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Nuovo flop per la procura di Milano: prosciolti i fratelli Rocca per il caso Petrobras

Ermes Antonucci

Per il tribunale di Milano il processo nei confronti degli amministratori e dei soci della holding San Faustin non doveva nemmeno iniziare per difetto di giurisdizione. Un nuovo fallimento per il pool anticorruzione voluto da Greco

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La procura di Milano sembra non azzeccarne più una. Dopo i fallimenti clamorosi dei processi sulle presunte corruzioni compiute da Eni in Nigeria e da Eni-Saipem in Algeria (tutti gli imputati sono stati assolti dopo anni di gogna), è arrivata l’ennesima sconfessione delle inchieste condotte dall’ufficio retto fino a novembre da Francesco Greco, ora in pensione. Il tribunale di Milano ha infatti prosciolto Gianfelice Rocca (numero uno del gruppo Techint, presidente dell’Istituto clinico Humanitas ed ex presidente di Assolombarda), suo fratello Paolo Rocca e il loro cugino Roberto Bonatti, quali amministratori e soci della holding San Faustin, dall’accusa di corruzione internazionale per una presunta tangente pagata in Brasile. Parliamo di una holding da 90 miliardi di dollari di fatturato, 450 società e 80 mila lavoratori.

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La procura di Milano sembra non azzeccarne più una. Dopo i fallimenti clamorosi dei processi sulle presunte corruzioni compiute da Eni in Nigeria e da Eni-Saipem in Algeria (tutti gli imputati sono stati assolti dopo anni di gogna), è arrivata l’ennesima sconfessione delle inchieste condotte dall’ufficio retto fino a novembre da Francesco Greco, ora in pensione. Il tribunale di Milano ha infatti prosciolto Gianfelice Rocca (numero uno del gruppo Techint, presidente dell’Istituto clinico Humanitas ed ex presidente di Assolombarda), suo fratello Paolo Rocca e il loro cugino Roberto Bonatti, quali amministratori e soci della holding San Faustin, dall’accusa di corruzione internazionale per una presunta tangente pagata in Brasile. Parliamo di una holding da 90 miliardi di dollari di fatturato, 450 società e 80 mila lavoratori.

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I pm avevano chiesto una condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione per ciascun imputato, ma i giudici hanno stabilito il “non doversi procedere” nei loro confronti (e anche della società) evidenziando che “l’azione penale non doveva neppure essere iniziata per difetto di giurisdizione”. Insomma, a distanza di sette anni dall’inizio della vicenda (l’indagine venne aperta nel 2015 sull’onda dello scandalo brasiliano “Lava Jato”), si scopre che il procedimento giudiziario neanche sarebbe dovuto nascere. Peccato che nel frattempo gli imputati abbiano vissuto per anni con addosso un’accusa così pesante e che, soprattutto, il sistema giudiziario abbia speso ingenti risorse per svolgere investigazioni, perquisizioni, accertamenti, verifiche e udienze poi rivelatesi del tutto inutili.

 

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L’accusa avanzata dal pool affari internazionali della procura di Milano, coordinato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, era che gli imputati avessero tollerato il pagamento tra il 2009 e il 2013 di una tangente di 6,6 milioni di euro a un dirigente della società pubblica brasiliana Petrobras, in cambio di contratti di fornitura di tubi per un valore di 1,4 miliardi di euro. Le difese, con gli avvocati Marco Calleri, Francesco Mucciarelli e Andrea Rossetti,  avevano subito eccepito  la questione della giurisdizione italiana per fatti commessi presumibilmente tutti all’estero, oltre che sottolineato l’assenza di prove a sostegno delle accuse. Sorprendentemente, però, si sono dovuti attendere tutti questi anni per arrivare a una conclusione scontata.

 

Si tratta dell’ennesimo insuccesso ottenuto dal pool affari internazionali-reati economici transnazionali, fortemente voluto da Greco e affidato a De Pasquale, con l’obiettivo di dare la caccia a tangenti all’estero e trasformare l’ufficio milanese in una sorta di “superprocura anti-corruzione” su scala mondiale. I risultati sono stati a dir poco disastrosi. Il processo sulla presunta corruzione più grande della storia (quella da oltre un miliardo di dollari compiuta da Eni e Shell in Nigeria) si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”. Stesso destino per il processo sulle tangenti Eni-Saipem in Algeria. Non solo: per la vicenda Eni-Nigeria, De Pasquale si ritrova ora indagato, insieme al suo collega Sergio Spadaro, per rifiuto d’atti d’ufficio, con l’accusa di aver nascosto prove utili alla difesa degli imputati.

 

Tutto ciò è avvenuto nonostante nel pool affari esteri siano state concentrate le maggiori risorse della procura, come denunciato dal procuratore aggiunto Riccardo Targetti, che ha retto la procura per alcuni mesi prima della nomina di Marcello Viola a successore di Greco: “Le assegnazioni e le definizioni sono state incomparabilmente inferiori agli altri gruppi di lavoro”. Insomma, piano piano stanno venendo al pettine – sotto forma di flop giudiziari – tutti i nodi della gestione Greco.

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