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Da TikTok agli Istituti Confucio, i rischi dell’ambiguità con la Cina secondo l'America

Giulia Pompili

La piattaforma è “il fentanyl digitale” di Pechino, le istituzioni per la diffusione della lingua e della cultura sono "lavaggio del cervello". Il commissario del Congresso per la libertà religiosa, Nury Turkel, ci spiega quali sono le criticità di un rapporto troppo dialogante

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“L’Italia sta diventando un paese dell’Asia centrale”, dice al Foglio Nury Turkel, commissario americano per la libertà religiosa. Il riferimento è agli accordi che fecero Russia e Cina, a metà degli anni Novanta, per costituire la Shanghai Cooperation Organisation e imporre la loro sicurezza nella regione. “Una cessione della sovranità”, dice Turkel. In Italia la questione delle stazioni di polizia cinesi virtuali sul nostro territorio, però, è stata affrontata dal ministero dell’Interno.


Il Viminale ha disposto indagini, non ha escluso provvedimenti, insomma: in fondo c’è stata una presa di coscienza. Ma siamo ancora molto indietro, spiega il commissario: “Ci sono due mali da estirpare: gli istituti Confucio, e i prodotti importati frutto del lavoro forzato. L’Italia, dice Turkel, è il maggiore importatore in Europa dei pomodori provenienti dallo Xinjiang, e finché esiste questo canale di credito che si offre alla repressione cinese e al lavoro forzato, nulla cambierà.

 
Nury Turkel è un avvocato dei diritti umani. E’ originario di Kashgar, una delle città della regione autonoma dello Xinjiang dove la repressione del Partito comunista cinese si è più accanita negli ultimi anni. Lui è nato in uno dei campi di detenzione già attivi nel 1970. “Tutto ciò che viene fatto a livello di politica riguarda il futuro. I danni causati dalla Cina, il tempo che mi è stato tolto, e che sono stato costretto a vivere lontano dalla mia famiglia è un danno inestimabile, come quello di tutte le persone che oggi sono arrestate e detenute nei campi”, ha detto ieri  Turkel alla commissione Esteri della Camera, dove è stato ascoltato in audizione. Per questo si occupa di libertà e diritti umani, dice: per assicurarsi che i suoi figli non debbano essere perseguitati per quello che sono. Al Congresso americano ci sono nove commissari che vengono nominati per raccomandare politiche sulla libertà religiosa e i diritti umani, Turkel è stato nominato per la prima volta dall’ex speaker Nancy Pelosi nel 2020 e riconfermato l’anno scorso. “Si parla spesso di engagement”, dice al Foglio, “ma questo dialogo bisognerebbe usarlo per mettere in sicurezza le persone, liberarle”, ci dice quando menzioniamo la storia della famiglia uigura di Mihriban Kader, in provincia di Latina, che si è rifugiata in Italia sei anni fa, ma il governo italiano non è riuscito a ricongiungerla con i suoi figli, ancora rinchiusi nei campi “di rieducazione” nello Xinjiang. 

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“Si dice che la Russia sia la tempesta, la Cina il cambiamento climatico. E’ necessario e urgente definire una strategia per affrontarla. Ma prima di tutto bisogna riconoscere che c’è un problema, e identificarlo”, dice Turkel. “Sul lungo periodo, l’Italia deve essere resiliente, altrimenti finirà per essere complice. Riconoscere il problema non è una questione geopolitica, ma ha a che fare con realtà concrete”. Per esempio? “Il settore tecnologico è molto importante. La tecnologia cinese si è infiltrata per identificare le vulnerabilità degli altri. E l’Italia dovrebbe iniziare a considerare parte di questa strategia anche TikTok”, il popolarissimo social network di proprietà del colosso cinese ByteDance, “una app che serve esplicitamente per il monitoraggio e la raccolta dei dati globali”. Non è un caso se, spiega il commissario, quando è stata lanciata sul mercato occidentale è stato investito moltissimo denaro per la sua promozione e oggi comincia a essere definita – soprattutto dai repubblicani americani che spingono per un suo ban totale in America – “digital fentanyl”, una droga che crea dipendenza e che il governo cinese sta fornendo di proposito agli americani. 

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E poi ci sono gli istituti Confucio nelle università e nelle scuole italiane: “Quello non è educare, è lavaggio del cervello”, dice Turkel. In America e in Europa diverse università, negli ultimi anni, hanno chiuso gli istituti Confucio, in Italia non è successo: “Il problema è che solo in apparenza sono innocui. E’ propaganda. E la verità è che non devi per forza studiare cinese negli istituti Confucio”. Il dialogo con Pechino funziona fino a che non si riconosce che “un sistema autoritario è un regime che abusa di te. E’ necessario porre dei confini al livello di tolleranza”. Prima o poi anche per l’Italia, dice il commissario, “sarà impossibile fare business in Cina. Pechino apre alle aziende straniere soltanto fino a che sono utili. Quando vai a promuovere altro, sei costretto a fare delle joint venture, che vuol dire arrendersi”. 

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