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L'Ue non è pronta ad affrontare la guerra energetica contro Putin

David Carretta

Sul pagamento in rubli gli europei rispondono in ordine sparso. La regia di Bruxelles non si vede

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Bruxelles. Ursula von der Leyen, Charles Michel e i capi di stato e di governo dei Ventisette avevano giurato e stragiurato che sarebbero rimasti uniti nella risposta alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Ma Vladimir Putin è riuscito a dividere l’Ue con la minaccia di tagliare il gas ai paesi che non si adegueranno al suo diktat di effettuare i pagamenti in rubli. Da quando Gazprom ha deciso di chiudere il rubinetto a Polonia e Bulgaria, la Commissione di von der Leyen ha cambiato più volte posizione.


Nella sua prima valutazione giuridica di inizio aprile sul decreto firmato dal presidente russo il 31 marzo scorso per imporre il pagamento delle forniture di idrocarburi in rubli, la Commissione ha detto che il decreto di Putin configurava una violazione del contratto e, soprattutto, una violazione delle misure restrittive esistenti. Poi, il 21 di aprile, ha pubblicato linee guida che lasciavano intendere che una soluzione poteva essere trovata effettuando il pagamento in euro su un conto di Gazprombank. Mercoledì von der Leyen ha detto solennemente che pagare in rubli “sarebbe una violazione delle nostre sanzioni, e dunque ad alto rischio per le società”. Ieri il suo portavoce, Eric Mamer, è tornato alla prima versione: “Adeguarsi al decreto è una violazione delle sanzioni”. Tuttavia, secondo la Commissione, le società sono libere di negoziare con Gazprom una modifica ai contratti per passare ai rubli. Mamer ha precisato che tocca ai governi nazionali far rispettare le sanzioni dell’Ue. Se non lo fanno, la Commissione può “aprire una procedura di infrazione”.
 

Mentre von der Leyen e la Commissione contribuivano ad alimentare la confusione, stati membri dell’Ue e clienti europei di Gazprom sono andati ciascuno per conto proprio sul decreto di Putin. Due dei principali importatori di gas russo, l’austriaca Omv e la tedesca Uniper, hanno detto  di essere pronti a pagare sulla base del meccanismo indicato dal presidente russo. Secondo Bloomberg, quattro società europee hanno già effettuato pagamenti in rubli e altre dieci hanno aperto conti presso Gazprombank in valuta locale. Dopo la notizia che si preparava a sua volta ad aprire un conto, l’italiana Eni ieri ha fatto sapere che sta ancora aspettando un chiarimento dall’Ue. Nel frattempo, il governo di Viktor Orbán ha annunciato di aver autorizzato il sistema di conversione voluto da Putin. “L’Ungheria con altri nove paesi e rispettando le sanzioni dell’Ue alla lettera, sta versando euro a Gazprombank che Gazprombank converte in rubli”, ha detto il capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gulyás. Con rare eccezioni, gli stati membri dell’Ue non sono pronti ad andare alla guerra energetica con Putin. Troppo alto il rischio di dover imporre il razionamento all’industria e di precipitare nella recessione. Inizialmente la Commissione aveva sperato che Putin stesse bluffando sul pagamento in rubli. “Non è razionale tagliare la principale fonte di finanziamento della Russia”, spiega al Foglio una fonte dell’Ue. Quando il rubinetto è stato chiuso a Polonia e Bulgaria sono cambiati i calcoli. Ma la Commissione ha comunque scelto di restare ambigua per non assumersi la responsabilità di una decisione che potrebbe portare al taglio del gas a quasi tutta Europa. Accettare il pagamento in rubli significherebbe cedere al “ricatto” di Putin. Acconsentire al doppio conto euro-rubli vorrebbe dire incentivare le società ad aggirare le sanzioni. In entrambi i casi il gas continuerebbe ad arrivare ma verrebbe distrutta la credibilità dell’Ue.
 

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La prossima ondata di fatture di Gazprom in scadenza è per la metà di maggio. Per l’Ungheria, “non c’è alternativa” al gas russo, ha spiegato Gulyás. Il governo Orbán dice ad alta voce quello che altri paesi pensano. Vale anche per il petrolio. “O compriamo gas naturale e petrolio o non c’è benzina, non c’è riscaldamento e l’economia si blocca”, ha detto Gulyás. La paura del taglio delle forniture sta compromettendo l’efficacia delle sanzioni dell’Ue. La prossima settimana la Commissione presenterà il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, che in qualche modo dovrebbe includere anche il petrolio. La Germania mercoledì ha tolto il suo veto, ma non ci sarà un embargo immediato. Il governo di Olaf Scholz è disponibile solo a un approccio graduale.

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