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11 settembre, vent'anni dopo

Quest’America assalita dall’isolazionismo

Paola Peduzzi

L’intellettuale Leon Wieseltier ci spiega con “il cuore spezzato” perché l’America si è ritirata dal mondo e come si è convinta che per ritrovare l’ordine interno debba ignorare il disordine degli altri

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Il discorso di Joe Biden sul ritiro dell’America dall’Afghanistan “mi ha spezzato il cuore”, dice Leon Wieseltier, intellettuale americano a lungo direttore delle pagine culturali della rivista liberal New Republic e ora impegnato in quel gioiello di idee e scrittura che è il trimestrale Liberties. “E’ stato, quel discorso spezzacuore, un momento storico: il presidente non voleva soltanto spiegare il ritiro e i suoi dettagli, ma voleva porre fine, nel dibattito sia a destra sia a sinistra, alla dottrina dell’interventismo umanitario degli Stati Uniti. Lo sapeva, Biden, che stava facendo un discorso storico”. L’interventismo umanitario era la dottrina alla base della risposta occidentale all’attacco dell’11 settembre: si era forgiata negli anni Novanta e aveva un’ispirazione di sinistra – il testo principale di questa dottrina è dell’ex premier laburista inglese Tony Blair.

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Il discorso di Joe Biden sul ritiro dell’America dall’Afghanistan “mi ha spezzato il cuore”, dice Leon Wieseltier, intellettuale americano a lungo direttore delle pagine culturali della rivista liberal New Republic e ora impegnato in quel gioiello di idee e scrittura che è il trimestrale Liberties. “E’ stato, quel discorso spezzacuore, un momento storico: il presidente non voleva soltanto spiegare il ritiro e i suoi dettagli, ma voleva porre fine, nel dibattito sia a destra sia a sinistra, alla dottrina dell’interventismo umanitario degli Stati Uniti. Lo sapeva, Biden, che stava facendo un discorso storico”. L’interventismo umanitario era la dottrina alla base della risposta occidentale all’attacco dell’11 settembre: si era forgiata negli anni Novanta e aveva un’ispirazione di sinistra – il testo principale di questa dottrina è dell’ex premier laburista inglese Tony Blair.

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“Ci sono due paradigmi storici nella politica estera americana – spiega Wieseltier con il suo andamento lento e preciso, chiarissimo – Uno risale alla Seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti usarono il loro potere per fare del bene nel mondo. L’altro risale alla guerra del Vietnam e si è confermato con la guerra in Iraq, ed è quello degli errori degli Stati Uniti nel mondo. Per ogni paradigma c’è un messaggio: il messaggio post Seconda guerra mondiale è che l’America non soltanto può intervenire in situazioni al di fuori dei suoi confini, ma deve intervenire, come forza stabilizzatrice, per il bene. Possiamo discutere delle situazioni, dei criteri di intervento e dei dettagli, ma non della sua necessità. Il messaggio post Vietnam e post Iraq è che l’utilizzo della forza americana non fa bene al mondo, è un atto di arroganza ed è imperialista. Il dibattito di politica estera in America negli ultimi 50 anni almeno ha sempre ruotato attorno alle implicazioni di questi due paradigmi. Biden ha 78 anni, ha cominciato con il primo paradigma, un liberal del dopoguerra, e ha disertato in favore del secondo”. Wieseltier usa un termine duro, considera questo passaggio dottrinale una diserzione, e lo fa con il cuore a pezzi perché “penso che gli Stati Uniti abbiano una responsabilità nei confronti dei paesi fuori dai loro confini, anche se questo comporta il ruolo spesso complicato di poliziotto del mondo, anche se si possono fare, e si sono fatti, molti errori e abusi”. Wieseltier era, vent’anni fa, un falco liberal, un interventista di sinistra: appoggiò la guerra in Afghanistan e quella in Iraq, salvo poi prendere le distanze dalla seconda quando “si scoprì che Saddam Hussein non aveva le armi di distruzione di massa”, ma ancora oggi dice: non abbiamo fatto male, non certo agli iracheni, a togliere il potere a quel tiranno. Allora i falchi liberal sostenevano l’Amministrazione Bush e la loro alleanza ideale con i neoconservatori, “gli assaliti dalla realtà”, li fece litigare con buona parte del mondo della sinistra e con i conservatori tradizionali isolazionisti. Lo scontro tra intellettuali e commentatori che seguì l’11 settembre fu brutale, i ricaschi arrivarono feroci anche in Europa, ci ritrovammo tutti a interrogarci sull’interventismo, sui suoi metodi e sulle sue responsabilità. Poi tutto cambiò e oggi, in questo ventennale mesto, possiamo dire che la politica estera occidentale è stata assalita dal realismo, e dall’isolazionismo. 


