Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro (LaPresse)

Il primo anno di Bolsonaro non è piaciuto ai brasiliani

Maurizio Stefanini

L'indice di gradimento del presidente è sceso dalla sua elezione. L'economia in ripresa, la guerra dei tweet e gli scandali del figlio Flavio

A Capodanno, è un anno che Jair Bolsonaro è presidente del Brasile. Ma arriva al traguardo con un tasso di impopolarità da record: solo il 29 per cento dei brasiliani considera la sua gestione positiva. Nessuno dei suoi immediati predecessori era arrivato a un livello di disistima tanto basso: né Cardoso, né Lula, e neanche Dilma Rousseff, che peraltro è poi stata pure rimossa da un impeachment.

 
In questi 12 mesi ha dovuto licenziare quattro ministri, ha rotto con lo stesso partito per cui si era candidato, si è ritrovato con suo figlio Flávio coinvolto in uno scandalo, si è fatto una immagine internazionale terribile come distruttore dell'Amazzonia. Con alcuni leader stranieri ha litigato, con altri è stato costretto a imbarazzanti marce indietro, il suo idolo Trump gli ha inferto una pugnalata alle spalle minacciando una guerra dei dazi pure contro di lui. 


Però, con lui l'Economia va bene. In particolare, il suo più grande successo è stata la riforma delle Pensioni. Sul punto è riuscito ad ottenere in Congresso il decisivo appoggio dei partiti centristi, e secondo le stime del governo in questo modo nei prossimi 10 anni verranno risparmiati almeno 200 miliardi di dollari. Qui però il grande artefice del risultato è il ministro dell'Economia Paulo Guedes: un liberista ortodosso classico, del tipo odiato da quei “sovranisti” europei alla Salvini.

 

 

Sembra non entusiasmante un tasso di crescita del pil che a fine 2019 è stato tra l'1 e l'1,2 per cento: più o meno lo stesso di 2018 e 2017, dopo due anni di recessione. Ma in un Sudamerica che è diminuito dello 0,2 è comunque un dato positivo. Ci sono 11,9 milioni di disoccupati, ma anche il dato sull'impiego è in miglioramento. L'inflazione al 3,5 per cento va raffrontata al 53,5 per cento argentino, per non parlare delle cifre folli venezuelane. E la Banca centrale ha appena ridotto i tassi di interesse al minimo storico. Le aspettative per il 2020 sono di una crescita al 2,5 e di una disoccupazione sotto al 10 per cento.

 

Insomma, dove le cose le gestisce Guedes, va bene. Diverso è dove invece è Bolsonaro a decidere: in particolare per le cose che scrive sui social. Allo stesso modo di Trump, il presidente brasiliano sembra non capire la differenza tra essere un politico outsider e lo stare al potere: o forse lo capisce, ma non vuole rinunciare al modo di essere che lo ha reso famoso. Per cui lodi nostalgiche al regime militare, insulti agli omosessuali, insulti agli indigeni, insulti a minoranze di tutti i tipi.

 

In campo internazionale, però, le battute di Bolsonaro vengono spesso corrette dai responsabili diplomatici, spesso su pressione degli interessi del grande business esportatore. E così il presidente deve a volte andare a Canossa. Non con Macron, con cui litigò al tempo dei roghi in Amazzonia, prendendosela pure con la moglie dei presidente francese, Brigitte. 

 

Ma dopo aver definito la Cina “potenza depredatrice” si è invece visto con Xi Jinping sia a Pechino sia a Brasilia, firmando con lui importanti accordi commerciali. Aveva anche detto che non avrebbe partecipato al giuramento del nuovo presidente argentino Alberto Fernández, minacciando anzi di uscire dal Mercosur. Invece ha finito per mandare alla cerimonia di Buenos Aires il vicepresidente Hamilton Mourão, e ha perfino invitato Fernández a Brasilia.

 

 

Bolsonaro ha poi litigato con il Partito Social Liberale (Psl), con cui era stato eletto. Una disputa sulle gestione del finanziamento pubblico, che lo ha portato a lanciare l'Alleanza per il Brasile: è il nono partito che cambia dall’inizio della sua carriera politica, ma il primo che fonda. Ma per farlo partire ha bisogno di 500.000 firme, l'incarico è stato dato al suo primogenito Flávio: quello con l'immagine più moderata e responsabile tra i suoi figli, ma nondimeno ora coinvolto in un grave scandalo per riciclaggio di denaro.

 

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