Le elezioni in Ungheria

Orbán sempre più solo in Ue s'appresta a governare ancora il suo paese

David Carretta

I sondaggi degli ultimi giorni danno Fidesz in testa, ma in Europa, dove si è trasformato nel cavallo di Troia di Cina e Russia, il presidente ungherese è sempre più isolato. Il suo allineamento ha Putin ha dato il colpo di grazia all'alleanza con Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Dopo aver sperato in silenzio in una vittoria dell’opposizione unita in Ungheria, l’Unione europea lunedì rischia di dover fare i conti con altri quattro anni di Viktor Orbán. I sondaggi degli ultimi giorni danno Fidesz, il partito del premier, in testa sulla variegata coalizione guidata da Péter Márki-Zay, con un vantaggio tra i due e i dieci punti. Paradosso (ma fino a un certo punto) del regime che Orbán ha messo in piedi: dato il sistema elettorale, con circoscrizioni disegnate per favorire Fidesz, l’opposizione non avrà la maggioranza in Parlamento nemmeno se dovesse strappare una vittoria risicata (meno di tre punti) nelle urne.

 

 

In campagna elettorale Fidesz ha occupato tutti gli spazi pubblici. Orbán ha usato un referendum sulla sua legge anti Lgbt per mantenere l’elettorato conservatore. Il suo governo ha distribuito sussidi di ogni tipo. L’opposizione è forte a Budapest. Ma, nonostante il profilo di Márki-Zay di liberale-conservatore, sindaco di provincia che era riuscito a conquistare una roccaforte a Fidesz, non è riuscita ad allargare il suo consenso nelle campagne. La guerra in Ucraina avrebbe potuto cambiare gli equilibri. Márki-Zay ha presentato le elezioni come un referendum tra l’ovest e l’est, tra la Nato e la Russia, tra l’asse dell’autocrazia sino-russo e la democrazia nell'Ue. Ma Orbán ha giocato la carta della minaccia di Vladimir Putin a suo favore, insinuando che in caso di vittoria dell’opposizione l’Ungheria avrebbe pagato un prezzo altissimo: attaccata militarmente dalla Russia e senza gas e petrolio. Così, secondo gran parte degli osservatori, domenica Orbán dovrebbe conquistare il suo quarto mandato consecutivo dal 2010, il quinto dopo il passaggio al potere tra il 1998 e il 2002, quando ancora si presentava come un leader democratico e liberale. Ma, a differenza di quattro anni fa, l’Ue si troverà di fronte un Orbán più pericoloso perché la sua sfida è diventata sistemica.

 

Per molto tempo Orbán è stata considerato dall’Ue come un discolo che combinava guai, ma sempre pronto a fare un passo indietro, dopo averne fatti due in avanti nella deriva verso la democrazia illiberale. Per l’Ue, la prima versione di Orbán era un problema gestibile, grazie alle pressioni di quella che era la sua famiglia politica (il Partito popolare europeo) e alle procedure di infrazione lanciate dalla Commissione. Ma nell’ultimo mandato il premier ungherese non si è solo radicalizzato, iniziando a rifiutare ogni forma di dialogo o compromesso. Ha anche iniziato a lavorare per minare l’Ue dall’interno e a danneggiare i suoi interessi. La Russia, con il veto all’embargo sul petrolio e il rifiuto di far transitare armi verso l’Ucraina, è l’ultimo esempio. Orbán è diventato il cavallo di Troia della Cina nell’Ue, bloccando diverse dichiarazioni di condanna su Taiwan, Hong Kong o la persecuzione degli uiguri. Ha alimentato il nazionalismo serbo in Serbia e il secessionismo serbo in Bosnia-Erzegovina. Ha sabotato l’azione dell’Ue durante il Covid-19 chiudendo unilateralmente le frontiere e comprando i vaccini russo e cinese. Ha opposto il veto a qualsiasi intesa su un nuovo Patto su migrazione e asilo. Ha contestato apertamente la supremazia del diritto europeo e lo stato di diritto. Dopo essere uscito dal Ppe, ha cercato (finora invano) di organizzare una nuova famiglia politica anti europea, mettendo insieme i partiti dell’estrema destra meno frequentabili.

 

L’Ue, in particolare le due Commissioni presiedute da Jean-Claude Juncker e Ursula von der Leyen, sono state deboli con Orbán. Finché è stata cancelliera in Germania, Angela Merkel ha bloccato azioni e sanzioni contro l’Ungheria, preferendo sempre soluzioni fragili attraverso il dialogo. Solo alla fine dell’era Merkel, l’Ue si è convinta a usare l’arma dei soldi per fare più pressioni, bloccando l’approvazione del piano di Recovery ungherese. Ma a forza di tirare la corda su stato di diritto, Cina e Russia, Orbán si sta condannando allo status di paria dentro l’Ue. Il gruppo di Visegrad, che serviva a Orbán per esercitare la sua influenza a Bruxelles, era già in difficoltà prima del conflitto ucraino per le divergenze con Repubblica ceca e Slovacchia sullo stato di diritto. Il suo allineamento a Putin ha dato il colpo di grazia al V4 e all’alleanza strutturale con i nazionalisti del PiS al governo in Polonia. Orbán domenica potrà dichiarare vittoria, ma sarà più isolato che mai.