolga tutto. Ma sicuro che sia così? Lei, per molte di noi, ha scritto un pezzo neofemminista: perché il femminismo, oggi, non è stare chiuse nella propria “parrocchia” ma partecipare a un cambiamento complessivo che troppo a lungo ha escluso le donne come soggetto promotore. Ecco perché, se per emancipazione si intende il processo grazie al quale alle donne non è più applicato il trattamento giuridico riservato ai soggetti incapaci, beh, siamo d’accordo con lei. Quella è la storia: non ce ne possiamo dimenticare, ma noi oggi costruiamo il futuro. Quello in cui le nuove generazioni di donne e di uomini saranno alla guida di un’Europa libera dal “bullismo nazionalista”, più sicura perché più equa.
Ilaria Donatio 


Sul tema della grazia ferma delle donne al comando dell’Europa, in battaglia contro il bullismo nazionalista, occorre aggiungere un altro tassello, dopo il premier lituano (donna), il premier estone (donna), il premier danese (donna), il premier finlandese (donna), il premier svedese (donna), il presidente del Parlamento europeo (donna), il presidente della Commissione europea (donna) ecco Élisabeth Borne, seconda donna a capo del governo in Francia nell’èra della Quinta Repubblica.

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