Un divorzio a Taiwan diventa materia di propaganda per la Cina di Xi

Giulia Pompili

La repressione delle celebrità e il caso Wang Leehom

Il divorzio della superpopstar Wang Leehom dalla moglie Lee Jinglei non è più una questione da rotocalchi, ma una serissima vicenda su cui ha deciso di dire la sua perfino il Partito comunista cinese. Wang, 45 anni, è nato in America da genitori taiwanesi, ma la maggior parte della sua vita artistica di cantante e attore – per dirla meglio: il posto da cui arrivano i suoi guadagni  – è nella Cina continentale. Sono giorni che su Weibo, il social network più popolare in Cina, si parla della famiglia Wang-Lee. La scorsa settimana era stato lui, uno dei taiwanesi più famosi oltre lo stretto di Formosa, ad annunciare online la separazione dalla moglie, con la quale ha tre figli. Poi, venerdì scorso, sempre su Weibo, l’ormai ex consorte ha deciso di dare la sua versione della faccenda: parla di tradimenti seriali, di sesso a pagamento, di essere stata usata come una pedina dal famoso marito. Dice che “scrivere questa lettera è stata la decisione più difficile che abbia mai preso”, ma di voler condividere la sua verità anche per aiutare chi decide di intraprendere questo percorso “di rinascita”. Il post raccoglie oltre 12 milioni di apprezzamenti, e centinaia di commenti di donne contro il “sistema matrimoniale”, che porta al “controllo dei diritti delle donne” e garantisce soltanto “che ogni uomo abbia la propria schiava”.

 

Wang Leehom, che aveva costruito la sua fama anche costruendo l’immagine di uomo gentile, beneducato ed elegante, perde diversi contratti di sponsorizzazione con aziende cinesi, e alla fine viene costretto a scusarsi. Sempre sui social: “Oggi è il giorno più difficile della mia vita”, scrive, “è un incubo”. Parla di un matrimonio complicatissimo, che inizia nel 2013 e finisce nel 2019: “Cinque anni e otto mesi in cui ho vissuto nella paura, nel ricatto e tra le minacce”. Wang spiega che la sua paura più grande era che Lee non le facesse vedere i bambini, e che sono stati quasi sempre in terapia di coppia. 

 

E’ una storia triste a cui siamo tristemente abituati, quella di due personaggi pubblici che parlano dei loro problemi privati in pubblico, sui social. E milioni di persone che si interessano, si appassionano, vogliono dire la loro, dare giudizi. Ma è soprattutto per questo coinvolgimento dell’opinione pubblica che la vicenda Wang-Lee ha “attirato l’attenzione del Partito comunista cinese”, scriveva ieri Alice Yan sul South China Morning Post. Un divorzio, i tradimenti, il sesso a pagamento, una celebrità con una doppia vita: per Pechino è un’ottima occasione per ribadire agli idoli, agli influencer e a tutti quelli che hanno molta popolarità che le loro azioni sono osservate e  giudicate non tanto dagli spettatori, ma dalle autorità. E che proprio per questo devono rispettare le regole e i princìpi del Partito, insomma fare da cassa di risonanza della propaganda, e non i loro interessi. 

 

Proprio la scorsa estate il governo cinese ha annunciato una “repressione più intensa” nei confronti delle celebrità, e neanche un mese fa la Cyberspace Administration of China ha pubblicato regole più dettagliate per gli influencer: il lusso, i piaceri “stravaganti”, i commenti su questioni internazionali vanno aboliti a favore di una promozione “dell’ordine pubblico e delle buone abitudini, orientando correttamente l’opinione pubblica ai valori fondamentali socialisti”. Attrici molto famose come Zheng Shuang e Zhao Wei sono già cadute in disgrazia – quasi sempre accusate di evasione fiscale. E ieri le autorità cinesi hanno condannato Huang Wei, nota come Viya, uno dei volti più famosi del live streaming cinese, a una multa da 210 milioni di dollari.

 

“Il recente caso del crollo dell’immagine di una celebrità”, scriveva ieri il Comitato centrale di ispezione disciplinare, il massimo organo di controllo interno del Partito comunista cinese, “dimostra ancora una volta che le parole e le azioni dei personaggi pubblici ricevono molta attenzione e le loro azioni hanno un impatto sulla società”. I media statali cinesi ieri riprendevano la notizia del crollo dell’immagine di Wang sottolineando il suo presunto comportamento abusivo, e il fatto che l’opinione pubblica si fosse già pronunciata sulla materia, condannandolo – c’è perfino chi lo ha accusato di essere “incline” alle nefandezze in quanto americano-taiwanese. Naturalmente nessuno ha sottolineato la contraddizione del cercare la moralità nelle celebrità e poi cancellare la tennista Peng Shuai, o costringerla a tornare sui suoi passi, dopo aver denunciato di molestie l’ex vice primo ministro Zhang Gaoli. E’ su queste ipocrisie che si tiene insieme la “repressione su tutto” della nuova leadership di Xi Jinping.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.