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oltre la guerra sul campo

Dove scricchiolano le sanzioni alla Russia su petrolio e gas

Giorgio Arfaras

Mosca fa leva sulla diversità di posizionamento dei paesi europei rispetto all'embargo. Ma una cooperazione effettiva va cercata come contro strategia rispetto a quella del Cremlino

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L’esportazione di petrolio e gas è la fonte maggiore dei ricavi in valuta della Russia, mentre le imposte sulle materie prime non rinnovabili sono la fonte maggiore delle entrate fiscali. Il mercato di gran lunga maggiore per le esportazioni russe di gas è l’Europa, con una quota pari all’ottanta per cento del totale del gas venduto all’estero. Il petrolio russo esportato verso l’Europa è pari al cinquanta per cento del totale del petrolio venduto all’estero. 

Non potendo la Russia esportare il gas venduto agli europei in Asia in un ammontare accettabile per la mancanza di infrastrutture di trasporto, e non potendo nemmeno esportare il petrolio venduto agli europei in un ammontare significativo e con prezzi accettabili in altre parti del mondo, si giunge alla conclusione che l’interruzione anche parziale degli acquisti europei di materie prime non rinnovabili russe avrebbe degli effetti devastanti sul Cremlino, e sul suo desiderio di ampliare il proprio spazio imperiale. Il Cremlino non potrebbe più finanziare la guerra senza toccare il tenore di vita della popolazione. Da quando l’Ucraina è stata aggredita sono state messe in pratica sia le sanzioni finanziarie, come il congelamento delle riserve dalla Banca centrale detenute all’estero, sia il blocco delle esportazioni dei beni tecnologici. Da allora le sanzione sul gas e sul petrolio sono state dibattute e minacciate, ma mai messe in pratica se non in misura minima

Nel caso del petrolio, la sanzione immediata intorno a cui si lavorava era la forte riduzione, degli acquisti con destinazione europea, con l’ulteriore raffinata sanzione che il petrolio “liberato” dall’Europa non sarebbe stato comunque facilmente esportabile, perché la gran parte delle petroliere sono greche e la gran parte delle assicurazioni per il trasporto sono britanniche. Oleg Ustenko, un consigliere economico di Volodymyr Zelensky, denuncia sul Financial Times la mancata messa in pratica delle sanzioni per bloccare l’esportazione di petrolio russo. E denuncia dei comportamenti concreti. Sono gli acquisti di petrolio grezzo russo a essere proibiti. Se però il petrolio grezzo russo arriva nelle raffinerie, diventando così una componente del prodotto finale, che, come carburante, non è proibito, ecco che il petrolio russo è come se non fosse proibito, e può essere venduto. Insomma, il petrolio russo arriva nei paesi che vogliono sanzionare la Russia sotto mentite spoglie. Non solo, ma arriva in gran quantità e quindi finanzia il Cremlino. Nemmeno la proibizione delle assicurazioni per il trasporto marittimo del petrolio russo è diventata operativa. Lo saranno per la fine dell’anno.

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Il gas è tuttora usato da parte russa come minaccia. Minaccia che è stata anche messa in pratica, tagliando, anche dietro il paravento della manutenzione necessaria, le forniture. Il gas tocca direttamente il tenore di vita della popolazione europea, sia per il riscaldamento sia per l’energia elettrica, ed è una componente significativa del costo di produzione dei settori energivori. Anche qui, come nel caso del petrolio, un taglio o una forte riduzione delle esportazioni russe di gas, metterebbero in seria difficoltà il Cremlino. L’Europa ha agito cercando fonti alternative e accumulando riserve per l’inverno. Si ha così una riduzione della dipendenza dalla Russia, ma si rimane vulnerabili nel caso di un taglio netto della sua offerta di gas.

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L’uso del gas come arma negoziale da parte russa è assai probabile che continui. Su questo Ben Williams, Simone Tagliapietra, e Georg Zachmann, tre analisti europei, hanno pubblicato una ricerca su Foreign Affairs. Il punto del loro lavoro è mostrare come la strategia del Cremlino punti a impedire che i paesi europei seguano dei comportamenti in solido. In questo caso, il loro potere negoziale sarebbe notevole. E’ però possibile, questo è il calcolo russo, spingerli a seguire dei comportamenti indipendenti, perché ciascuno di loro ha dei problemi diversi con l’uso del gas. Un paese che dipende dal gas russo e che ha un gran settore industriale energivoro è in una situazione ben diversa da quella di chi dipende poco dal gas russo e ha un gran settore dei servizi. Un comportamento solidale tra questi due paesi non è facile da perseguire. Una cooperazione effettiva fra i paesi europei per quanto difficile va cercata come contro strategia rispetto a quella del Cremlino. Tanto più quando le difficoltà obiettive per risolvere la vicenda del gas possono essere sfruttate da chi, europeo, vuole chiudere il contenzioso con la Russia, perché crede che all’Europa il conflitto con l’Ucraina costi più che alla Russia. Che possa costare di più nell’immediato è possibile, ma che alla Russia costi, al contrario dell’Europa, molto di più un domani è molto probabile.

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