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Sui bus a Uzhgorod c’è chi scappa e chi torna in Ucraina per arruolarsi

Mauro Mondello

Una cittadina turistica di 110 mila abitanti oggi ne ospita quasi 150 mila. E da lì passa anche chi ha deciso di rientrare per combattere contro l’esercito russo

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Uzhgorod (Ucraina) – L’autobus arriva a Košice, nella Slovacchia orientale, carico di donne e di bambini. È per cinquanta persone, ce ne sono dentro almeno ottanta. Per loro è  l’ennesima parte di un viaggio in corso da giorni, iniziato a Kyiv, a Kharkiv, a Dnipro, a Ternopil, in una delle tante città dell’Ucraina centro-orientale massacrate dai bombardamenti russi. Dall’inizio della guerra, già 113 mila profughi hanno abbandonato il paese attraverso questa rotta – collega la cittadina di Uzhgorod con la Slovacchia attraverso la frontiera di Vysne Nemecke, ed è sempre più battuta, vista la congestione dei passaggi che collegano l’Ucraina alla Polonia, superati da quasi un milione di persone in dieci giorni.

   

  
Per Miroslav, l’autista, è già il secondo viaggio della giornata. Aiuta le donne più anziane a tirare giù i bagagli e poi si mette a ricaricare le valigie dei pochi che rientrano verso l’Ucraina. Queste terre di confine, circondate dal gruppo montuoso dei Carpazi, hanno una lunga storia di battaglie, conflitti che hanno via via trasformato le radici etniche dei suoi abitanti. Tutta l’odierna regione dei Transcarpazi ucraini era Cecoslovacchia, prima che nel 1945 l’Unione sovietica la annettesse. Migliaia di residenti abbandonarono le proprie case e partirono per Praga, proprio come accade adesso. Anche per questo sono oggi oltre 100 mila i cittadini ucraini con cittadinanza ceca e più di 250 mila quelli che vivono stabilmente fra Cechia e Slovacchia, soprattutto nella zona di Presov e in tutta la regione orientale: qui i cartelli stradali sono ancora in doppia lingua, in slovacco e in ucraino.

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“Ormai non siamo più un albergo, ma un campo profughi”, dice la signora Tetiana, che dalla reception dell’hotel Arizona di Uzhgorod risponde incessantemente alle telefonate di persone in fuga che vogliono prenotare una stanza. Nella regione tutti gli alberghi sono pieni. Molte famiglie, soprattutto quelle che preferiscono non separarsi (visto che gli uomini fra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese) si stanno trasferendo qui, un luogo considerato sicuro per la sua vicinanza con la doppia frontiera slovacca e ungherese

   
Si passa a piedi da Velke Semence, in macchina da Vysne Nemecke, in treno, verso Budapest, da Chop, anche se ormai i biglietti non vengono più nemmeno venduti, bisogna presentarsi alla stazione di Uzhgorod e conquistarsi un posto a spintoni. Ѐ così una cittadina turistica di 110 mila abitanti oggi ne ospita quasi 150 mila, stipati in ostelli, resort, pensioni, appartamenti, ma anche in scuole, canoniche, palestre e ovunque si sia trovato spazio per buttare a terra un materasso. Chi ha una stanza su Airbnb la mette a disposizione gratuitamente, mentre le case sfitte vengono date a prezzi calmierati, per ospitare quelli che hanno deciso di rimanere più a lungo, sperando di poter  rientrare presto a casa. 

   
Uzhgorod non è però un punto di riferimento soltanto per chi scappa, ma pure per chi rientra. Il pullman blu dell’Eurobus, di ritorno, non fila dritto verso l’Ucraina. Appena ripartito dalla stazione di Košice, entra in un capannone pieno di scatoloni e borse. I cinque passeggeri esitano appena un momento, poi scendono a dare una mano. Di ritorno verso la frontiera, si caricano gli aiuti umanitari: latte, coperte, pannolini, giacche pesanti, riempiono il vano portabagagli e vengono quindi ammassati fino a riempire completamente tutta la metà posteriore dei sedili. Fra i passeggeri c’è anche Milan, che ha 38 anni e vive a Praga dal 2007. Cittadino ceco e ucraino, sa che tornando non gli sarà più permesso di uscire, ma non ha scelta, perché “mia madre è anziana, non se ne vuole andare da Ivano-Frankvis'k e non posso certo lasciarla da sola in mezzo alla guerra. E poi ho deciso di arruolarmi”. 

    
Sono più di centomila gli ucraini che hanno deciso di rientrare per combattere contro l’esercito russo in appena due settimane. Al posto di frontiera di Vysne Nemecke, subito dopo il controllo dei passaporti, oltre la lunga coda di camion militari che trasportano merci per le truppe in battaglia e di furgoncini che fanno la spola da tutta l’Ue per consegnare beni di prima necessità, c’è un casotto di lamiera con due bandiere gialle e azzurre che sventolano alte: il comando di zona al quale presentarsi per l’arruolamento. Sulla porta una scritta, in ucraino e in inglese: volontari.

  

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