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"Non faremo come l'Unione sovietica"

Putin deve scegliere fra imperialismo militare ed economia aperta

Federico Bosco

Le parole del leader del Cremlino hanno delineato un piano economico che contraddice le scelte in campo militare: le mosse fatte fino ad ora spingono sempre di più la Russia verso l'isolamento 

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Nel giorno del 350esimo anniversario della nascita di Pietro il Grande, Vladimir Putin ha detto che la Russia deve difendersi e combattere come ai tempi dello zar, rievocando le conquiste delle guerre imperiali e sottolineando che il nemico è l’Occidente. Ma che le sanzioni non riporteranno l’economia russa indietro nella storia: la sua Federazione Russa non ripeterà l’errore dell’Unione Sovietica, l’economia resterà aperta. Putin si rivolgeva a una platea selezionata di giovani imprenditori russi che facevano domande su possibili accordi con Cina e India.

Ma le ambizioni di una Russia imperialista che vuole prendere con la violenza i territori che ritiene storicamente suoi sono in contraddizione con la volontà di mantenere un’economia aperta, un obiettivo impossibile da realizzare con una postura militarmente ostile nei confronti delle economie più avanzate e interconnesse del mondo che rappresentano due terzi del Pil globale. Tutto questo in un contesto dalle prospettive tutt’altro che positive, aperte e innovative. Putin infatti continua a mentire. Al di là delle dichiarazioni sprezzanti le sanzioni stanno causando al paese la più grande contrazione economica dall’implosione del regime sovietico e spingendo la Russia verso l’autarchia e l’isolamento. Solo quattro giorni fa Putin aveva affermato che l’inflazione è stata portata “sotto controllo” e il tasso di disoccupazione “al minimo storico”. Il presidente russo ha inoltre detto che le multinazionali che hanno volontariamente abbandonato il paese dopo l’invasione dell’Ucraina “si pentiranno” della loro scelta.

A riportare Mosca alla realtà è ancora una volta la governatrice della banca centrale russa Elvira Nabiullina, che nella conferenza stampa di ieri ha messo in guardia sul persistere delle pressioni inflazionistiche e – soprattutto – sui rischi di sanzioni secondarie, tra i pericoli maggiori per il futuro dell’economia russa. Nabiullina ha spiegato che la maggior parte delle aziende che svolgono attività con l’estero stanno affrontando problemi: difficoltà nello stabilire legami con i fornitori, nell’effettuare pagamenti, nel trovare nuovi mercati, nel consegnare le merci attraverso le nuove rotte. Da oltre tre mesi la Banca centrale russa sottolinea da che le imprese sono obbligate “dalla situazione” a pianificare una “trasformazione strutturale” del sistema produttivo, un eufemismo per descrivere la necessità di abbracciare un’economia dell’autarchia e della “sostituzione delle importazioni”, che tradotto significa che i russi dovranno rinunciare ai beni occidentali per acquistare meno cose, a prezzi più alti, e di qualità peggiore. 

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Con la guerra Mosca si è alienata i principali partner commerciali con cui ha costruito rapporti per 30 anni. Nel 2019 Unione europea e Regno Unito rappresentavano il 41,3 per cento dell’export e il 34,2 dell’import (la Cina il 13,4 per cento dell’export e il 21,9 dell’import). Adesso però la Russia non ha più molta scelta, l’unica possibilità per i giovani imprenditori a cui si rivolgeva Putin è cercare partner cinesi, sperando che siano disposti a correre il rischio di incappare nelle sanzioni secondarie, che spingono le imprese del resto del mondo a valutare con prudenza come, dove, quanto, e se investire in Russia.

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Trovare nuovi partner quindi non sarà facile, né piacevole. Le leadership indiane, cinesi e mediorientali non temono Mosca, non provano un complesso d’inferiorità di fronte alla tecnologia russa, e non vedono in Putin il leader del “mondo non libero” a cui unirsi. Non esiste un fronte anti-occidentale di paesi schierati con l’ideologia eurasiatica del Cremlino (neanche la Cina riconosce l’annessione della Crimea), ma solo tanti paesi “non allineati” che hanno come priorità l’interesse nazionale e come ideologia la propria visione del mondo. Forse non li amano, ma sicuramente non intendono rompere i legami con i paesi occidentali per stare dalla parte della Russia. Se devono pagare un prezzo per combattere una guerra sarà per la loro, di certo non per quella di Putin.

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