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Modi ha cancellato Nehru

Carlo Buldrini

La destra hindu, a partire dal premier, ha distrutto la storia e il pensiero del padre dell’India indipendente. Ora, complice la pandemia, anche il modello democratico è a rischio

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La destra hindu, oggi al potere in India, odia Jawaharlal Nehru. Il “pandit” Nehru è stato il primo capo di governo dell’India indipendente. Narendra Modi, l’attuale primo ministro indiano, parlando nella Lok Sabha, il Parlamento di New Delhi, ha accusato Nehru e il suo partito del Congresso di “avere diviso l’India nel 1947” e ha affermato che “tutto il Kashmir sarebbe oggi indiano se a Vallabhbhai Patel – e non a Nehru – fosse stato concesso di diventare primo ministro dell’India”. Da quando Modi è alla guida del paese, gli attacchi a Nehru della destra indiana sono all’ordine del giorno. La Planning Commission, il più visibile simbolo della pianificazione economica voluta da Nehru, è stata abolita. I riferimenti a Nehru sono stati tolti dai testi scolastici in molti stati dell’Unione. Il Teen Murti Bhawan, la storica residenza di Nehru a New Delhi, diventata poi la sede del Nehru Memorial Museum and Library, sarà presto trasformato in un museo che racconterà la vita di tutti i primi ministri indiani. Il nome di Nehru sta scomparendo dalle istituzioni governative a lui dedicate.

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La destra hindu, oggi al potere in India, odia Jawaharlal Nehru. Il “pandit” Nehru è stato il primo capo di governo dell’India indipendente. Narendra Modi, l’attuale primo ministro indiano, parlando nella Lok Sabha, il Parlamento di New Delhi, ha accusato Nehru e il suo partito del Congresso di “avere diviso l’India nel 1947” e ha affermato che “tutto il Kashmir sarebbe oggi indiano se a Vallabhbhai Patel – e non a Nehru – fosse stato concesso di diventare primo ministro dell’India”. Da quando Modi è alla guida del paese, gli attacchi a Nehru della destra indiana sono all’ordine del giorno. La Planning Commission, il più visibile simbolo della pianificazione economica voluta da Nehru, è stata abolita. I riferimenti a Nehru sono stati tolti dai testi scolastici in molti stati dell’Unione. Il Teen Murti Bhawan, la storica residenza di Nehru a New Delhi, diventata poi la sede del Nehru Memorial Museum and Library, sarà presto trasformato in un museo che racconterà la vita di tutti i primi ministri indiani. Il nome di Nehru sta scomparendo dalle istituzioni governative a lui dedicate.

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Gli attacchi a Nehru di Narendra Modi non sono tutta farina del suo sacco. Modi non fa altro che dare voce all’ideologia della sua alma mater, il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), di cui è membro fin dall’età di 8 anni. L’Rss nasce nel 1925 e il suo fondatore, R.B. Hegdewar, si ispirò direttamente al fascismo di Mussolini e al nazismo di Hitler. Il suo ideologo di punta, V.D. Savarkar, riteneva che l’identità nazionale dell’India fosse tutta contenuta nella cultura hindu. Il suo slogan era “Hindu, Hindi, Hindustan”: una religione, una lingua, una patria. Per Savarkar, musulmani, cristiani e la “élite occidentalizzata” indiana costituivano le forze disgregatrici della società e andavano combattute con ogni mezzo.

 

La visione storica dell’India di Nehru era diametralmente opposta. Nehru vedeva l’India come una nazione composita, nata da una civiltà che per secoli aveva assimilato tradizioni culturali e religiose diverse. “Unità nella diversità” era il suo slogan e sottolineava l’importanza di “trattare le nostre minoranze esattamente nello stesso modo in cui trattiamo la maggioranza”. Anche Gandhi era contrario al tentativo della destra di trasformare il paese in una nazione hindu. Gandhi voleva che tutti gli indiani, indipendentemente dalla loro fede religiosa, fossero uguali di fronte alla legge, con gli stessi diritti e gli stessi doveri. L’Rss accusò Gandhi di “appeasement” nei confronti dei musulmani e un suo ex militante, Nathuram Godse, lo assassinò con tre colpi di rivoltella.

