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La rinuncia di Tunisi 

Saied si prepara a sfasciare la primavera tunisina. Pesa sul voto il ricatto del grano

Arianna Poletti

In Tunisia il referendum per cambiare la Costituzione non avrà bisogno di quorum. Il testo scritto direttamente dal presidente cancella la repubblica parlamentare e istituisce un regime presidenziale. La stagione della rivoluzione del 2011 può essere archiviata in poche ore

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Sono le otto del mattino e in una Tunisi ancora semi vuota, dove qualche taxi circola malgrado la giornata di ferie in occasione della festa della Repubblica, i primi elettori escono dai seggi con l’inchiostro sull’indice. “Ho votato sì”, dice Essia, mostrandolo. “Qualcosa in questo paese dovrà pur cambiare, e sono pronta a sostenere qualsiasi misura necessaria pur di evitare che la nostra qualità della vita peggiori ulteriormente”. Infermiera in una clinica di un quartiere residenziale della capitale, Essia guadagna circa 900 dinari al mese, poco più di trecento euro. “Vivo ancora con i miei genitori, non posso permettermi un affitto, un mezzo di trasporto privato, un’uscita la sera”. Sul contenuto della costituzione che ha appena approvato, preferisce non esprimersi. Che da domani il paese si risvegli in una repubblica iper-presidenziale, è un rischio che è disposta a correre. “La democrazia devi potertela permettere. La riconquisteremo in futuro, prima dobbiamo mangiare. E poi, chi dice che la Tunisia di domani non sarà più democratica e giusta di quella di ieri?”, conclude, prendendosela con i partiti che da anni “hanno preso in ostaggio il paese”. Sopra di lei, un cartellone rosso simile a quelli che da settimane hanno sostituito i pannelli pubblicitari lungo le strade, recita: “il popolo sceglie”. 


E’ in un clima di passività generale, però, che lunedì la Tunisia si è recata a votare pro o contro il nuovo testo costituzionale pubblicato in gazzetta ufficiale il 20 giugno, soltanto un mese fa. A scriverlo, non un’assemblea costituente eletta dai cittadini come nel 2014, ma un comitato ristretto di esperti nominati dal presidente. Comitato che, il giorno in cui il testo è stato reso pubblico integralmente, non l’ha riconosciuto. Sadok Belaïd, accademico e presidente dell’Istanza per la riscrittura della costituzione, ha confermato che non si tratta del testo fondamentale che il comitato ha sottoposto alla presidenza. “Tutti sanno che Kais Saied ha scritto questa costituzione di suo pugno tempo fa. È il suo testo che stiamo votando oggi”, spiega un membro dei comitati di quartiere che sostengono il presidente, tra i pochi che riescono a penetrare le mura del Palazzo di Cartagine. Se approvata – come probabilmente accadrà, non essendoci quorum – la nuova costituzione romperà con il sistema parlamentare in vigore istituendo una repubblica presidenziale. Proprio quello che il testo votato dopo la rivoluzione del 2011, quando la Tunisia si lasciava alle spalle il regime di Ben Ali, cercava di evitare. Unici anni dopo, il paese torna indietro. “Il Presidente della Repubblica eserciterà il potere esecutivo, assistito da un governo guidato da un capo di governo", si legge nel testo. Il governo, però, non sarà presentato al Parlamento per acquisire la fiducia, e l’indipendenza della giustizia non sarà garantita, denunciano i giudici in sciopero da mesi nel paese dopo la dissoluzione del Consiglio superiore della magistratura. Ma alla nuova costituzione sembra non esserci alternativa: la possibile vittoria del “no” nemmeno è presa in considerazione nel testo, dove è stato scritto nero su bianco, un mese prima del voto: “il popolo approva la Costituzione tramite referendum”. D’altronde, il sistema parlamentare la Tunisia lo ha già abbandonato da un anno: il 25 luglio del 2021 il presidente Kais Saied, eletto nel 2019 con il 70% dei consensi, congelava le attività del Parlamento. Per mesi, i partiti che sedevano nell’emiciclo hanno provato a opporsi al presidente, senza riuscirci. I manifestanti che quest’inverno hanno occupato Avenue Bourguiba, il viale simbolo della rivoluzione del 2011, rappresentavano una minoranza legata in gran parte al partito d’ispirazione islamico Ennahda, trasformatosi in pochi anni da protagonista della vita pubblica a simbolo della corruzione nel paese. 


Proprio “corruzione” è il termine che ritorna tra i sostenitori del “sì” davanti ai seggi. Il presidente Saied ha promesso loro una sorta di operazione mani pulite nel paese. Da quando ha preso il potere Saied non ha fatto altro che sostituire amministrazioni, dirigenti e vertici delle organizzazioni che avrebbero potuto ostacolare il suo progetto di “democrazia del popolo”. A partire dall’Isie, l’Istanza superiore per l’indipendenza delle elezioni, ai cui vertici siedono oggi personalità vicine al presidente. Con un comunicato pubblicato a mezzanotte della vigilia del voto, dopo una conferenza stampa boicottata dal Sindacato dei giornalisti tunisini e dai corrispondenti esteri nel paese, l’ISIE ha confermato che – in caso di vittoria del “sì” – la nuova costituzione verrà approvata a prescindere dall’affluenza. Con un tasso di partecipazione medio del 6%, i primi dati sul voto all’estero confermano i timori degli osservatori internazionali: un referendum tutt’altro che popolare segna la fine della fragile transizione democratica tunisina. 

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