L'incontro di gennaio a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen (LaPresse) 

strettoia europea

Le alleanze strane dell'Italia sugli aiuti di stato

David Carretta

In vista del dibattito al Consiglio europeo sulla risposta all’Inflation reduction act di Biden, Meloni si trova costretta ad appoggiare i paesi liberisti del nord. Un'alleanza di necessità, che però la lascia all'angolo sulla richiesta di un vero fondo di debito comune

Bruxelles. Un documento di sei pagine, inviato dall’Italia alle altri capitali in vista del dibattito al Consiglio europeo sulla risposta all’Inflation reduction act dell’Amministrazione Biden, fa apparire il governo di Giorgia Meloni come un alleato dei paesi liberisti del nord, contrari agli aiuti di stato e difensori del mercato unico. Allentare le regole sugli aiuti di stato “non è la risposta”, si legge nell’introduzione: il pericolo è di “mettere a repentaglio l’unità dell’Europa”. In realtà, l’Italia non è diventata i Paesi Bassi. Il governo Meloni chiede anche un nuovo fondo di debito comune dell’Ue che altri governi non sono pronti a concedere. L’alleanza con gli odiati olandesi è di necessità, nel momento in cui Germania e Francia vogliono lanciarsi nella corsa dei sussidi e degli sconti fiscali.

    
La risposta dell’Ue all’Inflation reduction act (Ira), il piano dell’Amministrazione Biden da 380 miliardi per la transizione climatica ed energetica, sarà il tema più scottante del Consiglio europeo della prossima settimana. Germania e Francia hanno spinto la Commissione a imboccare la strada degli aiuti di stato per evitare che le imprese europee trasferiscano produzione e investimenti negli Stati Uniti per beneficiare dei sussidi e dei crediti d’imposta dell’Ira. Una delle innovazioni proposte da Ursula von der Leyen è di permettere ai governi di offrire alle imprese una quantità analoga di aiuti. Ma la stessa vicepresidente della Commissione responsabile della Concorrenza, Margrethe Vestager, ha spiegato che è un’operazione che comporta “rischi significativi per l’integrità del mercato unico, la nostra coesione e per questo la nostra unità”. I paesi dell’Ue senza capacità fiscale – perché troppo piccoli o troppo indebitati – non hanno le stesse possibilità finanziarie di Germania e Francia che, per la crisi energetica provocata dalla guerra della Russia, hanno notificato quasi l’80 per cento di tutti gli aiuti di stato autorizzati dalla Commissione. I piccoli del nord si sono coalizzati con i piccoli dell’est: Repubblica ceca, Ungheria, Lettonia e Slovacchia ieri hanno aderito a un “non paper” di Danimarca, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia e Svezia, in cui si chiede “grande cautela” sugli aiuti di stato perché non si può fare “in una notte”.

  
Il documento presentato dall’Italia sugli aiuti di stato ricalca le parole di Vestager e i contenuti del “non paper” dei paesi dell’est e del nord sui rischi per il mercato unico: il pericolo di lanciarsi in una corsa fatta di sussidi e sconti fiscali è di “mettere a repentaglio l’unità dell’Europa”. Va bene facilitare le procedure per la loro adozione, ma non deve diventare “un ‘free pass’ per tutti”. La motivazione di fondo, tuttavia, è diversa: allentare massicciamente le regole sugli aiuti di stato “darebbe un vantaggio competitivo a stati membri con spazio fiscale maggiore o che hanno più opportunità di emettere debito in termini vantaggiosi”. Per l’Italia “questo innescherebbe una corsa ai sussidi all’interno dell’Ue e porterebbe a una frammentazione del mercato unico”. Sugli aiuti di stato “due paesi, Francia e Germania, contro tutti gli altri”, spiega al Foglio un diplomatico di un piccolo paese. La soluzione che l’Italia propone per uscire dall’impasse è creare un “Fondo per la sovranità europea” finanziato con debito comune. Il documento spiega che il nuovo  fondo dovrebbe “trarre ispirazione dai meccanismi che abbiamo sperimentato con successo durante la pandemia”: il Recovery fund e Sure. “Siamo coscienti della riluttanza di alcuni partner verso strumenti che coinvolgano un certo grado di finanziamento comune. Ma l’alternativa è decisamente peggiore, dati i limiti, le contraddizioni e i pericoli di una strategia basta sulla concessione di aiuti di stato su base puramente nazionale”. 

 
Il problema per Meloni è che anche sul “Fondo per la sovranità europea” gli schieramenti sono “un paio di paesi contro tutti gli altri”, spiega il diplomatico. Questa volta è l’Italia, insieme alla Francia, ad avere tutti contro. Nella sua comunicazione, la Commissione è rimasta molto ambigua sui contorni del Fondo per la sovranità europea. Von der Leyen ha escluso ulteriore debito comune, anche se il commissario Paolo Gentiloni è riuscito a infilare nella comunicazione presentata mercoledì l’impegno a “esplorare modi per realizzare un finanziamento comune maggiore a livello dell’Ue”. Una proposta formale della Commissione sul “Fondo per la sovranità europea” non dovrebbe arrivare prima di giugno. Prima von der Leyen vuole sentire cosa diranno i capi di stato e di governo al Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio e in quello di marzo. Se nascerà, il Fondo avrà poche risorse e pochi obiettivi con tempi di approvazione molto lunghi.