 

Oggi, a distanza di anni, gran parte della destra hindu non è più così ostile a Gandhi. Vede il Mahatma come un personaggio profondamente indiano che citava i testi sacri e non esitava a unire religione e politica. Modi è solito accompagnare i suoi ospiti illustri – lo ha fatto con Xi Jinping e Donald Trump – nell’ashram di Gandhi ad Ahmedabad e fa provare loro l’emozione di girare la ruota dell’arcolaio del Mahatma. Sempre Narendra Modi ha usato l’immagine degli occhiali di Gandhi come logo per la sua campagna per un’India pulita chiamata “Swacch Bharat Abiyam”. L’odio nei confronti di Nehru, invece, è rimasto inalterato nel corso degli anni. Ram Bahadur Rai, già segretario generale dell’organizzazione studentesca affiliata all’Rss, dice oggi: “La nostra conquista del potere a New Delhi ha segnato la morte politica di Jawaharlal Nehru. Nel futuro che l’Rss ha in mente per questo paese, non ci sarà più posto per Nehru”. Rakesh Sinha, un ideologo dell’Rss, aggiunge: “Dopo l’indipendenza, Nehru è stato il principale responsabile del perpetrarsi del colonialismo sotto forma di una cultura politica e di una filosofia sociale di matrice europea”. Gli fa eco Alok Kumar, un altro dirigente dell’Rss: “L’amore di Nehru per la cultura indiana era ‘paakhand’ (falso). Non sarebbe diventato primo ministro dell’India senza fingere un amore per una cultura che gli era invece estranea”.

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Questo astio dell’Rss nei confronti di Nehru non ha solo motivazioni ideologiche. C’è anche una componente psicologica: l’invidia. La destra hindu continua a non capire perché l’India abbia amato Nehru in un modo così profondo. Nehru era ateo e non lo nascondeva. Eppure era amato da un popolo fortemente religioso. Tra l’ottobre 1951 e il febbraio 1952 si svolsero in India le prime elezioni politiche. Nehru percorse più di 40 mila chilometri durante la sua campagna elettorale. Fece più di 300 comizi. Masse oceaniche accorsero ad ascoltarlo: contadini, pastori, operai delle industrie, minatori, braccianti agricoli. Donne di tutte le classi sociali parteciparono ai suoi incontri. Le cronache di allora raccontano che a Kharagpur, una cittadina dell’Andhra Pradesh, una giovane donna ebbe le doglie durante un suo comizio. Un gruppo di donne le formò un cerchio attorno e la giovane partorì mentre gli altoparlanti diffondevano la voce di Nehru. In quelle elezioni il partito del Congresso conquistò 364 seggi su 489. Invano l’Rss ha cercato di contrapporre alla figura di Nehru un personaggio della destra indiana altrettanto carismatico. L’attuale primo ministro Narendra Modi non ne sembra all’altezza. Modi è molto votato, ma è anche molto temuto e molto odiato. Prima di lui, la destra aveva puntato su Atal Bihari Vajpayee, un ex primo ministro. Vajpayee, un hindu liberale, un moderato, un poeta dotato di un’oratoria invidiabile, raccolse molte simpatie tra la popolazione indiana. Ma la popolarità di Nehru era stata un’altra cosa.

 

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Ecco allora che la destra indiana ha cercato il proprio personaggio simbolo all’interno della stessa storia del partito del Congresso. La scelta è caduta su Vallabhbhai Patel, vice primo ministro e ministro dell’Interno del primo governo Nehru, l’“uomo d’acciaio” dell’India indipendente. Patel era il potente leader delle correnti di destra interne al partito del Congresso. Le sue posizioni furono spesso vicine a quelle delle forze comunitariste e anti musulmane del paese. Si scontrò spesso con Nehru. Per questo Narendra Modi ne ha fatto oggi il personaggio simbolo della sua India sempre più settaria e intollerante. Nel mese di ottobre 2018, Modi ha inaugurato in Gujarat una colossale statua di Vallabhbhai Patel. Con i suoi 182 metri di altezza, la statua è la più alta del mondo ed è costata 437 milioni di dollari. E’ stato l’ennesimo tentativo di Modi e dell’Rss di oscurare la figura di Nehru e di riscrivere la storia dell’India contemporanea. Ma, nel tentativo di riscrivere questa storia, c’è chi si spinge oltre. K.S. Sudarshan, già capo supremo (“sarsanghchalak”) dell’Rss, parlando con il giornalista Shekhar Gupta, ebbe a dire che “non fu Nathuram Godse a piantare tre pallottole nel corpo di Gandhi”. Al perplesso giornalista che lo intervistava, il capo dell’Rss spiegò: “Tutti sapevano che Gandhi voleva che Patel diventasse il primo ministro dell’India. Qualcuno ha ucciso Gandhi non da davanti ma da dietro. L’uccisione di Gandhi è stata una cospirazione per dare a Nehru e ai suoi discendenti un potere illimitato”.

