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l'elogio di un repubblicano

Umiltà e leadership, la grandezza della regina Elisabetta

Alastair Campbell

In tempi difficili, ha assicurato la sopravvivenza della monarchia per almeno un’altra generazione. Quando la gente ha cominciato a chiedersi a cosa servissero i reali, lei ha dimostrato di saper stare alla guida di un regno

Questo testo è un adattamento di un capitolo del libro “Winners, and How They Succeed”, pubblicato nel 2016.

 

Una parte consistente di me crede che la famiglia reale sia l’apice di un sistema fondato sulle classi sociali che frena la Gran Bretagna impedendole di diventare una vera meritocrazia. Ma una parte più grande di me ha sviluppato una grande ammirazione per la regina Elisabetta, non da ultimo per le sue capacità di leadership. In tempi difficili, ha assicurato la sopravvivenza della monarchia per almeno un’altra generazione e, visto il modo in cui il principe Carlo e i principi più giovani si sono adattati alla strategia di “The Firm”, probabilmente molto più a lungo. 

 

La regina è stata una delle persone più rispettate e popolari del pianeta, la più antica icona della moda, la donna più riconosciuta del globo – il suo volto è l’immagine più riprodotta della nostra epoca, non da ultimo su oltre 300 miliardi di francobolli e centinaia di milioni di monete e banconote in tutto il Commonwealth. Nel corso del suo lungo regno ci sono stati migliaia di titoli negativi sui giornali, molte battute d’arresto e alcuni punti di debolezza, ma la monarchia si trova nella posizione più solida che si possa immaginare per un’istituzione in questa nostra cultura moderna della negatività.

 

La stima per il Parlamento è diminuita e con essa l’autorevolezza del governo; la reputazione delle imprese è stata danneggiata dal comportamento delle banche e dalla mancanza di obiettivi sociali; la Chiesa non occupa più un posto così centrale nelle nostre vite; i media non godono di fiducia, né i servizi pubblici ricevono il rispetto o il beneficio del dubbio di un tempo; le Forze armate continuano a essere apprezzate, ma i tagli e le controversie hanno ridotto il loro status. Unica tra le principali istituzioni, la monarchia ha invertito la tendenza, e gran parte del merito è della regina. Uno dei suoi più stretti consiglieri ha detto, con modestia: “Siamo entrati in crisi presto, prima che Internet cambiasse davvero i termini di ogni cosa”. Credo che ci sia molto di più.

 

Sono da sempre un repubblicano, e quindi sorprende prima di tutto me stesso ciò che sto per dire, ma lei e l’istituzione che rappresenta incarnano molti dei tratti di leadership che ho studiato in altri contesti: audacia, innovazione, adattabilità, resilienza, lungimiranza, gestione delle crisi, trasformazione dei contrattempi in opportunità.  
Per la regina, il nadir personale è stato il 1992, il suo “annus horribilis”, il punto più basso per la regina, e il punto più alto per il repubblicanesimo moderno. Lei e la famiglia erano  provati da una serie di disastri personali che avevano fatto crollare prestigio e popolarità. La gente cominciò a chiedersi cosa fosse questa istituzione, e a cosa servisse. La regina ha mostrato di avere tutte le carte in regola per essere un leader.

 

"È stata brava nella strategia, in modo del tutto istintivo. Ne ha sicuramente una ed è brava a metterla in pratica”, ha detto un suo consigliere. Ma allora a ogni crisi ne seguiva un’altra. Il libro di Andrew Morton, “Diana, la sua vera storia”, che è stato scritto in collaborazione con la principessa del Galles, ha mantenuto l’attenzione globale sulla vita privata del principe Carlo, nello stesso anno in cui la principessa Anna divorziava dal marito e il principe Andrea si separava dalla moglie. Non aiutò il fatto che pochi giorni prima del suo discorso “annus horribilis”, la Regina si fosse presa un terribile raffreddore che l’aveva fatta sembrare, oltre che rauca, debole.

 

E fu l’anno in cui il castello di Windsor prese fuoco. L’incendio mi è stato descritto da un consigliere che era con lei in quel momento come “senza dubbio il punto più basso di tutti. Era la sua casa, e ricordo che mi trovavo all’ingresso e questa donna, che non si lascia mai turbare da nulla, che non mette mai in mostra le sue emozioni, aveva lo sguardo di una persona che sentiva che tutto stava andando male. Sembrava distrutta”. Ha detto che l’unica volta che l’ha vista fare un discorso con le lacrime agli occhi è stato quando il castello è stato restaurato e lei ha ospitato un ricevimento per circa mille persone che avevano contribuito al restauro e ha consegnato loro delle medaglie.

 

Quanto la monarchia fosse caduta in basso nella stima pubblica fu sottolineato dalla reazione all’annuncio dell’allora premier John Major che il governo, anziché i reali, avrebbe pagato per riparare i danni. Le proteste furono immediate e le autorità dovettero fare marcia indietro, promettendo che una parte dei fondi sarebbe stata ricavata da risparmi nell’ambito delle sovvenzioni esistenti, mentre altri fondi sarebbero stati generati facendo pagare l’ingresso al Castello di Windsor e aprendo e facendo pagare anche l’ingresso a Buckingham palace. Si trattava di passi enormi per i reali, anche perché non c’era accordo dentro la famiglia – la regina Madre si opponeva in modo deciso.

