PUBBLICITÁ

L’Italia è diventata l’esperimento perfetto del soft power cinese. E la colpa è del M5s

Giulia Pompili

Da un anno il dibattito pubblico è cambiato. “Di Battista mette in luce l’inadeguatezza politica dei Cinque stelle” dice Poggetti (Merics)

PUBBLICITÁ

Roma. Quello che Pechino – o meglio, l’ambasciata cinese in Italia – ha capito meglio del nostro paese è che è molto facile sfruttare il sentimento populista anti Unione europea, unito alle altre caratteristiche tradizionali degli anti-sistema contrari a tutto: alla Nato, all’America, ai trattati di libero scambio. Le parole di Alessandro Di Battista, il Tiziano Terzani del dibattito politico italiano, sull’avvicinamento italiano alla Cina sono solo la conferma di una posizione consolidata del M5s già da tempo. Per Pechino si tratta di uno schema che ha funzionato già in passato, ma che con l’arrivo della pandemia in Italia ha avuto più successo del solito. E’ bastato pochissimo alla Cina per trasformarsi da “causa di tutto” a “salvatrice”. Usando, e anzi promuovendo la confusione tra le donazioni all’Italia e gli acquisti d’emergenza dell’Italia (anzi, della Protezione civile) di materiale cinese, da settimane assistiamo a una cronaca quotidiana sui social network cinesi di aerei, militari e civili, che atterrano nel nostro paese senza bisogno di controlli o autorizzazioni (sono voli umanitari) e nonostante un blocco dei voli da e per la Cina ancora attivo – un fattore significativo, che nella narrativa di Pechino vuol dire: non potete fare a meno di noi. Se la Cina “vincerà” o meno questa “guerra d’influenza” è un tema molto dibattuto nelle accademie in queste settimane, e le opinioni sono diverse. C’è chi dice che alla fine il Partito comunista non riuscirà a guadagnare consensi sul lungo periodo – in Asia sta già succedendo – e chi invece guarda con preoccupazione alle elezioni americane di novembre, e al caos che l’epidemia sta combinando negli Stati Uniti, lasciando campo libero alle attività di Pechino. In questo quadro globale l’Italia è diventata un caso di scuola del soft power cinese. E la colpa è del Movimento cinque stelle.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Quello che Pechino – o meglio, l’ambasciata cinese in Italia – ha capito meglio del nostro paese è che è molto facile sfruttare il sentimento populista anti Unione europea, unito alle altre caratteristiche tradizionali degli anti-sistema contrari a tutto: alla Nato, all’America, ai trattati di libero scambio. Le parole di Alessandro Di Battista, il Tiziano Terzani del dibattito politico italiano, sull’avvicinamento italiano alla Cina sono solo la conferma di una posizione consolidata del M5s già da tempo. Per Pechino si tratta di uno schema che ha funzionato già in passato, ma che con l’arrivo della pandemia in Italia ha avuto più successo del solito. E’ bastato pochissimo alla Cina per trasformarsi da “causa di tutto” a “salvatrice”. Usando, e anzi promuovendo la confusione tra le donazioni all’Italia e gli acquisti d’emergenza dell’Italia (anzi, della Protezione civile) di materiale cinese, da settimane assistiamo a una cronaca quotidiana sui social network cinesi di aerei, militari e civili, che atterrano nel nostro paese senza bisogno di controlli o autorizzazioni (sono voli umanitari) e nonostante un blocco dei voli da e per la Cina ancora attivo – un fattore significativo, che nella narrativa di Pechino vuol dire: non potete fare a meno di noi. Se la Cina “vincerà” o meno questa “guerra d’influenza” è un tema molto dibattuto nelle accademie in queste settimane, e le opinioni sono diverse. C’è chi dice che alla fine il Partito comunista non riuscirà a guadagnare consensi sul lungo periodo – in Asia sta già succedendo – e chi invece guarda con preoccupazione alle elezioni americane di novembre, e al caos che l’epidemia sta combinando negli Stati Uniti, lasciando campo libero alle attività di Pechino. In questo quadro globale l’Italia è diventata un caso di scuola del soft power cinese. E la colpa è del Movimento cinque stelle.

PUBBLICITÁ

 

