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La retata panrussa del Cremlino che ora teme ogni tipo di dissenso

Anna Zafesova

Hanno fermato perfino il picchetto solitario di una 79enne: il giro di vite scatenato dall'arrresto di Alexsei Navalny sembra una notte dei coltelli putiniana

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Salekh Magomedov e Ismail Isaev, 20 e 17 anni, erano fuggiti dalla Cecenia grazie alla ong “Rete lgbt russa” che aveva già messo in salvo dalle persecuzioni numerosi omosessuali ceceni. Il 4 febbraio sono stati prelevati dalla polizia assieme agli agenti dell’Fsb a Nizhny Novgorod e riportati in Cecenia. Né avvocati né genitori sanno dove si trovino, i due rapiti sono ora indagati per fiancheggiamento del terrorismo islamista, nonostante sui loro canali Telegram postassero immagini irriverenti del Corano affiancato alla pancetta. Lo stesso giorno, all’altro capo della Russia, le ruspe hanno raso al suolo la tendopoli degli ambientalisti a Shies, proprio mentre un tribunale di Pietroburgo si apprestava a dare loro ragione nella lotta contro il progetto che sarebbe dovuto riconvertire un tratto di di taigà in una gigantesca discarica per rifiuti provenienti da Mosca. Il progetto era stato bloccato da Vladimir Putin in persona, costretto a cedere a una protesta autenticamente popolare e spontanea, ma invece è stato smantellato l’accampamento degli attivisti, arrestati dalla polizia.

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Salekh Magomedov e Ismail Isaev, 20 e 17 anni, erano fuggiti dalla Cecenia grazie alla ong “Rete lgbt russa” che aveva già messo in salvo dalle persecuzioni numerosi omosessuali ceceni. Il 4 febbraio sono stati prelevati dalla polizia assieme agli agenti dell’Fsb a Nizhny Novgorod e riportati in Cecenia. Né avvocati né genitori sanno dove si trovino, i due rapiti sono ora indagati per fiancheggiamento del terrorismo islamista, nonostante sui loro canali Telegram postassero immagini irriverenti del Corano affiancato alla pancetta. Lo stesso giorno, all’altro capo della Russia, le ruspe hanno raso al suolo la tendopoli degli ambientalisti a Shies, proprio mentre un tribunale di Pietroburgo si apprestava a dare loro ragione nella lotta contro il progetto che sarebbe dovuto riconvertire un tratto di di taigà in una gigantesca discarica per rifiuti provenienti da Mosca. Il progetto era stato bloccato da Vladimir Putin in persona, costretto a cedere a una protesta autenticamente popolare e spontanea, ma invece è stato smantellato l’accampamento degli attivisti, arrestati dalla polizia.

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Il giro di vite scatenato dall’arresto di Aleksei Navalny sembra una notte dei coltelli del Cremlino che ordina una soluzione finale di tutti i focolai di scontento e protesta per la Russia. Le carceri straripano di manifestanti scesi in piazza in difesa di Navalny. I tribunali sono una catena di montaggio, con zero assoluzioni, che macina indifferente il direttore della testata online Mediazona, finito dentro per un retweet, i ragazzini che si erano fermati per un selfie e un sordomuto di Pietroburgo condannato per aver “scandito slogan”. A Ekaterinburg quattro poliziotti hanno fermato la settantanovenne Galina Bastrygina, scesa in strada con il cartello “Navalny è l’eroe dei nostri tempi” in un picchetto solitario, l’unica forma di manifestazione che la legge concede senza permesso preventivo. Mentre il governatore di Pietroburgo Aleksandr Beglov propone – con una tempestività che farebbe sospettare il sarcasmo se non fosse eccesso di zelo – di istituire la giornata nazionale della guardia penitenziaria, la polizia sfonda le porte da Vladivostok a Pietroburgo, identificando chi era sceso in piazza grazie al riconoscimento facciale delle videocamere.

 

Gli agenti perquisiscono le abitazioni dei genitori anziani degli oppositori, ammanettano i volontari che aiutano i detenuti, minacciano le attiviste di stupro e soffocamento, fermano i rapper che ballavano in piazza. I finanziatori della protesta vengono incriminati, gli studenti minacciati di espulsione, i docenti di licenziamento, mentre nelle scuole russe stanno per arrivare i “consiglieri del preside per l’educazione”, una nuova carica per i commissari del regime. Ogni dissenso deve venire soffocato, e le manette sono scattate anche per i membri delle giunte locali eletti faticosamente dall’opposizione, mentre a Saratov è stato arrestato il noto deputato comunista Nikolai Bondarenko: il pretesto è la solita manifestazione, ma voleva anche sfidare il capo della Duma Vyacheslav Volodin nella stessa circoscrizione elettorale. Il voto di settembre per la Duma è ora un appuntamento cruciale. Su Telegram girano voci di sondaggi segreti commissionati dal Cremlino dove Navalny conquista la fiducia del 20 per cento dei russi e la simpatia del 31 per cento, e le incriminazioni per “violazione delle norme sanitarie” contro i capi del suo movimento sono una misura precauzionale: con una condanna penale non potranno più candidarsi.

 

Una finora sconosciuta associazione di “business-patrioti” che porta il nome di “Avanti” (in italiano) ha chiesto al Parlamento di bandire dalle elezioni tutti i famigliari degli “agenti stranieri”, in primo luogo Yulia Navalnaya, ormai un’icona della protesta insieme al marito. Il messaggio è esplicito: i giochi sono finiti, il regime non mostrerà più debolezze. E in un paradigma che associa la forza alla repressione, la retata panrussa in corso potrà spaventare la maggioranza silenziosa, ma farà arrabbiare di più la minoranza ribelle, accelerando lo scontro che Navalny ha imposto al Cremlino decidendo di tornare in Russia a farsi arrestare.

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