 

Come ha fatto, dunque, la famiglia reale a passare da un punto così basso a uno in cui, appena quindici anni dopo, in un periodo di austerità, un pubblico di miliardi di persone ha assistito con entusiasmo al grande matrimonio tra il principe William e Kate Middleton?
In un certo senso, la capacità della monarchia di concentrarsi sul lungo termine – cosa che è negata ai politici, alle imprese e ai dirigenti sportivi che devono preoccuparsi delle prossime elezioni, dei prossimi risultati trimestrali, della prossima partita – ha aiutato questo movimento riformatore. “La regina si rifiuta di accettare la necessità di una strategia, ma ha una visione”, mi dice uno dei suoi collaboratori.

 

“Si tratta di valori, familiarità, certezza, continuità e leadership, forze molto più forti del pensiero o della strategia”. Cita le parole del saggista americano Ralph Waldo Emerson, secondo cui la “terra dura e le stelle rimangono”. “La Terra e le stelle non hanno una strategia. Sono e basta. La regina è e basta. È così che vede se stessa. Il suo anno è una stagione. Il suo giorno è una ministagione. Si muove allo stesso ritmo, fa le stesse cose”. Vista da una certa prospettiva, questa sembra una giustificazione dello status quo. Ma la regina, guardando al suo Giubileo del 2002 e consapevole che il sostegno del pubblico, così essenziale per la sua sopravvivenza, aveva vacillato, sapeva che se voleva garantire il futuro a lungo termine dell’istituzione doveva fare dei cambiamenti per riconquistare l’affetto che la famiglia reale aveva chiaramente perso.

 

Si tratta davvero di affetto? chiedo a un collaboratore dei reali. “Sì, perché il suo contrario è  il disamore, la disaffezione. Se hai un pubblico disamorato, non hai una monarchia. Questo lo sapevamo da sempre, e l’opinione pubblica si stava disaffezionando, alcuni media l’alimentavano a più non posso”.
In altre parole, avendo imparato i vantaggi di essere più proattivi e strategici, la fase successiva per la famiglia reale era già in via di pianificazione. “Certo che lo fanno”, mi ha detto uno dei consiglieri della regina, quando gli ho chiesto se madre e figlio parlano della “vita oltre la regina”. Il fatto che l’istituzione monarchica si trovi in uno stato di salute così buono è dovuto in gran parte alla regina stessa. Di lei si dice che, pur possedendo una forte personalità, irradia un senso di calma e non si lascia sopraffare dalle cose. Legge o almeno guarda tutti i quotidiani e quando viaggia fa lo stesso con i media nazionali ovunque si trovi, ma anche quando la copertura è stata ostile non si è mai lamentata.

 

“Ne ha viste davvero di tutti i colori”, mi ha detto uno che ha fatto parte del suo team di giornalisti, “e credo che il fatto di averne passate così tante le dia questo senso di calma quando le cose non vanno molto bene”. Naturalmente la calma in una crisi è il segno di un buon leader. Non è nemmeno una che vuole trovare per forza qualcuno cui dare la colpa. “Ti rimprovera, e lo senti da un solo sguardo”, dice un collaboratore, “ma solo quando te lo meriti perché non hai prestato attenzione ai dettagli”. Ha anche un forte senso del dovere. “Quando il re Juan Carlos di Spagna ha abdicato nel 2014, è stato chiarito che lei non avrebbe mai pensato di fare altrettanto. Era contraria a una cosa del genere. Non è un lavoro. È una vocazione. Ha fatto voto di servizio”, dice uno dei suoi cortigiani, che aggiunge: “So che molti sono contrari al principio dell’ereditarietà, ma lasciate che vi dica perché funziona con la monarchia. Si tratta di umiltà. Tu e io, o chiunque altro arrivi da qualche parte nella vita, ci arriviamo per qualche merito. Possiamo essere intelligenti, lavorare sodo, arrivare al top, e poi prendere le nostre decisioni su cosa fare e quando fermarci o quando cambiare quello che facciamo. La regina e il principe di Galles non dubitano nemmeno per un istante di non aver fatto nulla, proprio nulla, per meritare di essere dove sono. Sono stati semplicemente messi lì. Non c’è stato nessun colloquio, nessuna commissione di selezione. E questo li ha resi molto umili nei confronti di queste posizioni, molto concentrati nel fare la cosa giusta e disciplinati”.

 

"Per me, questo è uno dei segreti del suo successo. Non credo che la gente voglia un comunismo di ricchezza o di stile di vita. A loro piace che la regina vada all’apertura del Parlamento in una carrozza d’oro o che vada in ospedale in Rolls-Royce. Ma la gente vuole un comunismo di umanità. Lei lo ha sempre capito in modo istintivo. Sanno che è diversa, ma sanno anche che è la stessa, che mangia le stesse cose, che respira la stessa aria, li capisce e vuole che loro la capiscano. Questo è il comunismo dell’umanità, e la regina l’ha compreso. Questo spiega perché, anche chi ha opinioni diverse sulla monarchia la vede come un successo e un grande leader".

 

Posso dire onestamente di non aver mai pensato al comunismo e alla regina nello stesso ragionamento, ma forse questo collaboratore non ha tutti i torti. Comunque la si guardi, la regina ha superato il comunismo e ha superato anche il repubblicanesimo. È una vincitrice molto speciale, e molto britannica.

 

Alastair Campbell
ex spin doctor di Tony Blair, autore del podcast “The Rest is Politics” con il conservatore Rory Stewart ed editor at large del settimanale The New European

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