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I magistrati tributari scioperano contro la riforma Cartabia

Ermes Antonucci

Dal 19 al 21 settembre i giudici tributari si asterranno dal lavoro per protestare contro la riforma della giustizia tributaria, approvata il 9 agosto. Le ragioni della protesta spiegate al Foglio da Gobbi (Amt) e Leone (Cpgt)

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Dal 19 al 21 settembre i magistrati tributari sciopereranno per protestare contro la riforma della giustizia tributaria, approvata in fretta e furia dal Parlamento il 9 agosto dopo la caduta del governo Draghi, con la sola astensione di Fratelli d’Italia. Tre gli elementi principali alla base della protesta dei giudici tributari, come spiega al Foglio Daniela Gobbi, presidente dell’Associazione magistrati tributari: “Innanzitutto la permanenza del rapporto con il ministero dell’Economia e delle Finanze, nel quale saranno incardinati i giudici professionali. E’ evidente come questa scelta del legislatore appanni l’immagine di autonomia e indipendenza del giudice. La riforma accentua il rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Mef, titolare dell’interesse oggetto delle controversie tributarie, in contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici e in chiaro contrasto con l’interesse dei contribuenti”.

La riforma voluta dalla ministra Marta Cartabia, infatti, pur prevedendo – in maniera innovativa – l’istituzione di una magistratura specializzata, non solo non recide i legami di dipendenza già esistenti tra giudici tributari e Mef, ma attribuisce a quest’ultimo anche funzioni in materia di status giuridico ed economico dei magistrati tributari e il reclutamento dei nuovi giudici. “Al pari della giustizia amministrativa e contabile – prosegue Gobbi – avevamo chiesto che la giurisdizione tributaria fosse incardinata presso la presidenza del Consiglio dei ministri. La scelta del legislatore, oltre a presentare dei seri dubbi di costituzionalità, non potrà non rafforzare la preoccupazione dei contribuenti italiani e degli investitori stranieri”.

Il secondo problema fondamentale riguarda le scoperture di organico dovute alla professionalizzazione della magistratura, dunque l’efficienza stessa del sistema tributario: “La riduzione dell’età prevista per la cessazione dell’incarico dei giudici tributari, anche se in modo graduale, comporterà una grave e irrimediabile compromissione delle funzionalità degli organi della giustizia tributaria, determinando contestualmente un altrettanto grave depauperamento delle professionalità esistenti nella giustizia tributaria”, afferma Gobbi. Qualche numero: “Dal 2022 al 2027 usciranno dalla giurisdizione tributaria 1.238 giudici su un organico di circa 2.500, tra i quali numerosi presidenti dei collegi giudicanti, non sostituibili in tempi brevi a causa dei tempi necessari per le procedure concorsuali, certamente non inferiore a quattro anni. Il risultato sarà l’allungamento dei tempi di definizione delle controversie in contrasto con l’esigenza di rapida definizione dei processi particolarmente avvertita dal cittadino contribuente”.

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Terzo punto critico: la mediazione. “Finalizzato a garantire il principio di leale collaborazione tra stato e cittadini, rimane un istituto non obiettivo e non imparziale gestito e organizzato dalla stessa amministrazione finanziaria che emette avvisi di accertamento e cartelle di pagamento, mentre – al contrario – sarebbe necessario che la mediazione fosse svolta dinanzi a un organo che appaia e sia terzo e imparziale”, dichiara la presidente dell’Amt.

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Fortemente critico sulla riforma anche Antonio Leone, presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt), quello che dovrebbe rappresentare il “Csm” della giustizia tributaria: “In sede di audizione – dichiara Leone al Foglio – avevamo segnalato l’assoluta necessità di dotare l’organo di autogoverno di un ruolo autonomo del personale e invece si è ribadita la dipendenza al Mef, il quale gestisce anche lo status giuridico dei funzionari delle Agenzie fiscali, che è la principale parte del processo tributario. Credo si tratti di un bel ‘conflitto d’interessi’ che non ha precedenti in alcun paese europeo”.

Non sono contrario alle riforme, ci mancherebbe altro, ma queste vanno fatte per bene, non di fretta e principalmente non con le Camere sciolte e sotto una presunta spinta dell’Europa. Allora è meglio non fare nulla ed evitare danni. Sto aspettando ancora qualcuno che mi dica in base a quali informazioni è stato previsto che circa 600 giudici professionali siano sufficienti per gestire l’intero contenzioso tributario, scrivendo in media, per giudice, 380 sentenze l’anno. Insomma, tra commissioni ministeriali e task force la montagna ha partorito il classico topolino”, conclude Leone.

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