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vacanze russe

La Crimea rimane senza turisti a causa della guerra: un’altra promessa di Putin finita male

Anna Zafesova

Missili sul Mar Nero, navi da guerra a Sinferopoli: la penisola che vive fondamentalmente di turismo dai tempi dei Romanov e di Stalin oggi è un costo non più un’attrazione

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Niente vacanze in Crimea quest’anno: gli alberghi e le pensioni della penisola annessa dalla Russia restano vuoti nonostante l’inizio della stagione. La guerra è troppo vicina, la crisi economica è troppo pesante e le sanzioni sono troppo sensibili, per convincere i turisti russi – praticamente gli unici a frequentare un territorio illegalmente occupato e coperto da un embargo internazionale dal 2014 – a rischiare una vacanza in quello che oggi è più il retrovia dei combattimenti che un villaggio vacanze. Il ponte di maggio – dieci giorni che di solito fanno la fortuna degli albergatori di tutte le coste frequentate dai russi – ha segnato soltanto il 10-15 per cento delle prenotazioni rispetto all’anno precedente, e per l’estate si attende per ora al massimo un 30-40 per cento  dei posti letto occupati.

   
Numeri che parlano di bancarotta, e Svetlana Vosnaya, direttrice dell’Associazione degli operatori turistici crimeani, ha comunicato al quotidiano economico moscovita Kommersant che fino a un terzo degli alberghi e dei  B&B potrebbe decidere di non riaprire nemmeno. A gettare la spugna sono soprattutto strutture medio-piccole, che rappresentano fino a un terzo degli alloggi di una regione che vive fondamentalmente di turismo dai tempi dei Romanov e di Stalin: l’inflazione al 20 per cento impedisce di abbassare i prezzi e tagliare i costi per venire incontro alle capacità ridotte del ceto medio. Un altro motivo del collasso è la chiusura dell’aeroporto del capoluogo Simferopoli, attraverso il quale transitavano 6-7 milioni di passeggeri l’anno.

   
Tutti gli scali aerei nel sud della Russia sono stati chiusi con la guerra, e il collegamento ferroviario, oltre a richiedere circa due giorni di viaggio da Mosca, può trasportare al massimo due milioni di viaggiatori. Le autorità del “villaggio vacanze pansovietico” che Putin ha strappato all’Ucraina nel 2014, hanno subito smentito le notizie catastrofiche, bollate come “fake ucraini”. Ma intanto anche il governatore Nikolai Aksyonov, un fedelissimo di Mosca, ha smesso di promettere i 10 milioni di turisti record per la stagione, e ha ridimensionato le aspettative ai sei milioni di sette anni fa.

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La penisola annessa rimane un terreno che scotta, e nessun investimento da Mosca – l’ultimo, che va ad aggiungersi all’astronomica cifra di un trilione e mezzo di rubli stimata dall’economista Sergei Aleksashenko, è lo stanziamento per creare dei “glamping” per attirare turisti esigenti – è riuscito finora a rilanciare un territorio che continua a pesare sulle tasche dei russi. Le vacanze in Crimea non attirano per via di infrastrutture scarse e obsolete e costi elevati rispetto alla concorrenza turca o egiziana. Lo status illegale di territorio annesso presentava una serie di disagi, dalla carenza di acqua alle banche e i provider telefonici che non servivano la penisola per non incorrere in sanzioni internazionali.

 

Ora però i disagi si trasformano in rischi veri e propri: a Sebastopoli ormeggiano navi impegnate nella “operazione militare speciale”, i missili volano (in entrambe le direzioni) sopra il Mar Nero, e tutta la penisola si trova ora nella retrovia dell’offensiva russa nel sud ucraino, verso Kherson. Nello stesso tempo, la controffensiva ucraina ha riacceso a Kyiv la speranza di riprendersi la penisola non in un futuro lontano, ma già nei prossimi mesi, mentre riprende anche la resistenza dei partigiani locali: a Eupatoria, degli sconosciuti hanno dipinto di azzurro e giallo la facciata del comune, e per oggi è stata indetta una manifestazione per rivendicare che la Crimea resta ucraina. 

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