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I re mida della gogna

I giornali e Tiziano Renzi: ovvero l’arte di infilare il letame nel ventilatore

Ermes Antonucci

La pubblicazione di un documento penalmente irrilevante, feticcio della gogna mediatica, dice molto dello stato in cui versa la giustizia

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Non c’è bisogno di evocare cavilli giuridici per comprendere come di fronte alla vicenda della diffusione della lettera scritta a Matteo Renzi da suo padre si sia di fronte a una porcata a tutto tondo: giudiziaria, mediatica e deontologica. Partiamo dal fronte giudiziario. La lettera è stata depositata dalla procura di Firenze (la stessa che ha avviato l’indagine contro Matteo Renzi e la Fondazione Open per presunto finanziamento illecito) nel procedimento contro Tiziano e la moglie Laura Bovoli, imputati per la bancarotta di tre cooperative.

    
Il testo sarebbe stato estrapolato da un computer di Tiziano Renzi sequestrato dalla Guardia di Finanza nell’ottobre 2019 e risalirebbe al marzo 2017, cioè poche settimane dopo le dimissioni di Matteo Renzi da presidente del Consiglio. Il tribunale con un’ordinanza ha rigettato un’eccezione della difesa di Tiziano Renzi, secondo cui il documento sarebbe stato ottenuto violando le regole sul sequestro della corrispondenza e le guarentigie dei parlamentari, anche se non è ancora chiaro se la missiva sia stata effettivamente inviata o meno da Tiziano a suo figlio (nel primo caso si sarebbe di fronte a una probabile violazione della Costituzione, che all’articolo 68 stabilisce che senza autorizzazione della Camera di appartenenza nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a sequestro di corrispondenza).

  
Non è chiara la rilevanza penale del documento. Nella missiva di sei pagine, infatti, Tiziano Renzi si rivolge al figlio con rammarico e costernazione, in una specie di sfogo, lasciandosi andare a una serie di giudizi privati, personali e del tutto penalmente irrilevanti nei confronti dello stesso figlio, di alcuni componenti del “giglio magico” e persino sulla situazione politica del paese. Solo sette righe sembrano contenere riferimenti ad alcuni affari gestiti da Tiziano Renzi e dunque essere vagamente legati ai fatti oggetto del processo (anche se è lo stesso Renzi senior a concludere queste righe affermando che “la missione è esportare la qualità dei nostri prodotti all’estero”, mica commettere reati). Nonostante la lettera contenga per il 99 per cento informazioni del tutto penalmente irrilevanti (come giudizi non proprio lusinghieri nei confronti di Marco Carrai, Maria Elena Boschi, Alberto Bianchi e Francesco Bonifazi), questa è stata acquisita integralmente tra gli atti del procedimento e non solo nelle parti (cioè le poche righe) che potrebbero avere riferimenti agli altri affari del padre dell’ex premier. Per i difensori di Tiziano Renzi si è di fronte all’“ennesima conferma di un modus operandi degli inquirenti fiorentini che si commenta da solo e che in assenza di violazioni del codice penale si concentra sulle difficoltà di rapporto tra padre e figlio. Questo documento compare improvvisamente oggi a distanza di cinque anni dal momento in cui viene redatto ed è privo di qualsiasi valore penale. Ma viene ugualmente fatto circolare per tentare di alimentare sui media un processo che stenta in tribunale”.

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Ecco, appunto, i media. Si giunge così alla seconda parte dello scempio che si sta consumando attorno alla lettera di Renzi senior. Abituati a mettere alla gogna indagati e imputati, gli organi di informazione ovviamente non ci hanno pensato su due volte prima di diffondere i passaggi penalmente irrilevanti contenuti nel documento scritto da Tiziano Renzi, dando risalto ai giudizi severi espressi da quest’ultimo nei riguardi di alcuni componenti del “giglio magico” e agli sfoghi riguardanti il rapporto con il proprio figlio. Una invasione totale della privacy di un imprenditore settantenne – che ha la sola sfortuna di essere padre di un ex presidente del Consiglio – compiuta da giornali, siti e tv senza neanche un briciolo di pudore, né di autocritica. In uno dei passaggi più drammatici e intimi della lettera, infatti, Tiziano Renzi racconta anche gli effetti devastanti prodotti sulla sua vita dalla gogna mediatico-giudiziaria: “Questa vicenda mi ha tolto la capacità di relazione. Tutti quelli che hanno avuto rapporti con me sono stati attenzionati. Sono come il re Mida della merda, concimo tutti, stanno interrogando tutti”. I media, fregandosene, hanno riportato pure questa frase: d’altronde sono da sempre abituati a gestire le notizie giudiziarie infilando il letame nel ventilatore, cioè ad agire come i re Mida (della merda, parafrasando Renzi senior) delle vicende giudiziarie

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Questa volta lo scempio compiuto dagli organi di informazione appare persino peggiore del solito. Intanto perché non è la prima volta che la gogna si abbatte sulla famiglia Renzi in maniera anomala. Nel luglio 2015 il Fatto quotidiano pubblicò in prima pagina il contenuto di un’intercettazione tra Matteo Renzi, all’epoca premier in carica, e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, risalente ad alcuni mesi prima, in cui Renzi – non ancora asceso a Palazzo Chigi – esprimeva giudizi non lusinghieri sull’allora premier Enrico Letta. Un’intercettazione dal contenuto del tutto penalmente irrilevante ma che finì sui giornali attraverso giri mai chiariti. Nel maggio 2017, sempre sulla prima pagina del Fatto quotidiano, finirono prima i contenuti di un’intercettazione penalmente irrilevante tra Matteo Renzi e il padre Tiziano compiuta nell’ambito dell’inchiesta Consip e poi addirittura un’intercettazione fra Tiziano Renzi e il suo legale, realizzata in violazione totale dei princìpi basilari del diritto di difesa (e dunque dello stato di diritto), ma nonostante questo diffusa dal quotidiano diretto da Marco Travaglio. 

   
Stavolta il massacro mediatico-giudiziario è stato realizzato alla luce del sole. Gran parte dei quotidiani, con il solito metodo furbesco, cioè attraverso il ricorso ad ampi virgolettati, ha riportato in maniera sostanzialmente integrale il contenuto della lettera scritta da Tiziano Renzi (paradossalmente ignorando le poche righe che avrebbero una connessione con i fatti oggetto del processo). Alcuni quotidiani però, come il Corriere della Sera, si sono addirittura spinti a pubblicare sul proprio sito l’atto integrale, scaricabile da chiunque, e questo nonostante il codice di procedura penale (articolo 114) stabilisca che “se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello”. La gogna mediatico-giudiziaria è ormai parte così integrante della vita pubblica di questo paese, che ogni violazione delle norme e delle regole deontologiche avviene senza che nessuno batta ciglio (a proposito, qualcuno ha notizie dell’Ordine dei giornalisti?). 

  
Da qualsiasi prospettiva la si guardi, la vicenda della lettera scritta a Renzi da suo padre risulta emblematica dello stato di inciviltà giuridica e morale raggiunto dal sistema giudiziario e mediatico in Italia. 
 

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