Il partito di governo, fino a un anno, sostanzialmente ignorava la Cina, se non geograficamente, di sicuro nelle sue posizioni di politica estera. O magari non si esprimeva per confusione: il Sacro blog di Beppe Grillo, cioè dove i movimentisti s’informano, sul tema è stato piuttosto contraddittorio. Per esempio, fino al marzo del 2016 si precisava che “il Movimento 5 stelle ha sostenuto sin dal suo ingresso in Parlamento la causa tibetana”, ma la causa tibetana è stata completamente cancellata tra il 2018 e il 2019, quando Grillo ha avuto la sua svolta pro-Pechino, e ha iniziato a pubblicare gli stessi editorialisti del Global Times (il tabloid in lingua inglese della propaganda cinese), a negare le violazioni dei diritti umani in Cina e soprattutto dopo aver incontrato misteriosamente due volte e nel giro di ventiquattr’ore l’ambasciatore cinese in Italia Li Junhua. Da allora, l’ordine di scuderia del M5s è quello di difendere l’operato di Luigi Di Maio, che da ministro dello Sviluppo economico poco più di un anno fa firmò l’ingresso dell’Italia nella Via della Seta, ma soprattutto di fare i cinesi più dei cinesi. E’ così che si spiegano le parole di Dibba, e così un fedelissimo come Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, nel mezzo di una pandemia ieri partecipava a un seminario online sugli investimenti italiani in Cina. Di Stefano nel mezzo delle proteste di Hong Kong andò nell’ex colonia inglese e disse, mentre la polizia cinese malmenava ragazzi in cerca di autonomia, che erano affari interni di cui non si doveva occupare. Non è sorprendente quindi che il nostro ministero degli Esteri non abbia detto nulla sull’arresto, sabato, di quindici esponenti pro-democrazia di Hong Kong, tra cui vari parlamentari. E non sorprende nemmeno il video dell’eurodeputato pentastellato Dino Giarrusso, che l’altro ieri si commuoveva guardando i disegni dei bambini cinesi che gli sono arrivati insieme con ottantamila mascherine. “Sono riuscito a fare arrivare gratuitamente 80 mila mascherine dalla Cina all’Italia”, e invece di consegnarle alla Protezione civile che provvede a distribuirle nelle aree dove c’è più bisogno, ha fatto un casting personale online e alla fine le ha inviate ai comuni di Acireale, Biancavilla, Centuripe, Nuoro e Porto Torres, “i primi a rispondere al mio appello”. Le mascherine, in realtà, sono una donazione di un’azienda cinese che si chiama Himmuc Information Technology, la cui ceo è “l’imprenditrice Ge Wang”. Ma se cercate su internet l’azienda e la sua direttrice, troverete molte poche informazioni se non quelle legate alla propaganda delle mascherine. Curioso, no?

 

PUBBLICITÁ

“Di Battista mette in luce l’inadeguatezza politica dei Cinque stelle”, dice al Foglio Lucrezia Poggetti, analista del Mercator Institute for China Studies, think tank tedesco tra i più importanti e influenti sulle questioni cinesi in Europa, “promuove la linea della scorciatoia cinese, la stessa che veniva propagandata all’inizio della task force Cina da Luigi Di Maio e il sottosegretario leghista Michele Geraci, che si basava sulla falsa premessa che la vicinanza politica con Pechino si traduce poi in una vicinanza economica. Ma è una teoria smentita mille volte dai fatti, peraltro in un momento in cui anche la Cina è in difficoltà. Rivela una totale mancanza totale di consapevolezza”. L’aiuto economico della Cina non è arrivato, e in ogni caso non arriverà in modo gratuito: “L’Italia è l’anello debole, qui ha trovato terreno fertile, consapevole della retorica anti-Ue, anti-Nato, antiamericana dei Cinque stelle”. Del resto, secondo Poggetti, nel mazzo della politica italiana la Cina non aveva molta scelta perché nel frattempo, da almeno un anno a questa parte, il dibattito politico intorno alla Cina in Italia si è evoluto: “Se una volta era circoscritto a livello economico, dall’intesa sulla Via della Seta in poi si è data più importanza a questioni strategiche, come i perimetri di sicurezza nazionale, e a quelle valoriali. Sia a destra sia a sinistra ora si enfatizzano alcuni princìpi e confini, e non è un caso se in passato sia stata approvata una risoluzione concreta come quella su Hong Kong”. I Cinque stelle hanno una funzione per la Cina, però, che è quella di aprire un varco anzitutto nella campagna propagandistica che ha come obiettivo i cittadini. Per esempio, i media hanno dato molto risalto all’arrivo degli aerei cinesi, perché così ha fatto Di Maio: dare un valore istituzionale agli aiuti provenienti dalla Cina significa amplificarne il messaggio. “L’Italia è una pedina in un gioco globale”, dice Poggetti, “le campagne di soft power cinesi servono a promuovere un’immagine della Cina come uno stato benevolo, di cui non bisogna avere paura, che aiuta più degli altri e non ha doppi fini”. Ma poi il secondo fine arriva, e lo si vede soprattutto nell’attività diplomatica cinese in Europa. Qualche giorno fa l’ambasciata cinese a Berlino ha chiesto alla Bild di scusarsi per gli articoli sul governo di Pechino e l’epidemia, ma il direttore Julian Reichelt ha risposto con un video molto duro di accuse contro la Cina. Una settimana fa il Telegraph inglese ha deciso di rinunciare a parecchi soldi e fermare la pubblicazione di China Watch, un inserto redatto settimanalmente dal China Daily che veicolava la propaganda di Pechino. “Rispetto a tutti i paesi europei la Germania, insieme alla Francia e al Regno unito, sono i luoghi dove il dibattito sui rapporti con la Cina è più maturo, e quindi consapevole”, dice Poggetti. “C’è spazio per voci diverse nel giornalismo, nella politica, nel business, e già da prima della pandemia la Cina era diventata un argomento mainstream”. Un dibattito che aiuta ad avere un rapporto sano con la seconda economia del mondo, ma mai accondiscendente.

PUBBLICITÁ