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Fermezza e dialogo

Il club Europa e la Polonia che forse non è (più) uno Stato di diritto

Giacinto Della Cananea

I governanti polacchi hanno deciso di far cessare anzitempo gli incarichi di alcuni giudici e di non far prestare il giuramento ai nuovi componenti della Corte costituzionale, per sostituirli con altri più graditi. Una decisione in contrasto con l'ordinamento giuridico Ue. Ecco perchè

In tutti gli ordinamenti compositi, dagli imperi del passato alle organizzazioni europee dei giorni nostri, vi sono momenti difficili e talora vere e proprie crisi. Queste sorgono nelle fasi in cui si manifestano problemi e vi è una flessione nella fiducia reciproca tra le parti, che si allontanano sempre di più. È ciò che sta accadendo nella contesa in atto tra l'Ue e le forze politiche che sono al governo a Varsavia. Essa è sorta alcuni fa, per via della decisione dei governanti polacchi di far cessare anzitempo gli incarichi di alcuni giudici e di non far prestare il giuramento ai nuovi componenti della Corte costituzionale, per sostituirli con altri più graditi. La contesa si è inasprita dopo che la Corte di giustizia dell’Ue ha dichiarato tali decisioni in contrasto con lo Stato di diritto, e, ancor di più, a causa della recente sentenza della Corte costituzionale polacca.

 

Tale sentenza è incompatibile con l’ordine giuridico europeo per tre motivi. Innanzitutto, essa contesta apertamente il rilievo attribuito dai trattati e dalla Corte di giustizia all’impegno a realizzare “un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa”, per il raggiungimento degli obiettivi comuni. La contesa coinvolge, quindi, la natura stessa dell’Ue. Non a caso, nell’estremo tentativo di rinegoziare i trattati prima del referendum sulla Brexit, il governo inglese aveva chiesto che proprio quell’impegno non fosse più vincolante per il Regno Unito. Inoltre, come notato, la Corte costituzionale polacca ha reagito alle sentenze europee che censuravano la violazione dello Stato di diritto. Può apparire paradossale che abbia avallato la decisione che la maggioranza politica ha preso per sbarazzarsi dei giudici che hanno iniziato la propria carriera prima del 1989, all’epoca del regime comunista, finendo – così – per emularlo.

 

Ma il paradosso è solo apparente, perché rivela la matrice illiberale della scelta di limitare l’indipendenza della magistratura. Ciò consente di dissipare l’equivoco in cui da noi sono caduti alcuni esponenti politici, ossia che la corte polacca abbia agito sulla scia di altre corti costituzionali, incluse quella italiana e quella tedesca. In realtà, queste ultime si sono riservate di valutare se le norme nazionali di attuazione dei trattati europei possano ledere i principi inviolabili, tra cui l’indipendenza della magistratura. Al contrario, la Corte polacca ha preso posizione a favore della decisione politica che ne ha determinato l’attuale composizione, cioè di se stessa. Infine, è del tutto fuorviante la sua affermazione di attenersi all’interpretazione letterale dei trattati, anziché a quella elaborata dalla Corte di giustizia. Lo è perché la prevalenza del diritto europeo sul diritto nazionale, nei limiti prima indicati, fa parte dell’insieme dei diritti e degli obblighi che vincolano gli stati membri dell’Ue, cioè dell’acquis communautaire. Ne fa parte da ben prima che la Polonia e altri paesi aderissero all’Ue nel 2004. Si tratta, per dir così, d’una delle regole fondamentali del club di cui essi hanno chiesto di diventare membri. 

 

S’impone, quindi, un’istanza di chiarezza e di coerenza: non si può fare parte di un club, nel nostro caso un’unione di democrazie liberali, senza rispettarne le regole essenziali. Il chiarimento difficilmente potrà venire dallo stesso giudice costituzionale, il quale si è sottratto alla leale cooperazione con il giudice europeo, che non è non disgiunta da momenti dialettici ma in una cornice di valori condivisi, come il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. Dovranno porvi rimedio le istituzioni politiche europee. Esse dovranno mostrare capacità di ascolto e di dialogo, ma anche fermezza, per fare argine alle forze che cercano di destabilizzare l’Unione proprio mentre di essa vi è più bisogno per fronteggiare le sfide interne ed esterne.

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