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le proteste

In Cina i giovani non sono più sdraiati, ma in piedi con un foglio bianco

Priscilla Ruggiero

Nonostante il dissenso per la politica Zero Covid sia ormai trasversale nel paese, ciò che davvero accomuna queste proteste all'èra di piazza Tianamen è che sono soprattutto a livello universitario. Dai raduni alla Tsinghua ai graffiti alla Beida

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Lo striscione contro “il dittatore e traditore nazionale Xi Jinping” apparso il mese scorso sul ponte Sitong di Pechino sembrava la voce di un uomo solo, una protesta localizzata e taciuta con estrema facilità dal Partito comunista cinese alla vigilia del Ventesimo Congresso. Ma durante le manifestazioni molto più estese degli ultimi giorni è tornato quello stesso slogan:  nella strada di Shanghai  intitolata a Urumqi,   domenica alcuni manifestanti chiedevano al Segretario generale del Pcc di dimettersi.

 

Ciò che davvero accomuna  queste proteste all’èra di piazza Tiananmen è che nonostante il dissenso per la politica Zero Covid sia ormai trasversale nel paese, passi dagli uiguri dello Xinjiang alla classe operaia cinese (come i lavoratori della fabbrica di Zhengzhou Foxconn) alla classe medio-borghese delle grandi città come Pechino, Shanghai e Chongqing, il grande fermento degli ultimi giorni è soprattutto a livello universitario, studentesco. Dopo anni di tangping – la protesta della generazione più giovane che insoddisfatta dalla società cinese rispondeva con lo “stare sdraiati”, senza consumare né lavorare né comunicare –  lo scorso fine settimana gli studenti cinesi hanno protestato in  almeno 79 campus universitari in tutta la Cina, dai raduni alla Tsinghua, l’Alma mater di Xi Jinping, ai graffiti alla Beida di Pechino.  Le stesse università protagoniste delle storiche proteste di piazza Tiananmen del 1989. I giovani di Shanghai hanno raccontato che dopo aver sperimentato il “pugno di ferro” nel durissimo lockdown dello scorso aprile, sabato e domenica  hanno sentito che potevano finalmente fare qualcosa: “Non riuscivo a stare fermo, dovevo andare”, ha detto alla Cnn un ventenne  durante la protesta di Shanghai.

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Queste manifestazioni silenziose e pacifiche fatte di fogli bianchi (un modo per cercare di evitare la censura o l’arresto) e di richieste disperate di ziyou, libertà, sono un atto di audacia dei  giovani cinesi che,  incoraggiandosi a vicenda,  si sono resi conto di non essere soli. “Ho visto un barlume di luce”, ha detto un manifestante ai giornalisti ieri, “ho scoperto che ci sono tante altre persone sveglie come me”.  Nei video che circolano da giorni sui social si vedono ragazzi in lacrime   e in silenzio tra la folla che sventolano tra le mani fogli A4, “che rappresentano tutto ciò che vogliamo ma non possiamo dire”, e si dicono: “Alzatevi, gente che non vuole essere schiava”. Molti dei video non sono visibili sui principali social cinesi, Weibo e WeChat, a causa del lavoro dei censori che in tempo reale stanno cancellando video e foto delle proteste. Ma la generazione dei manifestanti è anche la stessa che più possiede le Vpn e quindi in grado di eludere il Great firewall, la censura del Partito. E’ anche per questo motivo che riusciamo a vedere  moltissimi video  su Twitter, e che le immagini delle proteste sono riuscite ad arrivare in ogni città, permettendo ai cinesi di capire cosa stesse accadendo all’interno del paese. In molti hanno cercato di aggirare la censura esprimendo solidarietà virtuale alle proteste pubblicando nei propri status semplici parole come dui, giusto, e zhichi, supporto.  

 

Con queste proteste, i giovani cinesi hanno dimostrato di non essere più sdraiati. Chiedono dignità, una vita normale, sperano in un futuro in cui non avranno più solo un pezzo di carta bianco per esprimersi. Intanto, nelle università continuano a “parlare” con il Partito: “Non siamo forze straniere, siamo giovani cinesi”.   

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