 

 

 

Fin dal 1936 il Mahatma Gandhi annunciò pubblicamente che Nehru sarebbe stato il suo erede politico. Ne lodò “la totale dedizione all’India piuttosto che a qualche causa settaria o interesse personale”. Nehru e Gandhi lottarono fianco a fianco per l’indipendenza dell’India. Dal 1921 al 1945, Nehru fu imprigionato nove volte dal governo britannico per un totale di 3.259 giorni di prigionia, quasi nove anni della sua vita. Ma l’approccio di Gandhi e Nehru a volte divergeva. L’enfasi del Mahatma sulla trasformazione morale delle persone frustrava Nehru e lo rendeva insofferente. Se il Mahatma è universalmente riconosciuto come il simbolo della lotta nonviolenta dell’India contro il regime coloniale britannico, è stato Nehru a dare forma all’India indipendente. Scrive lo storico indiano Ramachandra Guha: “Nehru fu senza ombra di dubbio il principale artefice (‘the chief architect’) della nostra democrazia”. Gli fa eco lo scrittore Nirad Chaudhuri quando afferma: “Nehru fu la più importante forza morale a sostegno dell’unità dell’India”.

 

L’ideologia di Nehru si basava su quattro pilastri fondamentali. Al primo posto c’era la democrazia, la libertà dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti attraverso libere elezioni con diritto di voto universale. Seguiva il secolarismo, la laicità dello stato e la sua neutralità in materia religiosa. C’era poi il socialismo inteso come espansione della capacità produttiva del paese e una più equa distribuzione della ricchezza e delle opportunità sociali. (Per i comunisti indiani l’“economia mista” di Nehru altro non era che un “furbo camuffamento del capitalismo”). Infine, c’era il non allineamento, la collocazione dell’India fuori e al di sopra delle rivalità tra i due grandi schieramenti contrapposti di allora: il blocco sovietico e il blocco angloamericano. (Nehru ammirava lo sviluppo tecnologico degli Stati Uniti ma giudicava il capitalismo americano “predatore”. Così come apprezzava l’industrializzazione dell’Unione Sovietica e volle replicarla in India, senza però fare ricorso a un regime autoritario).

 

C’è una caratteristica del pensiero di Nehru particolarmente rilevante oggi, in un periodo segnato dalla pandemia di Covid-19. Nehru sosteneva l’importanza della scienza nella vita della giovane nazione indiana. Contrapponeva quella che chiamava una “tempra scientifica” a una fede religiosa che sconfinava spesso nella superstizione. Nel suo libro “Discovery of India”, Nehru scrive: “L’approccio scientifico, l’avventurosa, e nello stesso tempo critica, tempra scientifica, il rifiuto di accettare qualsiasi cosa senza averla prima verificata, la capacità di cambiare precedenti conclusioni sulla base di nuove evidenze, il basarsi su fatti accertati e non su idee preconcette, tutto questo deve diventare un modo di vivere; è questa la tempra di un uomo libero”. Ma Nehru è anche pronto ad ammettere che “la religione dà risposte a bisogni profondamente sentiti dalla natura umana” e che “la maggior parte delle persone non può fare a meno di qualche forma di credenza religiosa”.

 

Nehru dice che ci sono cose che la scienza non può spiegare, come “la sensibilità dell’arte e della poesia, le emozioni prodotte dalla bellezza, il riconoscimento interiore della bontà”. Nell’India indipendente Nehru darà vita a istituzioni per la promozione della letteratura, delle belle arti, della musica, della danza, del teatro e del cinema. Nehru ereditò dal colonialismo britannico un paese caratterizzato da una “indescrivibile povertà”, con 360 milioni di abitanti di cui solo il 14 per cento sapeva leggere e scrivere. Il suo sforzo per costruire una vitale nuova nazione, era ostacolato da leader locali strettamente legati alle élite rurali, dall’incompetenza amministrativa dei funzionari governativi, dalla retorica comunitarista delle forze politiche di destra, dalla venalità degli stessi membri del partito del Congresso, dalle visioni provinciali e casteiste di un’India per larga parte ancora medioevale. Eppure, malgrado questi impedimenti, Nehru riuscì a trasformare una società divisa, povera e gerarchica in una società pluralistica e democratica. Sconfisse l’analfabetismo e pose le basi per una stabile crescita economica del paese.