Che cosa è successo? Wieseltier individua delle cause di ordine internazionale e delle cause interne all’America. Prima di tutto: oggi c’è la Cina. “Siamo tutti d’accordo nel dire che la Cina costituisce la sfida più grande per l’America: questo è uno scontro tra potenze che non ha precedenti. L’Unione Sovietica non costituiva una sfida altrettanto rilevante: c’era la minaccia nucleare, certo, ma l’Urss era economicamente debole, strutturalmente debole, socialmente debole, nel corso del tempo si approfondiva il suo collasso, e tutti lo sapevano. La Cina invece sta diventando sempre più forte e ha delle capacità tecnologiche che l’Urss si sognava: è un competitor su tutti i fronti, nessuno escluso, e ha ambizioni all’esterno, come dimostra quel che ha fatto a Hong Kong e che temo farà a Taiwan. Questa minaccia è stata compresa da Barack Obama con il suo pivot asiatico, la strategia è continuata con Donald Trump, pur col suo modo imbecille, e ora con Biden. Ma il problema dell’America, e di noi tutti nella nostra vita quotidiana, è che non si trova ad affrontare una crisi per volta, ma molte crisi insieme. Così la minaccia cinese è diventata l’alibi per impostare una politica estera a somma zero, secondo cui dobbiamo scegliere di occuparci di una regione o di un’altra. La scelta è senza senso, perché le crisi sono crisi, e l’America ha una responsabilità globale. E confesso che tutte le discussioni sullo sforzo economico necessario per sostenere tanti interventi non mi convincono: quando gli Stati Uniti decidono di affrontare un’emergenza, che sia per cause naturali o umanitarie o militari, i soldi li trovano”.

La Cina è diventata l’alibi per allentare i rapporti con l’Unione europea, per ritirarsi dal medio oriente e dall’Asia centrale. “Le conseguenze del nostro ritiro sono chiare – dice Wieseltier – Barack Obama ha invitato la Russia in medio oriente; Joe Biden ha invitato la Cina in Asia centrale. La teoria del vuoto, in politica estera, non lascia scampo: se non ci sei tu, ci sarà qualcun altro”. Ma se questa teoria è così chiara e conosciuta da tutti, e se la minaccia cinese è altrettanto nota, perché scientemente Biden ha lasciato l’Afghanistan alla Cina? “L’America ha perso fiducia in se stessa e ha preso la decisione di convivere con i mali del mondo e di occuparsi soltanto dei propri affari. L’America s’è convinta che può mettere in ordine se stessa, e tutti i suoi grandissimi problemi, soltanto se smette di mettere in ordine le case degli altri. Si aggiusta solo se non prova ad aggiustare quel che c’è al di fuori di sé”. Questo assunto, secondo Wieseltier, è stato introdotto da Obama: “Tutto è cominciato con lui, non ascoltare chi ti dice il contrario. Biden ha fatto quello che Obama voleva fare ma non ha avuto il coraggio di fare. Penso che sia un terribile errore, ma Biden almeno ha avuto le palle di mettere in pratica questo assunto”.

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Il cuore è definitivamente spezzato. Wieseltier vede qualche barlume di speranza, molto fievole, nelle operazioni francesi in Mali, “forse l’iniziativa di Emmanuel Macron può modificare un pochino la postura occidentale, ma non illudiamoci: questo ripiegamento americano è destinato a durare”. E gli alleati, quelli che hanno bisogno della presenza e della voglia di combattere americane, che cosa faranno? “Anche se tutto il mondo ha bisogno degli Stati Uniti, dall’Europa al Giappone, passando dal Mediterraneo; anche se storicamente l’unico ostacolo ai totalitarismi è stata l’America, c’è un consenso nel mio paese sul fatto che le richieste degli altri paesi non siano più un problema nostro. Ogni cosa è polarizzata negli Stati Uniti, ma questa no: a destra e a sinistra gli interventisti non ci sono più, c’è un accordo politico e culturale sul nostro ritiro dal mondo. Ed è come se dicessimo a Vladimir Putin, a Xi Jinping e a tutti gli autocrati del pianeta che sono liberi di fare quello che vogliono”, conclude Wieseltier, scusandosi per questo suo pessimismo, ma fa male dappertutto.
 

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