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La sfida sul gas fra Biden e Putin rilancia l’Italia come hub europeo

Stefano Cingolani

Mentre Berlino e Mosca sfidano le sanzioni Usa al Nord Stream 2, il nostro paese può rilanciare le sue aspirazioni nel fronte sud

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Il gas americano contro quello russo. La Germania è stretta in una tenaglia. E l’Italia può trarne vantaggio. La grande partita geopolitica dell’energia è stata rilanciata dall’amministrazione Biden, in continuità con le scelte di Donald Trump. Il segretario di stato Antony Blinken è stato esplicito: “Siamo impegnati a bloccare il Nord Stream 2”, cioè il gasdotto finanziato da Gazprom che ne detiene il 51 per cento, per potenziare il Nord Stream 1 e portare fino a 55 miliardi di metri cubi all’anno in Germania attraverso il Baltico, bypassando l’Ucraina. Le sanzioni americane hanno bloccato i lavori anche se manca solo un 10 per cento per completare l’opera. Con l’entrata in vigore del National Defense Authorization Act, la Allseas, società svizzero-olandese che ha l’appalto, ha smesso di posare i tubi. Tuttavia, domenica Bloomberg ha detto che una nave posa-tubi appartenente alla società russa Kvt-Rus è salpata da un porto tedesco per proseguire i lavori.

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Il gas americano contro quello russo. La Germania è stretta in una tenaglia. E l’Italia può trarne vantaggio. La grande partita geopolitica dell’energia è stata rilanciata dall’amministrazione Biden, in continuità con le scelte di Donald Trump. Il segretario di stato Antony Blinken è stato esplicito: “Siamo impegnati a bloccare il Nord Stream 2”, cioè il gasdotto finanziato da Gazprom che ne detiene il 51 per cento, per potenziare il Nord Stream 1 e portare fino a 55 miliardi di metri cubi all’anno in Germania attraverso il Baltico, bypassando l’Ucraina. Le sanzioni americane hanno bloccato i lavori anche se manca solo un 10 per cento per completare l’opera. Con l’entrata in vigore del National Defense Authorization Act, la Allseas, società svizzero-olandese che ha l’appalto, ha smesso di posare i tubi. Tuttavia, domenica Bloomberg ha detto che una nave posa-tubi appartenente alla società russa Kvt-Rus è salpata da un porto tedesco per proseguire i lavori.

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La Fortuna, questo è il nome della nave, si trova ora a circa 18 miglia dall’isola danese di Bornholm per svolgere “test e lavori preparatori”, come ha fatto sapere la società Nord Stream. Nei fatti, la mossa somiglia a una sfida russo-tedesca alle sanzioni americane. Berlino considera l’intervento americano “una ingerenza”, ed è in dissenso anche con il voto del Parlamento europeo. Mosca si mostra sorpresa perché ha appena firmato un accordo con Kiev per il transito del gas; dunque, verrebbe a cadere uno degli argomenti forti usati dagli americani. Certo, c’è l’arresto di Aleksej Navalny, che però è solo l’ultima goccia di un conflitto che va ben oltre la ritorsione politica. Gli Stati Uniti, raggiunta l’autosufficienza, sono diventati esportatori; anche se con le attuali condizioni di mercato lo shale gas texano è troppo caro, business is business. E’ vero che Biden ha sconfessato Trump avviando con John Kerry il processo (complicato) di rientro negli accordi di Parigi, ma l’energia è un comparto strategico sul quale detta legge la sicurezza nazionale. La recessione ha ridotto la domanda, tuttavia di gas c’è molto bisogno soprattutto in Europa e non solo quando arriverà la ripresa post-pandemica, spiega al Foglio Davide Tabarelli di Nomisma energia. Le fonti alternative non bastano, l’8 gennaio abbiamo rischiato un black out per un calo di frequenza. Solo 20 secondi, ma pochi secondi in più e molte centrali avrebbero staccato la spina. Ci sono pochi dettagli, sembra che tutto sia partito dall’area balcanica, ma è l’ulteriore dimostrazione che sole e vento sono instabili e hanno bisogno di un supporto che può venire solo dalle fonti alternative. Se si vuole rinunciare al nucleare, tagliare drasticamente il carbone e ridurre l’olio combustibile, come detta la svolta verde dell’Ue, oggi non c’è che il gas.

 

E’ il dilemma sul quale si dibatte la Germania, che ha bisogno di 100 miliardi di metri cubi all’anno, mentre dal 2022 dovrebbe avviare il processo di chiusura di ogni centrale atomica e rinunciare al carbone entro il 2038. Ed è qui che si crea un’occasione per l’Italia dove è entrato in funzione il Tap, il gasdotto Transadriatico, con una portata per ora di 10 milioni di metri cubi, completato in tempo nonostante i No Tap sostenuti dai grillini. L’Italia per la prima volta può essere anche esportatrice, non solo di gas, ma anche di idrogeno verde proprio verso la Germania. In questi anni ha acquistato un peso molto maggiore la sponda sud o sud-orientale per la precisione. Ciò grazie ai notevoli giacimenti scoperti e messi in produzione ad esempio al largo dell’Egitto e di Israele. Ma c’è ancora molto da scoprire e da sfruttare, mentre si è ridotto il contributo della Libia, dilaniata dalla guerra civile, e resta stabile il flusso dall’Algeria.

 

L’Italia ha una posizione strategica e svolge un ruolo molto attivo con l’Eni (si pensi al giacimento Zohr) e con la Snam che ha acquisito la rete greca, di piccola taglia, ma di rilevante importanza come snodo tra oriente e occidente (il Tap porta il gas azero attraverso la Turchia e la Grecia). Grandi sono le variabili e molti vogliono essere protagonisti (si pensi all’invadenza turca); se Stati Uniti e Russia ingaggiano una guerra fredda energetica e se il Mare del Nord, in via di esaurimento, servirà praticamente solo per rifornire la Gran Bretagna e la Scandinavia, il fronte meridionale diventa essenziale. Da tempo si parla di “Italia hub europeo del gas”, un progetto rimasto in stand by; a questo punto ci sono tutte le condizioni perché diventi l’asse strategico della politica energetica. Un asse oggi complementare rispetto a quello che lega l’Italia alla Russia (dopo la Germania è il secondo paese importatore in Europa), ma destinato a diventare più rilevante. Non se ne è parlato finora nella discussione sul piano per la ripresa, dove la politica energetica è concentrata sugli incentivi alle fonti rinnovabili. Gli esperti sanno bene che si tratta di sostenere un sistema integrato mettendo in relazione diretta una pluralità di fonti, però il circuito mediatico-politico preferisce il velo di Maya che nasconde la realtà.

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