 

Nehru, come tutti, commise anche degli errori. Quello più grave fu la gestione errata del rapporto con la Repubblica popolare cinese. Nehru vide l’indipendenza dell’India – ottenuta nel 1947 – come parte di un disegno storico più vasto. Se i secoli passati erano appartenuti all’Europa, adesso era giunto il momento dell’Asia. La Repubblica popolare cinese, fondata nel 1949, era per Nehru l’alleato naturale. Si batté perché il seggio permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, già occupato dalla Cina nazionalista, fosse assegnato alla nuova Cina di Mao. Si adoperò affinché fosse garantita la presenza del primo ministro cinese Zhou Enlai alla importante conferenza afroasiatica che si tenne a Bandung, in Indonesia, nel 1955. Quando Nehru visitò la Cina, ricevette una calorosa accoglienza dal popolo cinese. Al suo ritorno da Pechino, parlò a una folla sterminata nel Maidan di Calcutta. Disse che “la Cina e l’India vogliono la pace”. Un milione di persone gridò all’unisono “Hindi-Chini bhai-bhai”, gli indiani e i cinesi sono fratelli. L’aggressione cinese all’India lungo i confini himalayani che sfociò in una guerra aperta nel 1962, fu vissuta da Nehru come un “tradimento”. L’umiliante sconfitta militare segnò profondamente il primo ministro. La sua salute deteriorò rapidamente e, il 27 maggio 1964, Nehru morì.

 

  

 

Cosa resta oggi, in India, dell’eredità di Nehru? A dissipare il suo lascito è stato innanzitutto il suo stesso partito. Alla morte di Nehru i notabili del partito del Congresso scelsero Lal Bahadur Shastri come suo successore. Dopo meno di due anni anche Shastri morì e il “sindacato” del partito nominò Indira Gandhi, la figlia di Nehru, nuovo primo ministro. E’ a questo punto che il partito del Congresso diventa un affare di famiglia. Jawaharlal Nehru è stato primo ministro dell’India dal 1947 al 1964. Indira Gandhi, la figlia di Nehru, è stata primo ministro dal 1966 al 1977 e dal 1980 al 1984. Rajiv Gandhi, il nipote di Nehru, è stato primo ministro dal 1984 al 1989. Rahul Gandhi, il pronipote di Nehru, è stato candidato primo ministro del partito del Congresso nelle elezioni del 2014 e del 2019. Questa successione dinastica ha impedito alle forze migliori interne al partito, di emergere. Lo storico Ramachandra Guha, in una recente video intervista al periodico online The Wire, ha detto: “La famiglia Gandhi – e con questo intende Sonia Gandhi e i suoi figli Rahul e Priyanka – sta indebolendo il partito del Congresso e rafforzando il regime autoritario e settario di Narendra Modi”. Guha ha aggiunto: “Rahul e Priyanka si trovano ai vertici del partito unicamente perché sono i pronipoti di Nehru. Sono due persone mediocri e incompetenti. Per il bene del paese se ne devono andare”.

 

Secondo Guha, solo con la fuoriuscita definitiva dei “tre Gandhi” dal partito, in India si può ricostruire una opposizione credibile capace di fronteggiare l’assalto alla democrazia portato avanti dal governo Modi. La democrazia è stato il lascito più importante di Jawaharlal Nehru. B.R. Ambedkar, il padre della Costituzione indiana, ebbe a dire che “una morale costituzionale non è un sentimento naturale per il nostro popolo. La democrazia in India è solo una sabbiatura (‘top dressing’) su un terreno essenzialmente non democratico”. Su questo terreno non favorevole, Nehru ha fatto crescere la giovane pianta della democrazia, e fu capo del governo abbastanza a lungo per proteggerla e vederla crescere e rafforzarsi. In seguito, sarà la sua stessa figlia, Indira Gandhi, la prima a ferire questa democrazia. Nel 1975, con l’“Emergenza”, Indira abolì i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, fece arrestare i leader dei partiti di opposizione, imbavagliò la stampa. Per ventuno lunghi mesi l’India sperimentò un regime autoritario e la perdita delle libertà civili. Nel mese di marzo del 1977, Indira Gandhi mise fine allo stato di emergenza e indisse nuove elezioni. Fu sconfitta e la democrazia in India venne ristabilita.

 

Oggi, con il regime autoritario del primo ministro Narendra Modi e del suo ministro dell’Interno Amit Shah, la minaccia alla democrazia indiana si è fatta ancora più grave. Tutto l’operato del secondo governo Modi è andato contro i dettami della Costituzione indiana. Approfittando della pandemia di Covid-19, il duo Modi-Shah ha sferrato un duro attacco al sistema parlamentare, al federalismo, alla libera informazione, alle organizzazioni della società civile. “Realizzare drastiche riforme in India è difficile: abbiamo troppa democrazia”, ha detto recentemente Amitabh Kant, l’amministratore delegato di Niti Aayog, il think tank ufficiale del governo indiano. Gli attacchi alla democrazia diventano così ogni giorno più frequenti. L’opposizione appare debole e divisa. Nessuno sembra in grado di fermare chi vuole tagliare alle radici la pianta della democrazia che Nehru ha lasciato al popolo indiano.

 

 

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