Foto di Susan Walsh, via LaPresse 

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Che cosa ha aiutato i dem nelle elezioni di midterm negli Stati Uniti

Giulio Silvano

Gli elettori indipendenti hanno fatto la differenza e prodotto un voto in controtendenza. Ma oltre a loro, la campagna impostata sulla difesa sulla democrazia e il referendum sull’aborto ha convinto gli indecisi che temevano l'estremismo trumpiano

Washington. “È stata una bella giornata per l’America e per la democrazia”, ha detto il presidente Joe Biden il giorno dopo una notte elettorale piena di sorprese. Sorprese positive, per lui, che mercoledì l’hanno portato a mostrarsi con un pizzico d’esuberanza davanti ai giornalisti. Queste elezioni di metà mandato, che rinnovano in parte il Senato e tutta la Camera, vanno in controtendenza rispetto ai trend del passato in cui il partito in carica difficilmente manteneva il controllo del Congresso, soprattutto negli otto anni di Barack Obama. Per la gara senatoriale in Georgia probabilmente bisognerà aspettare un mese per un secondo turno visto che una legge locale assicura la vittoria solo se si supera il 50 per cento. Il motivo è l’indipendente millennial Chase Oliver, omosessuale libertario, che con fondi risicati, è riuscito a ottenere il 2 per cento, meno di centomila voti, ma sufficienti per non assicurare agli altri due partiti la vittoria. 

 

L’anno scorso, sempre in Georgia, era stato necessario tornare al secondo turno per l’altro seggio senatoriale che vedeva il repubblicano David Perdue scontrarsi con il dem, ex giornalista investigativo trentacinquenne, Jon Ossoff. Anche lì, un indipendente, Shane Hazel, costrinse i due a una seconda sfida, dove vinse poi Ossoff con 50 mila voti di differenza. La speranza di Biden è che i voti di Oliver, se devono andare a qualcuno, andranno ai democratici. 
Ma anche se bisogna aspettare il peach state, i dem sono comunque tranquilli, più da un punto di vista psicologico che istituzionale – potrebbero ancora perdere la maggioranza – perché hanno capito che è possibile battere i trumpiani se si punta su dei candidati percepiti come autentici e vicini alle comunità. Si sono resi conto che se si investe sul local non è così importante il tasso di approvazione del presidente.

 

La prospettiva di una red wave partiva da qui: se Biden va male nei sondaggi, tutti i dem andranno male. Questa visione monolitica, che forse funziona in un nuovo Gop a guida demagogica, leader uguale partito, ha dato false speranze ai repubblicani. Va aggiunto che già nel 2020 Biden era riuscito a spostare in parte il voto dei bianchi dei sobborghi – né urbani né rurali, spesso indecisi – che invece Hillary Clinton nel 2016 non era riuscita a convincere.
Oltre a questo, hanno giocato a favore dei dem due battaglie su cui i big si sono spesi molto: in primis quella contro il ribaltamento della Roe vs Wade e quindi per la libertà di aborto; e poi quella in difesa della democrazia, minacciata dai trumpiani che il 6 gennaio hanno attaccato Capitol Hill e da chi non crede nella legittimità di Biden.

 

L’estremismo, rumoroso e cospirazionista, ha spaventato gli elettori indipendenti che, a questo giro, hanno fatto la vera differenza, visto che molte gare hanno differenze risicatissime. Le vittorie dem, anche governatoriali, in stati in bilico come Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e New Hampshire, mostrano che il partito democratico è percepito come quello della ragione e del buon funzionamento della Costituzione dagli elettori indecisi. Non è vero dappertutto, però: nello stato di New York, temi cruciali come crimine e inflazione, potrebbero far perdere ai dem distretti della Camera considerati sicuri. In generale, però, i dem possono tranquillizzarsi. Va aggiunto che i repubblicani, con eccessiva arroganza, hanno selezionato candidati spesso senza un programma elettorale, se non le solite urlate politiche MAGA, che erano già state bocciate dalle elezioni del 2020. 

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